“Ma va, è solo stress”. E se fosse un problema serio?

La risposta allo stress è un processo fisiologico che esiste da milioni di anni ed è il meccanismo che consente ad ogni essere vivente di reagire all'ambiente circostante. Ma come funziona esattamente? E perché uno stress eccessivo può rappresentare un pericolo serio per la nostra salute?

Un tifoso cinquantenne si riprende dal mancamento che ha avuto dopo aver visto la propria squadra del cuore subire un goal, guardando confuso il paramedico che lo sta facendo rinvenire. Qualche isolato più in là, in un laboratorio universitario, una ricercatrice si lascia sfuggire un’imprecazione di frustrazione dopo essersi accorta di un errore presente in un calcolo svolto il giorno prima. Infine, nell’aula studio sottostante il laboratorio, un giovane laureando si mette le mani nei capelli dopo essere giunto alla conclusione che le forze cosmiche stiano in qualche modo cospirando per intralciare il processo di scrittura della sua tesi. Tre momenti di tre vite diverse, accomunate da una sola parola: stress.

È raro, al giorno d’oggi, dare particolare peso allo stress e alle sue conseguenze. Il termine stesso si è lentamente integrato nella società moderna: è divenuto una condizione ubiquitaria, normalizzata, accettata, senza che la maggior parte delle persone lo notasse o potesse spiegare la sua presenza costante nelle nostre vite. Semplicemente, oggi è normale essere stressati: casa, università, lavoro, scuola… Lo stress è ovunque e ci viene detto che la soluzione per sconfiggerlo è tirare avanti, perché il mondo non aspetta e perché solo chi doma lo stress può avere successo nella vita. Il nostro stress viene così preso e relegato in un angolo della mente con la promessa di occuparsi del problema in seguito, come per una muffa d’appartamento. C’è altro a cui pensare: scadenze da rispettare, lezioni da gestire e informazioni da elaborare. Scomparsa la mole di cose da fare, si potrà risolvere lo stress. Ed è così che, a poco a poco, quella muffa si diffonde, superando non vista i confini invisibili in cui l’avevamo relegata, per poi estendersi lungo le pareti. E a questo punto è troppo tardi per l’antimuffa.

risposta allo stress HPA

Cos’è lo stress e come opera

Possiamo definire lo stress come l’insieme delle reazioni fisiologiche messe in atto da parte di un organismo per far fronte a una situazione di pericolo. In altre parole, lo stress nasce quando il corpo percepisce un fattore di disturbo, chiamato stressore, e innesca una serie di reazioni a catena nel nostro organismo volte a preparare il corpo alla fuga o alla lotta. Già da questo possiamo intuire come lo stress sia un meccanismo condiviso in tutto il mondo naturale, piante e organismi unicellulari inclusi, e come mai tale meccanismo sia stato favorito dall’evoluzione e mantenuto fino ai giorni nostri: in caso di emergenza, aumenta le probabilità di sopravvivenza di un individuo.

Negli umani, la percezione di uno stressore attiva due tipi di risposte: una rapida, chiamata SAM, e una lenta chiamata HPA, seguendo un programma di attivazione, mantenimento e disattivazione. La risposta SAM (acronimo di Sympathetic Adrenal Medullary Axis) si verifica subito dopo la percezione del pericolo e agisce, come dice il nome, sul sistema simpatico, una branca del sistema nervoso autonomo, scatenando il rilascio di ormoni, tra cui adrenalina e noradrenalina, nel circolo sanguigno da parte delle ghiandole surrenali. Gli effetti di queste molecole sull’organismo possono essere immediati, come accelerare il battito cardiaco e aumentare la pressione sanguigna, o più lenti, come attivare la risposta HPA.

La risposta HPA (Hypothalamic Pituitary Adrenal Axis) agisce anch’essa sulle ghiandole surrenali ma contattando tali strutture non tramite il sistema simpatico bensì l’ipotalamo e l’ipofisi, favorendo in questo modo il rilascio di un altro ormone importante associato allo stress, il cortisolo. Mantenendo elevati i livelli di cortisolo nel circolo sanguigno, l’HPA prolunga lo stato d’allarme, innescando al contempo una serie di effetti secondari, come aumentare l’afflusso di sangue ai muscoli o spegnere tutte le funzioni corporee reputate non necessarie in una condizione di pericolo, come la digestione. Come conseguenza della risposta HPA, il corpo viene reso reattivo, pronto a compiere uno sforzo fisico e maggiormente consapevole dell’ambiente circostante, mantenendo lo stato di allerta fino a quando l’individuo smette di sentirsi minacciato.

