“CODA”: il remake vincitore dell’Oscar al Miglior film

Come il ben riuscito rifacimento della pellicola francese "La Famiglia Bélier" è riuscito a conquistare l’Academy e gli USA

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Dopo la notte del 27 marzo e la celebrazione della 94° edizione degli Oscar, Coda – I segni del cuore è il film del momento. La pellicola diretta da Sian Heder, partita come un piccolo progetto da poche pretese, è riuscita ad arrivare sulla vetta più alta dell’Olimpo cinematografico, conquistandosi la statuetta di Best Picture.

La storia è un adattamento di una pellicola francese uscita relativamente in tempi recenti, nel 2014, La famiglia Bélier, che a sua volta, in realtà, era un remake di un film tedesco ancora meno noto del 1996, Al di là del silenzio.

Cosa rende CODA un remake ben riuscito

Ruby Rossi (Emilia Jones), come la sua controparte francese Paula Bélier, è membro della comunità CODA (child of deaf adult, figlia di una persona sorda) e ha una passione per il canto che difficilmente può esprimere all’interno del suo nucleo familiare in cui lei è l’unica udente. La situazione si complica per la protagonista, costretta nel suo ultimo anno di liceo a dividersi fra l’aiutare nella quotidianità la famiglia, che si affida in gran parte a lei, e perseguire un sogno incompreso. Non siamo più nella regione della Mayenne nel cuore della Loira, ma in una cittadina sul mare nel Massachusetts: i Bélier sono degli allevatori, mentre i Rossi hanno una piccola attività ittica, ma entrambe le famiglie si trovano in difficoltà, sia per mancanza di risorse economiche, sia per l’accesso limitato nella comunità dovuto alla loro disabilità.

La famiglia Bélier

Il film francese, diretto da Éric Lartigau, pur avendo avuto meno visibilità, rispetto al corrispettivo americano, è stato un fenomeno in patria e in Europa, facendo guadagnare inoltre alla giovane protagonista esordiente (Louane Emera) un premio César (gli Oscar francesi). Per quanto l’intreccio narrativo sia – fin troppo – simile, per alcuni non è stata un’occasione vana, anzi, addirittura una versione migliore. CODA , che vuole mettere in luce una comunità che raramente ha avuto visibilità sul grande schermo, è stato preferito all’originale dai membri della stessa, per la maggiore autenticità che ha portato in scena, a partire dalle interpretazioni e dal casting.

Ne La famiglia Belier, infatti, l’unico attore sordo era Luca Gelberg, il fratello della protagonista Paula. I genitori sordi erano interpretati da attori udenti, che hanno portato in scena un’interpretazione poco credibile e fin troppo enfatizzata, che poco empatizzava con le persone effettivamente non udenti. In CODA, invece, tutti i personaggi sordi sono stati interpretati da attori sordi, che hanno offerto performance ragguardevoli. In primis il padre, interpretato da Troy Kotsur, che ha guadagnato a pieno merito la vittoria per Miglior attore non protagonista e al quale si deve, forse più di tutto il resto, il successo del film. CODA mantiene quell’umorismo tipico della commedia francese, ma lo fa coesistere, realisticamente, a tutte quelle difficoltà a cui i normodotati nemmeno pensano, con cui un sordo deve convivere ogni giorno.

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Il successo di un film “normale” oggi

Se fino a qualche mese fa, la maggior parte delle persone nemmeno avrebbe contemplato la sua presenza nelle maggiori premiazioni, per gli scommettitori il suo trionfo era ormai da settimane telefonatissimo, dopo le vittorie ai Producers Guild Awards e ai Writers Guild Awards. É evidente che il confronto con l’originale piuttosto recente, e che segue pedissequamente, fa aumentare la sensazione di non-originalità e, di conseguenza, storcere il naso a qualcuno. Soprattutto, nel momento in cui si decide di premiarlo anche per la sceneggiatura non originale, favorendolo a trasposizioni ben più complesse da realizzare, come quella mastodontica di Dune dalla saga di Frank Herbert o de Il potere del cane. Partendo dal presupposto che non è il primo caso in cui un remake guadagna il premio più prestigioso della serata – si pensi a Ben Hur (1959) e The Departed (2006) -, ciò che ha stupito davvero è stato come questo piccolo grande film abbia superato tutti gli altri.

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CODA – I segni del cuore è un racconto familiare, che definirei commedia piuttosto che dramma, come hanno fatto durante alcune premiazioni, e che vuole infondere benessere e intrattenere piacevolmente i suoi spettatori per un paio d’ore, senza le pretese tecniche e narrative dei film che ci aspetteremmo vincere gli Oscar. A difesa degli amanti del cinema, infatti, negli ultimi anni la cerimonia ha sembrato volersi darsi “un certo tono”, selezionando come vincitrici pellicole sempre più ricercate e complesse, come Parasite, Nomadland, Moonlight, La forma dell’acqua e Birdman. Risulta quindi un outsider, che un po’ stona con i toni solenni, gli alti budget, le fotografie mozzafiato e i cast stellari dei suoi competitors in lizza, ma che conquista inevitabilmente il cuore del pubblico, oltre a un consenso generale diffuso. È inoltre il film che più di tutti quest’anno è risultato inclusivo: scritto e diretto da una donna, e che coinvolge una minoranza, quella dei non udenti, che raramente abbiamo visto al cinema o agli Oscar, ultimo caso quello di The Sound of Metal (2019).

Una storia di crescita e di formazione, che oggettivamente non offre niente di stravolgente o innovativo, ma che risulta rassicurante e spogliata di ogni artificiosità hollywoodiana, significativa forse del periodo che stiamo vivendo.

Di Giulia Padova

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