Disturbi alimentari e doppie verità: “Quando inizia è tutto tranne che una scelta”

La testimonianza di Elena contro i pregiudizi e le incomprensioni di chi osserva il suo mondo dall’esterno. E, grazie al documento “Nove verità riguardo ai Disturbi Alimentari” della Academy for Eating Disorders, sostituiamo qualche stereotipo con i dati scientifici.

Anoressia nervosa, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata e molti altri. Sono questi i Disturbi dell’Alimentazione e della Nutrizione, più comunemente conosciuti come Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), e colpiscono in Italia ogni anno più di tre milioni di persone. Come riporta l’Ordine dei farmacisti di Roma, il 95,9% sono donne e il 4,1%uomini.

Non è solo “essere troppo magri” e nemmeno “rigettare dopo aver mangiato”, è molto di più. Non sono solo “fasi”, non è una “moda”. Sono malattie che colpiscono milioni di persone in tutto il mondo, compromettendo il benessere psichico e fisico.

L’anoressia è la terza “malattia cronica” più diffusa tra i giovani. I pazienti con anoressia fra i 15 e i 24 anni hanno un rischio di mortalità 10 volte maggiore a quello dei loro coetanei.

Le complicanze di questi disturbi sono gravi e possono riguardare il sistema nervoso, endocrino, muscolo-scheletrico, cardiovascolare e molto altro. L’origine dei DCA è complessa e riguarda fattori psicologici, neurobiologici, genetici e non solo. È una questione grave, proprio come lo sono le sue conseguenze, eppure i disturbi alimentari non sono ancora ben compresi, a volte addirittura sottovalutati. Esiste infatti uno stigma, un pregiudizio. Ed anche per questo chi ne soffre fa fatica a chiedere aiuto.

Il cibo per un soggetto con anoressia non è di per sé una cosa pericolosa o negativa, ma lo è l’atto di nutrirsi, che diventa qualcosa di estremamente faticoso e angosciante. Il cibo non è più una fonte di gusto e di piacere, è solo qualcosa di necessario per sopravvivere. Il proprio corpo inizia a sembrare invadente e prepotentemente cerca di sfuggire al proprio controllo.

Ph Santiago Alvarez marked with CC BY-NC-ND 2.0

Il controllo: un’illusione ingannevole

In un mondo ingestibile, che sfugge dalle mani, si cerca disperatamente di imporre altrove il proprio volere: controllare il proprio corpo, controllare il cibo, sono cose in grado di dare un’immensa illusione di potere. E questo è sufficiente per far sentire un po’ meno deboli, un po’ meno allo sbaraglio quando, in realtà, il corpo sta perdendo gradualmente le sue forze.

Quando si parla di disturbi alimentari esistono doppie verità, doppie realtà. Quella che si vede dall’esterno non è l’unica e, soprattutto, non è necessariamente quella corretta.

Una persona con anoressia nervosa non è “capricciosa”, non è “solo troppo magra”, non “deve solo mangiare di più”, non è semplicemente in una “fase di ribellione” e non “sta solo cercando attenzioni”. È una persona che soffre, che si sente inadeguata, che non si sente a suo agio nel proprio corpo, che combatte giorno dopo giorno contro una voce nella propria testa, che si fa sempre più forte.

Lottare contro se stessi.

Guardarsi allo specchio e non vedersi, non riconoscersi.

Questo è un disturbo alimentare.

Questa è la verità, anche se non si vede.

Ma il paziente non è solo la sua malattia, è una persona, è molto altro.

Elena e la sua testimonianza: una lotta per la consapevolezza

Elena ha quasi 24 anni e soffre di anoressia da quando ne ha 16. Lei però non è solo anoressica. È un’amica, una donna brillante e intelligente, le piace studiare e imparare cose nuove. È simpatica, divertente.

Quando questa cosa inizia è tutto tranne che una scelta. Non ti rendi conto di quello che stai facendo, pensi di essere nel giusto” spiega Elena.

Inconsapevolezza è una parola che ripete più volte, il non capire, il non rendersi conto. “L’anoressia non è altro che l’esordio pratico di qualcosa che hai dentro da tantissimo tempo. Quando poi indaghi a fondo sul perché, molte volte le motivazioni non sono solo l’aspetto fisico. C’è un male dentro che non sai esprimere, che nessuno comprende. Esternare questo male riflettendolo sul mio fisico è stato per me l’unico modo per chiedere aiuto, per far capire agli altri che stavo soffrendo”.

Spesso chi non conosce la malattia ridimensiona il problema a un semplice: “Ma è sufficiente mangiare qualcosa di più”.

“Non riescono ad avere quel minimo di empatia per capire che quel devi solo mangiare – risponde Elena – è qualcosa di inconcepibile, perché è una malattia mentale, perché colpisce i pensieri e, di conseguenza, anche il comportamento. Hai i pensieri macchiati. È difficile da descrivere, è come se fossi in un altro mondo. La normalità diventa pensare costantemente a quello che hai mangiato, a come consumarlo, a quello che mangerai dopo: ansia, tristezza, irrequietezza, diventi stanco, spento, apatico. È una cosa che invade tutto. Non è più il disturbo alimentare che si intromette nella tua vita. La tua vita è il disturbo alimentare, tu diventi il disturbo. All’inizio pensi che nessuno ti possa capire, finché non vieni seguito da esperti che ti fanno comprendere che sei malato. Allora smetti di negare la realtà, quando ti viene finalmente sbattuta in faccia”.

