Le mazziniane dimenticate: Donne che hanno fatto la storia italiana

A Parma un convegno per dare ad alcune figure femminili il risalto che meritano: Cristina Trivulzio fu l'antesignana della Croce Rossa, Jessie White portò il pensiero di Mazzini nel mondo e infine a Parma Giovanna Bertola fondò La Voce delle Donne, un giornale "spudorato" per la Chiesa

Statua dedicata a Cristina Trivulzio a Milano, foto ANSA

Ci sono donne che nel corso del XIX secolo si sono distinte per le loro idee progressiste e riformatrici portate avanti con operosità, personalità ed intelligenza. Eppure, la storia le ha dimenticate o relegate a ruoli marginali. L’iniziativa “Storie di donne cui la storia non ha dato il giusto riconoscimento” promossa dal Comune di Parma nell’ambito del programma “8 Marzo e dintorni”, si impegna a ricordare queste donne emblematiche.

Cristina Trivulzio: una vita complicata e una grande attenzione verso gli ultimi

Una di queste donne è sicuramente Cristina Trivulzio, raccontata dalla scrittrice e giornalista Nadia Verdile.

Cristina Trivulzio nasce a Milano nel 1808 in una famiglia aristocratica. Per via di quest’appartenenza alto locata, riceve un’educazione raffinata: impara le lingue classiche e moderne e le vengono impartite anche lezioni di disegno, ricamo e musica.

In uno dei suoi scritti dice: “Le donne sono state allontanate per volontà dell’uomo da ogni studio e dalla partecipazione agli affari della società, rimanendo così confinate tra le mura delle loro case”.

Cristina Trivulzio è una donna forte, volitiva, determinata e non sottomessa ai dettami della famiglia e della società. Questo lo dimostra anche nell’ambito privato, quando decide, all’età di 16 anni, di sposare l’uomo di cui si era innamorata, Emilio Barbiano di Belgiojoso-Este.

A causa di questo matrimonio si ritrova contro la famiglia e l’aristocrazia milanese, ma questo amore dura solo 4 anni. L’uomo che ama la tradisce e lei, poco più che ventenne, decide di separarsi prendendo così una decisione sicuramente controcorrente e fuori dagli schemi del tempo.

La vita di Cristina Trivulzio è segnata da due esili importantissimi e determinanti. Il primo esilio è in Francia dove è costretta a scappare per evitare di finire in carcere, a causa dei suoi ideali politici e del suo essere favorevole all’unificazione italiana.

A Parigi le aristocratiche non avrebbero potuto lavorare, eppure lei decide di farlo comunque: traduce in inglese e in francese i giornali che arrivano dall’ Italia e realizza dei ritratti commissionati da un giornale parigino. Tutta la vita della Trivulzio è caratterizzata da questo forte desiderio di indipendenza.

Una volta tornata a Locate, che ha sempre considerato la sua vera casa, decide di mettere in pratica ciò che aveva appreso e le esperienze che aveva maturato. Lo fa aiutando gli uomini e le donne, costrette ad una situazione di assoluta povertà, che lavorano nei terreni e nei poderi del suo palazzo.  

“I bambini di questo mio paese sono nella più miseranda fra le condizioni umane. La manodopera è così ricercata che anche i ragazzi e le ragazze un po’ grandi stanno fuori a lavorare nei campi e i poveri bambini rimangono abbandonati nelle deserte case, mentre le malattie contratte in mezzo a paludi e aria malsana falcidiano la popolazione”, scrive Cristina Trivulzio.

Istituisce così scuole elementari, una scuola professionale femminile e una scuola tecnica agraria per permettere a questi giovani adolescenti di diventare rilegatori, restauratori, pittori e da loro un’opportunità di conoscenza. All’interno del suo castello realizza anche un dormitorio, in modo che possano trovare accoglienza quelle persone che non avevano neanche dove dormire.

Dal 1849 diventa la responsabile delle ambulanze della repubblica romana e chiama a raccolta tutte le donne disponibili a dare un aiuto. Rispondono a questo appello in tantissime, dalle assidue frequentatrici della Chiesa alle prostitute. Proprio la presenza delle prostitute turba profondamente Papa Pio IX che le si scaglia duramente contro.

Cristina Trivulzio è anche antesignana di quella che chiamiamo oggi Croce Rossa, perché negli ospedali romani chiede e pretende che vengano accolti anche i feriti avversari, i nemici.

Quando fallisce l’esperienza della repubblica è costretta ad andar via nuovamente dall’Italia e trova riparo in Oriente. Di questa lunga esperienza ci rimangono gli scritti negli Harem, in cui racconta, da una prospettiva totalmente innovativa, un luogo di abominio e di violenza dove le donne sono vittime di una sessualità imposta.

Quando torna dall’Oriente gli italiani si dimenticano di lei che aveva combattuto e dato tutti i suoi averi per la causa mazziniana. Anche quando Cristina Trivulzio muore nessuno di quegli uomini seduti nell’ormai Parlamento italiano si ricorda di lei, partecipa solo il popolo di Locate che per anni ha educato e amato.

Mazzini e la sua attenzione verso le donne

Giuseppe Mazzini

Anna Maria Isastia, storica dell’età contemporanea e docente all’Università La Sapienza, ha illustrato le linee generiche del mazzinianesimo femminile.

