Omicidi di massa e Cultura della Paura: come le armi controllano gli Stati Uniti

La strage in Texas dello scorso 24 maggio è l’undicesima dal 2000 ad oggi: una scia di sangue che sembra inarrestabile

“Una milizia ben organizzata è necessaria alla sicurezza di uno Stato libero e dunque il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non può essere violato” – secondo emendamento della Costituzione Americana.

Quella avvenuta lo scorso martedì 24 maggio in Texas alla Robb Elementary School di Uvalde è l’ennesima, terrificante, strage che ha colpito gli Stati Uniti. Tra le vittime, diciannove bambini e due adulti, tra cui un  insegnante, assassinati a sangue freddo da un ragazzo di 18 anni, poi identificato come Salvador Ramos

Si  tratta della seconda sparatoria scolastica più sanguinosa della storia statunitense e l’undicesima in ordine  cronologico, negli ultimi 22 anni: dal 2000 ad oggi, infatti, solamente il massacro di Sandy Hook del 2012 ha  lasciato più vittime. 

Le ricostruzioni dei Media sul massacro hanno riportato come il giovane, dopo aver  ucciso la nonna nella propria abitazione, sia entrato con un fucile d’assalto nel complesso scolastico e,  aprendo il fuoco, abbia compiuto il tragico atto. In quello che ormai ha tutto il sapore di un rituale che continua a ripetersi senza sosta e, soprattutto, all’apparenza senza una soluzione, è un nuovo indelebile massacro che allunga la scia di sangue e riaccende il dibattito sulle armi, sul loro possesso ed utilizzo. 

Le parole di Joe Biden non bastano ad alleviare il dolore  delle vittime: il presidente, con un discorso alla nazione, si è dichiarato stanco e disgustato (come il resto del mondo), oltre che pronto ad agire con leggi che possano limitare e utopicamente eliminare concretamente le sparatorie di massa nel Paese. L’elenco degli istituti scolastici colpiti da queste tragedie è  lunghissimo, doloroso ed impressionante: è necessario attuare riflessioni, analisi e cercare risposte  concrete.  

Gli impressionanti numeri delle stragi negli USA

© MARK LEFFINGWELL AFP

Un’indagine recente del New York Times propone di analizzare il problema sotto diversi punti di vista:  innanzitutto, quando si tratta di violenza armata in contesti civili nel mondo occidentale, gli Stati Uniti si  trovano statisticamente di molto superiori rispetto al resto del Mondo. Sono inoltre i dati relativi agli omicidi di massa ad impressionare maggiormente: 101, dal 2000 ad oggi, al primo posto in una scala di  ordine globale, contro gli 8 della seconda posizione, coperta dalla Francia.  

Il problema del possesso ed utilizzo di armi in America ormai concreto ed indelebile è tuttavia solamente  derivante dalla quantità di armi presenti nel territorio? In parte, in quanto a livello statale e nazionale nel  contesto statunitense, gli studi hanno dimostrato una netta correlazione tra il possesso di armi ed il  numero di morti, che siano essi derivanti da omicidi, suicidi o persino sparatorie da parte degli organi di polizia. Intuitivamente, se le armi risultano maggiormente disponibili per la popolazione e generalmente  acquistabili senza eccessiva difficoltà (la multinazionale catena di negozi al dettaglio Walmart permette  l’acquisto di armi e fucili che, fino al 2020, erano addirittura in esposizione), divengono più frequenti le  sparatorie. 

Il discorso necessita comunque di essere contestualizzato all’interno di un sistema sociale  complesso, a cui arriveremo. Il problema di facilità di accesso alle armi da fuoco resta in ogni caso  inequivocabile, e leggi federali introdotte recentemente considerate più severe sul possesso non sembrano  aiutare: nel resto dell’Occidente è necessaria una licenza che ne permetta l’acquisto, mentre negli Stati  Uniti, a causa di una scarsa applicazione e controllo, chiunque può facilmente prenderne possesso. Numeri  alla mano, sono oltre 40 mila i morti per arma da fuoco nel solo 2021 e 120 le armi ogni 100 abitanti: è il  tasso di possesso per persona più alto del mondo, in un Paese dove la popolazione rappresenta solo il 5% di  quella mondiale ed i civili possiedono paradossalmente il 40% delle armi.

Sono state proposte diverse soluzioni dagli esperti per ridurre le sparatorie di massa, come un maggiore e  più approfondito controllo da parte delle forze dell’Ordine che possa avere la libertà di confiscare armi a persone che mostrano segni di squilibrio mentale o di atteggiamenti violenti, oppure divieti di accesso ad armi pesanti o d’assalto da parte della popolazione. Risulta però difficile individuare o dire esattamente quanto impatto possano avere queste misure, in quanto potrebbero essere aggirate facilmente oppure limitare ma non arrestare completamente gli omicidi. Il problema sembra molto più radicato all’interno del contesto sociale, politico e culturale del Paese.  