Dove si trova Elena, ogni martedì i pazienti vengono pesati. È una giornata dura da affrontare, perché aver preso qualche chilo non è una conquista, ma viene visto come un fallimento. “Quando non sei consapevole della situazione, una persona più magra ti sembra qualcuno che sta più male di te, ma anche qualcuno di forte, che ce l’ha fatta, che è riuscito a resistere al cibo. È una cosa tremenda: qualcuno che si sta autodistruggendo diventa il tuo mito”.

Martedì però una persona importante per Elena le ha detto “tu non sei quel numero” e le ha fatto bene sentirselo ripetere, perché lei non è la sua malattia, non è un numero sulla bilancia. Lei è molto di più e deve combattere per questo.

Le molteplici verità dei disturbi alimentari: tra stereotipi e realtà

Nel 2015, la Academy for Eating Disorders, in collaborazione con la professoressa Cynthia Bulik, ha stilato un documento chiamato “Nove verità riguardo ai Disturbi Alimentari”. L’obiettivo è quello di sostituire gli stereotipi con dati scientifici e corrette verità:

1. Molte persone con disturbi alimentari sembrano sane, eppure possono essere estremamente malate. Una persona malata di anoressia riduce fortemente il consumo di calorie, quindi sì, sarà probabilmente molto magra. Questo però non vale per gli altri DCA, come la bulimia nervosa o il disturbo da alimentazione incontrollata. I disturbi alimentari non dipendono univocamente dalla massa corporea e, proprio per questo, spesso non sono immediatamente riconoscibili. È importante ricordarsi che il peso è solo una conseguenza e che le complicanze non riguardano solamente la salute fisica, ma anche quella psicologica.

2.Non si deve incolpare le famiglie, che possono invece essere alleate dei pazienti e dei curanti. Le caratteristiche della famiglia non sono condizioni necessarie e sufficienti per l’insorgere di un disturbo alimentare. Vero, a volte sono uno dei fattori scatenanti, ma non sempre. Anzi, spesso i familiari diventano alleati importanti.

3.Una diagnosi di DCA è una situazione di emergenza sanitaria che sconvolge il proprio equilibrio personale e familiare. Bisogna ricordarsi che una situazione del genere coinvolge anche altre persone, ribalta gli equilibri della vita familiare e causa sofferenza a chi sta accanto a chi è malato. Ovviamente, la comparsa di uno di questi disturbi, sconvolge drasticamente anche la vita dell’individuo e può determinare ritardi nello sviluppo, isolamento e gravi difficoltà interpersonali, legate anche a fenomeni di stigmatizzazione.

4.Il disturbo alimentare non è una scelta, ma una malattia con una significativa componente biologica. I disturbi alimentari non sono innati, ma con il tempo si automatizzano e vengono messi in atto a prescindere dalle gravi conseguenze che possono generare. Questi automatismi diventano a tal punto rigidi da sfuggire al controllo volontario. Inoltre, la tendenza a sviluppare un DCA dipende anche da caratteristiche cognitive e neurobiologiche. Non è una scelta, la persona non decide di infliggersi sofferenza, è un vortice incontrollabile da cui si fatica a uscire.

5.I DCA possono colpire persone di ogni genere, età, etnia, peso, orientamento sessuale e status socio-economico. Non sono solo ragazze, esistono anche pazienti maschi. Non sono solo adolescenti, ci sono anche persone adulte. Sicuramente alcune caratteristiche individuali agiscono da fattori di rischio: ad esempio, basti pensare al periodo dell’adolescenza. Nonostante ciò, il rischio di sviluppare un DCA esiste per chiunque, in maniera indipendente dalle caratteristiche socio-demografiche.

6.I disturbi alimentari comportano un grave aumento del rischio di suicidio e di complicanze mediche. Non è solo un “capriccio”. La complicanza più grave dei disturbi alimentari? La morte prematura. Il rischio di morte per una persona con anoressia nervosa è circa sei volte superiore al resto della popolazione. Di questi decessi, il suicidio è la causa in una percentuale significativa.

7.Geni e ambiente hanno un ruolo importante nello sviluppo di disturbi alimentari. Alcuni studi di genetica dimostrano che i geni influiscono sullo sviluppo di un DCA. È importante ricordare che i geni non agiscono da soli, dal momento che questi disturbi sono estremamente complessi e nascono dall’interazione di elementi genetici con moltissimi altri fattori.

8.I geni da soli non predicono chi svilupperà un disturbo alimentare. I disturbi del comportamento alimentare non sono il risultato di alterazioni di un unico gene. Sono centinaia o addirittura migliaia i geni implicati e, soprattutto, è importante ricordare che non sono legati necessariamente allo sviluppo della malattia. Ci sono innumerevoli fattori ambientali, sociali e relazionali che hanno una grande influenza.

9.La piena ripresa da un disturbo alimentare è possibile. Per questo è importante la diagnosi e intervenire in maniera immediata. Un’alta percentuale di persone con DCA guarisce pienamente dalla malattia. Ovviamente non esiste un solo modo per riprendersi e il recupero non è sinonimo di “avere di nuovo un peso adeguato”. La fase di guarigione riguarda sicuramente il fisico, ma anche e soprattutto l’aspetto psicologico. Se si fosse in difficoltà, è importante parlarne con il proprio medico ed eventualmente rivolgersi a centri specialistici d’ascolto (Numero Verde SOS Disturbi del Comportamento Alimentare, Programma per i disturbi del comportamento alimentare – AUSL Parma).

E infine, come spiega Elena, “quando capisci che mangiare significa poter uscire nel mondo, fare una passeggiata, parlare con le persone, lavorare, studiare, viaggiare… Allora hai “consapevolezza”. E io lotto per questo”.

di Beatrice Pedretti

Questo articolo è stato realizzato per la rubrica Comunicare la scienza, realizzata in collaborazione con gli studenti del Master Cose dell’Università degli studi di Parma

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