I giovani non vanno più a votare: ma è tutta colpa loro?

Da diversi anni il dato dell'affluenza giovanile è in costante calo: le ragioni però sono ben più profonde del semplice disinteresse

Le persone non vanno più a votare. Negli ultimi anni giornalisti, politici e studiosi, hanno cercato di dare una risposta a questo crescente astensionismo, spesso tirando fuori la carta del disinteresse nei confronti della politica. Quello che però si tende a dimenticare è il dato dell’astensionismo giovanile, che segna livelli davvero allarmanti. In attesa delle elezioni e del referendum dell’11 e 12 giugno, proviamo a fare un’analisi più profonda su questi dati.

I numeri

Uno studio del New York Times del 2020 rivelava che in alcune nazioni la percentuale di affluenza generale alle elezioni era stato fino a 20 punti più alta rispetto al dato relativo ai giovani. In paesi come gli Stati Uniti, la Svizzera e la Gran Bretagna il dato giovanile si aggirava tra il 35 e il 50% degli aventi diritto di età 18-29 e l’Italia non era messa meglio, con il suo 69%.

Ancor più eclatanti sono stati i dati sulla partecipazione giovanile alle elezioni francesi dello scorso aprile, quando il 42% dei nuovi elettori si è astenuto al primo turno, raddoppiando il dato delle precedenti elezioni.

Non è andata meglio nemmeno alle elezioni del CNSU, tenutesi nella nostra Università tra il 17 e il 19 maggio, dove ha votato solo il 6,6% degli studenti dei corsi di laurea. Il dato nel 2019 era al 14,8%, in grande calo anche in questo caso.

Perché c’è stato questo crollo della partecipazione dei giovani a referendum ed elezioni? É davvero questione di disinteresse nei confronti della politica o ci sono ragioni più profonde?

Una classe politica inaffidabile

Molto spesso vedendo i dati che riguardano l’affluenza giovanile la risposta che viene data è che i giovani non sono più interessati alla politica e che preferiscono concentrarsi su altro (social, vestiti all’ultima moda e telefoni costosissimi); una visione che ci vede, quindi, come ragazzi privi di conoscenze e interessati solo agli aspetti superficiali della vita. La realtà è ben altra.

A mio avviso, in Italia, una delle principali cause del distacco dei giovani nei confronti della politica, è proprio la nostra classe politica. Negli anni si sono susseguiti eventi che si sono alternati tra il ridicolo e il patetico e che hanno sicuramente contribuito a scalfire la già carente fiducia dei giovani italiani nei confronti del potere politico.

Ricorderete sicuramente l’umiliazione che ha da poco subito il Parlamento quando, dopo l’ennesima fumata nera, Mattarella è stato invitato a rimanere alla Presidenza della Repubblica in mancanza di un accordo tra i partiti. Il problema non erano i candidati proposti o una maggioranza assoluta irraggiungibile, ma l’indisposizione dei partiti politici a unirsi e lavorare insieme per il Paese, in un periodo difficile come quello che viviamo.

Si è preferito dare voti ad Alberto Angela e Valeria Marini, mentre i cittadini, preoccupati per l’emergenza Covid-19 ed il probabile scoppio di una guerra in Ucraina, guardavano impotenti questo spettacolo indecente.

E come dimenticare poi la figuraccia che Salvini ha fatto in Polonia lo scorso marzo. Quel video ha fatto il giro del mondo e sicuramente non ha attirato giovani elettori al partito leghista. Non si può nemmeno evitare di parlare di un presidente – Silvio Berlusconiche, nonostante diversi problemi con la giustizia (ricordate il Rubygate?) continua a guidare il suo partito nella speranza di diventare – non si sa quando – Presidente della Repubblica.

La bocciatura del DDL ZAN ha sicuramente aggravato la sfiducia dei giovani. L’amarezza, però, è stata rafforzata dal modo in cui i parlamentari hanno accolto la notizia – con applausi euforici, superando quasi i cori da stadio che solitamente sentiamo ai mondiali di calcio.

Sono tanti gli eventi di cui potrei parlare, ma non posso concludere senza citare i molteplici governi formati e poi crollati che si sono susseguiti nell’ultimo decennio, che dimostrano quanto gli interessi personali di tutti i partiti italiani e dei singoli esponenti politici siano più importanti degli interessi dei milioni di italiani che li hanno portati in Parlamento.

Un insieme di fattori che quindi ha contribuito sicuramente al calo vertiginoso nella partecipazione dei giovani (e non) alle elezioni politiche e ai referendum.

