Da Parma a Leopoli: le Missioni Valentina del giornalista Luigi Alfieri per aiutare gli ucraini

“La guerra è la vita quotidiana violentata. I bambini, appena scesi dagli autobus che li hanno portati in salvo, avevano di fianco una montagna di giocattoli. Non li hanno degnati di uno sguardo”

Luigi Alfieri, scrittore, giornalista, per dieci anni caporedattore della Gazzetta di Parma, ha aggiunto il suo nome e quello di alcuni altri volontari all’elenco di chi si è impegnato personalmente per aiutare in Ucraina. Vi abbiamo già parlato di altre missioni umanitarie parmigiane, che si sono spinte fino ai confini occidentali dello Stato belligerante, ma questa volta è andata diversamente. Le Missioni Valentina – così chiamate in onore di Valentina Pushich, medico rianimatore che, nei primi giorni dell’invasione, è rimasta uccisa da bombardamenti russi mentre soccorreva feriti al fronte – non si sono infatti fermate alle frontiere ucraine, ma le hanno varcate, arrivando fino a Leopoli.

Organizzare una missione umanitaria

“Allo scoppiare della guerra in Ucraina – spiega Alfieri – mi chiedevo come potessi aiutare, ed è arrivato in aiuto mio cugino, Andrea Pelosi, che mi ha parlato di un progetto di beneficenza organizzato da un’associazione legata a Tesla”.

Tesla Owners Italia, infatti, associazione di proprietari dei noti veicoli elettrici, ha dato vita a un’iniziativa volta a trasportare beni di prima necessità fino ai confini e all’interno del territorio ucraino. Come spiega Alfieri, “noi eravamo interessati ad aiutare, ma abbiamo pensato che con una Tesla non avremmo potuto portare molto agli ucraini, così ci siamo procurati un piccolo furgone, abbiamo raccolto il possibile, e siamo partiti”.

“Abbiamo fatto un appello sui social network, mezzo di comunicazione potentissimo, se usato bene. È stato possibile, per donare, acquistare medicinali a prezzi scontati alla Farmacia Costa, in via Emilia Est, e in 24 ore abbiamo raccolto circa 30mila euro di farmaci e altri prodotti, consegnati direttamente a casa mia o allo studio dentistico Pelosi. Destinatario di tutto questo era padre Igor, rettore del seminario greco cattolico di Leopoli, che è stato individuato da Tesla Owners”.

Sulla destra, Luigi Alfieri e Padre Igor

Missione Valentina I

Il 18 marzo, alle cinque di mattina, il furgone carico di beni di prima necessità è partito verso est. Dopo 19 ore è giunto a Cracovia, distante 1400 chilometri dal punto di partenza, dove un breve ma meritato riposo ha accolto la missione umanitaria. Nella prima mattinata del 19 marzo sono ripartiti con destinazione finale Przemyśl, città polacca sita al confine con l’Ucraina, dove Padre Igor e altri volontari hanno raccolto le donazioni dei parmigiani. 

“Abbiamo portato il materiale sufficiente per 700 operazioni chirurgiche. Ricorderò sempre il grande abbraccio che ci siamo scambiati con padre Igor: l’Italia ha abbracciato l’Ucraina”. 

Il viaggio di marzo, primo capitolo della Missione Valentina, è stato, come dichiara Alfieri, “difficile e ricco di incognite”. A motivarlo, oltre ai pragmatici aiuti umanitari trasportati, anche la speranza di smuovere le coscienze. In quanto giornalista e scrittore, in quanto, dunque, uomo di parole e frasi, uomo di comunicazione, ha pensato che la missione sua e del cugino Pelosi avrebbe potuto influenzare positivamente molte persone “normali”. 

“Ho voluto documentare ogni momento, dalla raccolta alla consegna e conseguente ritorno a casa, per lanciare un messaggio: se due come noi – ride – possono fare tutto questo per aiutare, può farlo chiunque, davvero chiunque”. 

Post, foto, video e dirette su Facebook hanno aperto una finestra sul viaggio della Missione Valentina. Hanno fatto sentire le persone rimaste a casa “parte di qualcosa”.

“Continuavano ad arrivarmi messaggi: ‘facci vedere qualcosa!’. Credo sia fondamentale, grazie anche all’incredibile strumento che sono i social network, far vedere a tutti ciò che vediamo, far vedere a tutti che chiunque può fare la sua parte”. 

Padre Igor, a destra

Missione Valentina II

Fresco di ritorno dal confine polacco, Alfieri inizia a organizzare un secondo viaggio, questa volta ben più attrezzato, numeroso e consapevole; la destinazione sarebbe stata proprio nello Stato belligerante: Leopoli. Letteralmente, la città del leone. E a un “leone della resistenza”, come lo definisce Alfieri, sono stati recapitati, nuovamente, parte degli aiuti umanitari. 

Sono tre i veicoli partiti per questa seconda sortita ad oriente, il 31 marzo. Insieme ad Alfieri, Andrea Pelosi, Maria Elena Fiorini, Maurizio Maria Rota, Giovanni Capece e Corrado Pattonieri. Il viaggio di ritorno li ha riportati a casa il 2 aprile. 