Una volta passato il pericolo, avviene la fase di spegnimento: corpo e mente si rilassano, l’organismo smette di produrre ormoni da stress e inizia a rimuovere quelli ancora presenti, le scorte energetiche andate perdute durante la fase di stress vengono ripristinate. In altre parole, il corpo ritorna lentamente a una condizione di quiete, ripristinando i propri valori fisiologici normali.

Cosa succede, dunque, se la fase di spegnimento non si verifica? La risposta è ovvia: il nostro organismo prorogherà lo stato di allerta, continuando a secernere ormoni, a esaurire le proprie riserve energetiche e ad affaticarsi di conseguenza. Esattamente come un muscolo dopo aver compiuto attività fisica, anche il corpo necessita di riposarsi dopo un evento di stress. In caso contrario, l’organismo non solo perderà la propria efficienza ma correrà un non trascurabile rischio di danneggiarsi, anche in modo irreversibile.

studente maschio stressato
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Stressori comuni e conseguenze da stress

Sebbene la condizione di stress si sia evoluta per dar modo a un individuo di far fronte a un pericolo, essa viene attivata anche quando l’organismo crede solamente che ci sia un pericolo, a prescindere che questo sia reale o meno.

In paesi altamente urbanizzati è improbabile che stressori come la presenza di un predatore siano particolarmente comuni tra i cittadini, tuttavia sono presenti moltissimi stressori diversi, di natura principalmente sociale, che ci allertano in continuazione della loro presenza. Stressori come l’ansia accademica, le difficoltà relazionali, il forte rumore, il traffico o la scarsa qualità dell’ambiente domestico o lavorativo sono solo alcuni degli elementi presenti continuamente nelle nostre vite che contribuiscono a rendere lo stress una condizione cronica, avendo, di conseguenza, diversi effetti deleteri.

La maggior parte delle cellule dei tessuti umani è sensibile al cortisolo, il che comporta che un’eccessiva presenza dell’ormone per un periodo prolungato abbia una reazione che coinvolge molteplici strutture dell’organismo, dal sistema circolatorio a quello nervoso. Tra le conseguenze più comuni abbiamo un aumento di incidenza delle malattie cardiovascolari, come ipertensione e tachicardia, e disturbi all’apparato gastrointestinale, come gastriti ed ulcere. Dal momento che gli ormoni dello stress alterano anche la produzione di citochine, le molecole che causano la risposta infiammatoria, essi possono aumentare il rischio di sviluppare malattie autoimmuni o infiammazioni croniche, come l’arteriosclerosi. Ai danni fisici all’organismo, si aggiungono anche le conseguenze deleterie sulla salute mentale, dato che lo stress cronico è spesso associato a insonnia, ansia, depressione e calo nel rendimento.

Gli studenti universitari si trovano nella fascia d’età demografica in cui i disordini da stress sono più comuni e sono una comunità particolarmente prona a sviluppare sintomatologie da stress. Alle difficoltà legate a fenomeni come il riadattamento del proprio stile di vita, la presenza continua di scadenze burocratiche o la semplice pressione accademica, possono unirsi stressori quali la paura del fallimento, l’ansia da prestazione e il generale timore che il proprio investimento in termini di fatica, denaro e anni di studio possa non generare alcun ritorno.

Tutte queste preoccupazioni, solitamente ignorate a causa dell’alto carico di studio o accentuate dalle aspettative genitoriali e dell’ambiente universitario, hanno fatto sì che il numero di studenti che chiede aiuto psichiatrico sia aumentato rispetto agli anni ’90 in molti paesi Occidentali, come Stati Uniti e Gran Bretagna, il che può anche essere interpretato come una buona notizia, dato che indica che le nuove generazioni siano più inclini a chiedere aiuto. Gli studenti più vulnerabili sono quelli delle facoltà sanitarie, dove alla pressione accademica si uniscono le difficoltà dovute alla natura della professione, che richiede alla persona di essere continuamente presente in situazioni emotivamente stressanti con la necessità di mantenere il distacco professionale. Secondo un’indagine del 2010, il 14% degli studenti delle facoltà sanitarie rientrano nei criteri diagnostici per depressione media o severa, mentre altri dati, suggeriscono che questa percentuale sia maggiore, e si aggiri tra il 20 e il 30%. Non a caso, è proprio tra queste discipline che è comune il burnout, un meccanismo comportamentale di reazione allo stress che consiste nell’isolamento e nel rifiuto totale della propria occupazione.