Mazzini è uno dei primi personaggi pubblici attento alla condizione femminile. In uno dei suoi scritti più importanti dal titolo “Dei doveri dell’uomo” dedica parecchi paragrafi alla condizione della donna: “Amate, rispettate la donna, non cercate in essa solamente conforto ma una forza, un’ispirazione, un raddoppiamento delle vostre facoltà intellettuali e morali. Cancellate dalla vostra mente ogni idea di superiorità, non ne avete alcuna. Un lungo pregiudizio ha creato, con un’educazione disuguale e una perenne oppressione di leggi, quell’apparente inferiorità intellettuale della quale oggi argomentano per mantenere l’oppressione”.

Mazzini scrive queste parole agli uomini italiani del 1860, dimostrando di avere un pensiero estremamente avanti rispetto alle idee del tempo: è favorevole al voto delle donne, all’emancipazione femminile, parla continuamente della complementarità delle due nature negando che ci sia uno due sessi superiore all’altro.

La presenza femminile intorno a Mazzini è una costante nella sua attività politica e cospiratoria. Il 20% della corrispondenza è indirizzata alle donne, con cui si apre completamente: parla di sentimenti, di stati d’animo, di politica, di cospirazione, di progetti futuri e con loro intrattiene un rapporto assolutamente paritario. Mazzini ha un enorme seguito in Italia, ma anche nel mondo inglese. Basti pensare a Jessie White che traduce in inglese i suoi scritti e tiene conferenze per rappresentare il pensiero mazziniano non solo in Italia.

Jessie White, liberliber.it

Al centro del pensiero mazziniano, per quanto riguarda la donna, c’è la famiglia e l’educazione dei figli. La famiglia per Mazzini è un santuario di fondamentale importante che ha al centro la donna e la sua missione educativa. Ogni persona ha ragione di vivere soltanto se si pone a servizio di un compito, il dovere è al centro della vita di ognuno e il compito della donna è appunto quello di educare la prole.

Come afferma la professoressa Isastia: “Questo può sembrare oggettivamente riduttivo per noi. C’è sempre stata questa discussione su Mazzini, era un vero femminista o vedeva le donne solo come educatrici dei figli? Noi dobbiamo riflettere sul fatto che nell’Italia appena unificata l’analfabetismo femminile raggiungeva picchi altissimi, arriviamo al 90-95%. Predicare l’educazione e l’istruzione delle donne è, quindi, di per sé rivoluzionario, anche se a noi può sembrare riduttivo. Pensiamo poi che la Chiesa cattolica sconsigliava di insegnare alle bambine a leggere e a scrivere, non si voleva che le donne fossero autonome. Le donne venivano volutamente confinate nell’ignoranza anche dai genitori”.

All’epoca le donne italiane si battono per diventare cittadine, una cittadinanza che viene conquistata solo parzialmente nel 1919. Le mazziniane questa cittadinanza tendono a raggiungerla molto prima nei fatti, anche se non viene riconosciuta di diritto. Costituiscono comitati, raccolgono fondi per l’istruzione, danno vita a numerose iniziative pubbliche che permettono loro di emergere come membri della società.

Giovanna Bertola e il giornale “La voce delle donne”

Giovanna Bertola, ilvizzarro.it

Anche la città di Parma può vantare di aver avuto nel suo territorio una donna particolarmente attiva nell’ambito politico e sociale di quel tempo. Il suo nome è Giovanna Bertola e la sua storia è stata raccontata dallo studioso dell’età contemporanea Gino Reggiani.

Siamo all’inizio del 1864 quando la piemontese 23enne Giovanna Bertola arriva a Parma e, appena un anno dopo, decide di fondare un periodico dedicato all’emancipazione e all’educazione delle donne. Le testimonianze di questo giornale si trovano nella Biblioteca Palatina e sono state ignorate per 150 anni.

Se i giornali della città, come “La Gazzetta di Parma” e “Il Patriotta”, reagiscono piuttosto bene alla notizia dell’uscita di questo nuovo giornale, non si può dire lo stesso dell’ambiente ecclesiastico.

Il vescovo di Parma scrive pubblicamente: “E’ parte del mio dovere sconsigliarvi dall’acquistare e leggere i giornali che attaccano la nostra religione. Fra questi giornali debbo segnalare l’irreligioso e spudorato La voce delle donne”.

A seguito di queste parole il giornale viene decisamente boicottato, viene ostacolata la distribuzione e subisce atti vandalici.

Giornale “La Voce delle Donne”, foto di parma.repubblica.it

Eppure, “La Voce delle Donne” è uno straordinario esempio di giornalismo eseguito in maniera precisa con un’attenzione meticolosa verso le fonti. In quegli anni si comincia, ad esempio, a parlare dell’inferiorità fisiologica della donna rispetto all’uomo. Il giornale decide così di interpellare Filippo Lussana, un fisiologo docente dell’Università di Parma il quale pubblica sul giornale una serie di articoli. In questi scritti si dimostra in maniera scientifica che, dal punto di vista fisiologico, non vi è ragione per considerare la donna inferiore all’uomo.

Queste storie sono la dimostrazione emblematica di quanto sia necessaria una riscrittura della storia per valorizzare la forza che le donne hanno avuto nel corso del XIX secolo e non solo. Oggi più che mai è importante dare il giusto riconoscimento al loro coraggio, alla loro indipendenza e al loro impegno civile e, in un periodo storico in cui si lotta ancora per la parità di genere, questa esigenza non potrebbe essere più impellente.

di Laura Ruggiero

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