Assenti al voto presenti in piazza

Il problema di questo calo non è il disinteresse dei giovani, ma un forte senso di sfiducia che porta noi giovani ad evitare l’appuntamento elettorale. Infatti i social e le tante manifestazioni organizzate nell’ultimo periodo, testimoniano invece come i giovani siano ancora molto interessati al proprio futuro e al modo in cui il proprio paese viene governato.

Dopo la bocciatura del DDL Zan i membri della comunità LGBTQ+ e tanti altri giovani sostenitori sono stati i primi a far sentire le proprie voci manifestando nelle principali piazza italiane. La notizia è stata accolta dai principali telegiornali quasi come un evento raro, mentre invece non era la prima volta in cui ciò accadeva. Allo stesso tempo, in tantissimi su Twitter, hanno espresso il proprio dissenso nei confronti della decisione presa dal parlamento giudicando indecente il fragoroso applauso che scoppiato appena ricevuti i risultati.

Episodi simili sono accaduti anche per la decina di incidenti mortali avvenuti durante i percorsi di alternanza scuola-lavoro. In quei casi, le proteste hanno rappresentato perfettamente lo stato d’animo degli studenti, che chiedevano l’abolizione di questi programmi, introdotti dal ex premier Matteo Renzi.

Non possiamo dimenticare ovviamente le tematiche ambientali. A differenza delle vecchie generazioni, i giovani stanno cercando di adottare comportamenti che possano almeno rallentare l’inevitabile catastrofe, ma è ovviamente impossibile raggiungere risultati concreti in mancanza di interventi da parte dei governi nazionali.

Proprio a causa di questa continua procrastinazione e mancanza d’interesse da parte della classe politica, ragazzi provenienti da tutto il mondo hanno iniziato a protestare guidati dai paladini del movimento Friday’s for future, capeggiato da Greta Thunberg.

Basta passare alcuni minuti su Twitter per comprendere come effettivamente le nuove generazioni siano coinvolte nel dibattito che riguarda le tematiche centrali del panorama politico, distinguendosi dalle altre fasce della società proprio per una convinta lotta a qualsiasi tipo di discriminazione, un forte rispetto per il pianeta che abitano e anche uno sguardo attento sui problemi sociali.

Educare alla politica

Un discorso a parte merita la scarsa conoscenza della politica da parte di molti studenti che spesso, arrivati al momento del voto, preferiscono farsi suggerire dai propri genitori o ancora peggio, non presentarsi alle urne. Questo è soprattutto dovuto a una forte carenza del nostro sistema scolastico, che si imita a impartire nozioni e lascia fuori argomenti che riguardano la vita quotidiana, che invece meriterebbero di essere trattati in maniera approfondita.

Molti si lamentano del fatto che – usciti dal contesto scolastico – non sono in grado di fare cose basilari, di organizzare la propria vita in maniera indipendente, trovandosi spesso a doversi affidare ancora una volta ai propri genitori. Sarebbe quindi importante formare tra i banchi di scuola dei veri e propri cittadini consapevoli (ad esempio in grado di compilare documenti ufficiali, scrivere il proprio CV, pagare le bollette o gli assegni) e magari organizzare dibattiti per discutere di politica con i propri compagni e poter sviluppare il proprio pensiero politico liberamente.

Questo potrebbe migliorare la situazione della bassa affluenza, perché renderebbe chi si appresta a votare per la prima volta, più responsabile e consapevole del gesto che compie.

Anche gli universitari faticano ad andare a votare

Per quanto riguarda invece gli studenti universitari fuorisede, spesso impossibilitati a recarsi nelle loro città di residenza per motivi economici o di tempo, c’è una buona notizia: anche in occasione del referendum del 12 giugno, si potrà acquistare un biglietto del treno in un biglietteria fisica ottenendo un 60 o 70% di sconto se si viaggia per recarsi a votare: basterà essere muniti di carta elettorale e prenotare l’andata e il ritorno fra il 3 e il 22 giugno.

Rimanendo in ambiente universitario, il problema che riguarda la scarsa affluenza alle elezioni del CNSU riguarda la convinzione collettiva secondo cui il proprio voto non vada a cambiare le sorti della propria università, per cui si ritiene più produttivo rimanere a casa a studiare per la propria sessione o passare il pomeriggio con i propri colleghi.

Cattivo esempio dato dalle vecchie generazioni e un forte senso di impotenza e delusione nei confronti del sistema politico e della gestione del proprio paese sono le prime cause su cui la politica dovrebbe fare un mea culpa prima di tirare in ballo il solito ritornello del disinteresse giovanile.

di Gabriele Scarcia

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