All’apparenza impossibile da arrestare, il fiume di sangue degli Stati Uniti infatti non ha un solo colpevole. Se trovarne uno soltanto nella lotta al disarmo è in partenza una battaglia persa, si può però analizzare come sia la stessa Costituzione, citata in apertura, a rendere costante il problema: il Secondo Emendamento della Costituzione Americana recita infatti ed incita ad una cultura, ancora condivisa da molti cittadini e strenuamente sostenuta ed appoggiata dal partito Repubblicano guidato in epoca recente  dall’ex Presidente Donald Trump, del cosiddetto “diritto alle armi” ed al loro relativo possesso, considerato  inespugnabile. 

Nel 2008, inoltre, una sentenza della Corte Suprema dichiarava incostituzionale una legge  della Columbia che limitava il possesso di armi, con la motivazione che il testo della stessa Costituzione fosse chiaro e non risultasse lecito modificarlo. 

L’unica via diretta per provare ad arrestare concretamente l’abuso di armi risulta la via politica della riforma della Costituzione, manovra che ad oggi risulta  particolarmente difficile: per modificare il testo, è necessario, secondo le leggi del Paese, un consenso di almeno il 60% delle due Camere, una percentuale praticamente impossibile da raggiungere con i voti dei  soli democratici e con l’ipotesi di un compromesso con senatori repubblicani piuttosto lontana.  

“Bowling for Columbine”: la Cultura della Paura

Il problema è inoltre complesso e fortemente radicato anche all’interno del contesto sociale degli Stati Uniti. A questo proposito, è impossibile non citare il film documentario di Michael Moore, presentato al  Festival di Cannes nel 2002, intitolato “Bowling for Columbine”. Il tema principale dell’opera è l’uso delle  armi negli Stati Uniti, attuando una riflessione quanto mai drammaticamente attuale, facendo riferimento  alle stragi nelle scuole americane e riferendosi in particolare al massacro avvenuto tre anni prima nella Columbine High School, scuola superiore della cittadina di Littleton in Colorado. 

La massima conclusiva del film è il punto di partenza della riflessione del regista: “Non sono le armi ad  uccidere, sono gli Americani”. Prendendo spunto dalla storia dei due ragazzi artefici del massacro (Dylan ed  Eric), che avevano trascorso parte della mattinata al bowling locale prima di recarsi nella loro scuola per compiere la strage ed in seguito suicidarsi, Moore analizza numerose ipotesi per provare a trovare una  spiegazione all’orrore. Il regista evidenzia quindi l’eccessiva facilità nel dotarsi di armi della nazione, salvo poi constatare che il Canada avesse, in proporzione, quantitativamente più armi e meno omicidi. Oppure ancora analizza una serie di motivazioni che, se studiate approfonditamente, è lui stesso a smentire: l’utilizzo dei videogiochi da parte dei giovani americani, che nella maggior parte dei casi sono invece di  produzione giapponese, le crisi familiari, che risultano però molto più presenti in contesto europeo  piuttosto che statunitense… 

Ogni asserzione sulle possibili cause che indurrebbero alle sparatorie di massa negli Stati Uniti, Moore le analizza e conseguentemente nega. Propone invece una propria personale e terrificante quanto ancora  attuale tesi, che definisce “cultura della paura”. La differenza con il resto del mondo è radicata in quella che  sottolinea essere una vera e propria cultura, messa in atto da mezzi di informazione e dalle forti pressioni e differenze sociali. Un sistema, quello statunitense, che trova fede anche nelle parole di Donald Trump, quando, in epoca presidenziale, sostenne che l’unico modo per evitare le stragi e sparatorie di massa nelle  scuole fosse farle controllare da poliziotti o, addirittura, dotare gli insegnanti di armi da fuoco. 

Riflessioni  impressionanti e ragionevolmente assurde: dotare i sistemi scolastici o anche solo il contesto civile di  ancora più armi non è certamente una possibile soluzione logica, semmai getta benzina sul fuoco.

In un clima di paura sociale, dove il prossimo e lo sconosciuto diventano un nemico e dove è radicata nella  società l’idea che possedere armi sia un diritto innegabile, il problema delle sparatorie di massa e del  possesso di armi negli Stati Uniti assume l’aspetto terribile di un meccanismo inarrestabile, ossessivo e  spaventoso, in una Nazione che non sembra trovare pace.

di Roberto Ligorio

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