Come combattere lo stress

Nella società occidentale, ormai, studio e lavoro non sono più considerati semplici mezzi per garantire l’autosufficienza, ma sono divenuti col tempo dei veri e propri parametri per determinare lo status sociale di una persona: oggi è comune distinguere i mestieri in “buoni e cattivi” o accostare al successo ottenuto in ambito lavorativo il successo personale e la percezione di un’alta qualità della vita. Questo tipo di clima competitivo rende comune la pratica di interiorizzare il fallimento accademico o lavorativo, accostando ad esso un significato emotivamente negativo. Come conseguenza, la paura del fallimento o di rimanere indietro rispetto ai colleghi sono divenute tra le cause principali che spingono una persona a trascurare le ripercussioni di uno stress eccessivo.

Dato che lo stress nasce come risposta dell’organismo a un fattore ambientale, la maggior parte delle soluzioni per limitare il suo impatto consistono nello spegnere lo stressore, riottenendo qualche misura di controllo sull’ambiente circostante. Questo è ovviamente difficile da realizzare per la maggior parte degli ambienti lavorativi; tuttavia, anche solo migliorare le condizioni della propria abitazione, ad esempio riordinando il proprio studio o la propria stanza, può avere effetti positivi sulla salute mentale, aiutando a ridurre il carico da stress durante l’arco della giornata.

Anche l’attività fisica risulta essere propedeutica per ridurre lo stress, così come compiere attività di svago che consentano alla mente e al corpo di riposare e ricevere nuove informazioni dall’ambiente circostante. Infine, associare al compimento della attività un feedback positivo, come festeggiare la buona riuscita di un esame, ha effetti positivi sul rendimento e migliora sia la tolleranza allo stress che il valore personale dato all’attività stessa, dato che dà modo all’organismo di recuperare fisicamente ed emotivamente.

L’isolamento, d’altro canto, non è una risposta funzionale, dato che rende l’individuo impervio al cambiamento e prono allo sviluppo di routines auto sabotanti, come il divenire refrattario o scettico alle nuove opportunità. Esso tende anche ad aggravare molte delle sintomatologie da stress cronico, dato che rimuove la possibilità di ricevere feedback e monitoraggio esterno, aumentando la vulnerabilità a condizioni come depressione, ansia e disturbi alimentari o del sonno. Oltre a ciò, l’isolamento può impattare negativamente la capacità decisionale, peggiorando il rendimento e, in generale, portando un individuo a fare valutazioni errate e, di conseguenza, compiere errori.

In conclusione, essendo una reazione fisiologica, si deve cercare di considerare lo stress come un fattore con cui l’uomo è costretto a convivere, senza tuttavia normalizzare la sua presenza nelle nostre vite come un semplice costo per l’essere membro di una comunità. Lo stigma legato allo stress porta molte persone, ogni anno, a trascurare i suoi effetti deleteri; per questo è determinante trattare la sintomatologia da stress come tratteremmo qualunque malattia, ossia prendendo i necessari provvedimenti.

Lo stress esiste da milioni di anni perché può apportare notevoli benefici se applicato correttamente: non dobbiamo infatti scordarci che è lo stress a darci spesso la motivazione per completare un’attività difficile e a darci quel senso di soddisfazione dopo il suo completamento. Non dobbiamo però scordarci che esso ci rende degli scattisti, non dei maratoneti; pertanto, è necessario che tale meccanismo venga spento, regolarmente, perché abbia un funzionamento corretto.

di Giacomo Rubini

Questo articolo è stato realizzato per la rubrica Comunicare la scienza, realizzata in collaborazione con gli studenti del Master Cose dell’Università degli studi di Parma

Link utili:

The relationship between job stress, burnout and clinical depression

Stress and Quality of Life Among University Students: A Systematic Literature ReviewThe relation of depression and anxiety to life-stress and achievement in students

Coping styles in animals: current status in behavior and stress-physiology

Environmental StressMindfulness interventions in medical education: A systematic review of their impact on medical student stress, depression, fatigue and burnout

Stress and decision making: effects on valuation, learning, and risk-taking

Stress as a trigger of autoimmune disease

The brain and the stress axis: The neural correlates of cortisol regulation in response to stress

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