I social non fanno la felicità

Quanto spesso ci dimentichiamo di vivere la vita per inseguire una felicità fittizia che dura 15 secondi

La vita è fatta di momenti: siano belli o brutti, ormai non siamo più in grado di viverli a pieno.

Abbiamo iniziato a perdere la nostra spontaneità divenendo a tutti gli effetti veri e propri utenti, spersonalizzati e semi-automi, che postano solo momenti felici e spensierati della propria vita: una vacanza insolita in una meta esotica, un caffè con gli amici, una serata memorabile, un bacio, un aperitivo, una serata galante, una festa rinomata…

Tutto finisce sui social, indipendentemente dal reale stato d’animo che ci attraversa in quei particolari momenti. Questi ultimi sono vissuti attraverso il filtro di una camera, di un cellulare che riprende, dal vivo, ciò che capita intorno a noi. Ciò che viviamo è una felicità filtrata, che ha il sapore patinato e semi reale degli effetti della telecamera di Instagram.

Ci nutriamo di una realtà irreale, viviamo in un mondo insapore, senza sentimenti reali; proviamo emozioni che, attraverso uno schermo, non renderanno mai l’idea di quell’istante particolare che è stato creato per essere postato sui social.

Viviamo di like, condivisioni e visualizzazioni; viviamo di storie che durano 24 ore, per poi svanire del tutto, non solo dalla piattaforma sulla quale sono state pubblicate, ma anche dalla nostra memoria e, anche se usiamo le “storie in evidenza” di Instagram, non ci ricorderemo di determinati momenti fino a quando non sfoglieremo quell’album dei ricordi virtuali che ci siamo creati. 

Che cosa dimostriamo a noi stessi nel presentare agli altri solo i momenti più belli della nostra giornata? Che cosa vogliamo dimostrare al mondo? Di essere perfetti e sempre felici? Forse di avere una vita sempre piena di movimento e di inviti come i VIPs…come se fosse importante.

Corriamo e rincorriamo talmente tanto la vita da social, che ci dimentichiamo di vivere la nostra, di vita. Lo specchio delle brame rappresentato dai social, ci ha ormai in pugno e ci continua ad ammaliare con una realtà che non è tale; nella nostra folle corsa ci stiamo dimenticando di quanto sai bella la lentezza, il percorrere a passo d’uomo la vita quotidiana, il vivere le emozioni nella loro interezza, senza frenarne lo slancio.

Abbiamo talmente soffocato le nostre emozioni che pensiamo di presentarle nella loro totalità attraverso i social, ritenendo che quello che lasciamo trasparire sia più reale di quello che viviamo. Stiamo perdendo il contatto con la realtà, con tutto ciò che ci circonda e con le persone reali che sono intorno a noi; facciamo ciò in nome di una virtualità e una connessione che rende reale ciò che non lo è.

Portando alle estreme conseguenze la relazione con i social, si potrebbe parlare della realtà virtuale. Quest’ultima, infatti, è uno dei più grandi paradossi mai creati, dal momento che nella virtualità si cerchi di ricreare la realtà in tutti i suoi aspetti visivi e non. 

Almeno una volta nella vita avremo sentito la fatica frase “ai miei tempi non era così”, sentenza lanciata dal pulpito di genitori o nonni reduci di un’altra era. Beh, in questo caso hanno proprio ragione. Prima della tecnologia c’era un altro modo di vivere e, sotto certi punti di vista, molto più genuino e vero. Il tempo era fatto davvero da ore, giorni, mesi: i secondi non contavano.

In quell’era passata forse si sapeva ancora che cos’è la felicità pura, l’emozione di rivedere le persone dal vivo dopo un lungo periodo di lontananza. Certo al giorno d’oggi ci sono le videochiamate, ma non sono la stessa cosa. La pandemia lo ha dimostrato: vedersi in chiamata non può sostituire la forza del riceve un abbraccio o un bacio. Può solo rappresentare un palliativo, ma non è la cura adatta alla nostalgia.

Capita sempre più spesso che ci nascondiamo dietro le videocamere come per sfuggire dal contatto umano, come se fossimo davvero spaventati di ritrovare il contatto con ciò che proviamo a stare con gli altri. 

Tuttavia, ulteriore paradosso: la connessione sempiterna garantita dagli stessi social. Sempre online, sempre connessi, sempre a chattare per poter colmare le distanze che noi stessi ci siamo creati: è triste ammetterlo, ma siamo allo stesso tempo vicini e lontani, amici e sconosciuti… Ci sentiamo tutti i secondi, tutte le ore, ma non sappiamo stare insieme davvero nella stessa stanza a guardarci negli occhi e parlare, senza il bisogno di una tastiera o senza il velo di un filtro Instagram. 

Come ci si può sottrarre al canto delle sirene dei social? In un certo senso ‘tappandoci le orecchie con la cera’ come fecero i compagni di Odisseo rimanendo offline, togliendo la connessione per un po’ di tempo e riallacciarsi alla realtà. Spesso, per potersi riallacciare anche con sé stessi, è importante ritirarsi nel silenzio dell’interiorità. Spesso, per poter ritornare alla forza delle emozioni, basta silenziare il cellulare.

Disconnettiamoci dal mondo virtuale e riconnettiamoci alla realtà. Ritorniamo ad esserci davvero, presenti nel mondo, nelle situazioni e nelle relazioni. Ritorniamo a noi stessi, alle nostre emozioni, alla nostra umanità spegnendo il cellulare e riaccendendo la vita.

di Erika V. Lanthaler 

 

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