“Ci avanzava ancora qualcosa dalla prima missione, e in totale i furgoni erano colmi di farmaci, attrezzature mediche, vestiti, giocattoli, cibo. Quasi tutta la merce l’abbiamo data a padre Igor. I materiali per le operazioni chirurgiche sono stati consegnati ad Adriana Barylyak, dottoressa Ucraina che coordina la distribuzione agli ospedali. Infine, tutto ciò che era destinato ai bambini, è stato portato a suor Giustina, che accoglie piccoli profughi a Leopoli”. 

In questa seconda spedizione Alfieri dichiara di aver fatto molto più il “giornalista”, dedicando il poco tempo libero a osservare, fotografare, riflettere. Una riflessione, in particolare, è potentissima e violentemente reale: “La guerra è la vita quotidiana violentata. La guerra è dolore, è morte, ma non solo. La guerra è il mood della gente, è il loro sentimento nei confronti della vita. La guerra non è solo la donna stuprata, il soldato morto, gli edifici distrutti, ma è la vita quotidiana distrutta”.

Donne, preghiere e spie

Morte, vita e resistenza che in precario e vacillante equilibrio regolano le esistenze di milioni di persone. La guerra, dalle parole di Alfieri, pare essere tanto nelle bombe quanto riflessa negli occhi delle donne, riunite in preghiera, a piangere i caduti, a invocare protezione per chi ancora è in piedi. 

“Mi hanno colpito le chiese e i cimiteri. Ogni parrocchia raccoglie le foto dei caduti locali, e ovunque si vedono donne che pregano con un’intensità tale da farla sentire nell’aria circostante. L’Ucraina vive quasi un culto foscoliano della morte. I caduti, quando possibile, ricevono degna sepoltura, vengono pianti e celebrati, vengono ricordati. Le madri ucraine, almeno, i loro figli, mariti, fratelli, possono piangerli. Le madri russe, invece, non hanno notizie, non vengono informate, e i corpi dei loro ragazzi vengono cremati in terra straniera”.

Incorrerebbe in grande errore però chi crede che le donne ucraine passino il tempo unicamente a piangere e pregare. Un interessante aneddoto raccontato da Alfieri rende l’idea di quale sia l’atmosfera in Ucraina, di come sia ormai orientato il pensiero degli abitanti, di come si diffidi da tutto e tutti.

“Durante il viaggio un mio compagno si fermò per scattare alcune fotografie a un interessante edificio. Una signora si è avvicinata chiedendo, in un inglese stentato, cosa stesse facendo. Lui ha risposto che stava semplicemente scattando delle fotografie, ed è tornato sul veicolo. Pochi chilometri più avanti, lungo la strada, siamo stati fermati a un posto di blocco ucraino. Volevano sapere perché fossimo lì, cosa stessimo facendo, perché fotografassimo. La signora aveva probabilmente chiamato per avvertirli, credevano fossimo spie”. 

Grazie a documenti ufficiali forniti dalla Farnesina, attestanti gli scopi di missione umanitaria del gruppo, e anche a una buona opera di convincimento, il gruppo ha potuto proseguire e portare a termine il suo progetto.

Dogana Polonia – Ucraina

La vita in un sacchetto di plastica

“Un giorno, alla frontiera, sono arrivati i profughi di Mariupol. – racconta Alfieri – Da due autobus gialli stracolmi sono uscite persone stravolte. Alcune ferite, altre senza gambe. Gli occhi vuoti, spenti. I bambini, appena scesi dagli autobus, avevano di fianco una montagna di giocattoli. Non li hanno degnati di uno sguardo, li hanno ignorati. Questa è la guerra, e queste cose le vedi solo se vai lì. Quelle persone avevano tutta la vita in un sacchetto di plastica; che futuro li aspetta? Che vita li aspetta? E che vita stanno vivendo? La sirena suona, di notte, e devi scappare per nasconderti. Ad allarme cessato, torni a dormire, se ci riesci, e la sirena suona nuovamente. Questa non è vita, è l’inferno in terra” conclude Alfieri che è già pronto per partire per la missione Valentina 3 nei prossimi giorni che cercherà di arrivare fino a Kiev per documentare questa tragedia che colpisce tutta l’Europa.

Le Missioni Valentina hanno aiutato, regalando sorrisi e speranza. Eppure non è lecito dimenticare l’orrore del conflitto, il dolore degli indifesi, e, primi fra tutti, dei bambini. Un bambino che non degna del più minimo interesse, del più piccolo e ingenuo e puro sguardo una montagna di giocattoli, non è più un bambino. È un’esistenza, ma non una vita. Un’esistenza tranciata, segnata, violentata, marchiata a fuoco. Molti di loro, soli. La paura costante dell’ “altro” li tiene per mano. La muta rassegnazione alle condizioni. L’innocente stoicismo infantile, quintessenza della resilienza umana. La guerra è tragedia a lungo termine, è garanzia di successivi vuoti, dolori, ansie; è l’ombra del vissuto proiettata davanti alle sue vittime.

di Alex Iuliani

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