Artemis: una promessa spaziale grande quanto la Luna

Per quanto afflitto da un problema tecnico, a breve partirà la prima missione del nuovo programma spaziale di Nasa ed ESA che ci riporterà sulla Luna e che ha l’obiettivo finale di condurci dove nessuna sonda ci ha mai portati prima

Lunedì scorso milioni di appassionati si sono sintonizzati sui canali social della Nasa, in previsione del lancio più importante degli ultimi trent’anni. Per tutta l’estate la fibrillazione li ha tenuti infatti svegli, consapevoli che presto il giorno della partenza della prima missione Artemis sarebbe giunto. Per mesi report quotidiani, tweet da parte di ingegneri e programmatori hanno in una certa misura tentato di arginare o soddisfare la richiesta spasmodica di dettagli tecnici, da parte degli astrofili più incalliti. Anche in Italia si è potuto partecipare attivamente all’hype crescente di questa estate, che ha fagocitato l’attenzione di buona parte degli appassionati di astronomia ed esplorazione spaziale tramite le dirette e i video esplicativi degli influencer che hanno trattenuto per giorni l’attenzione alta, amplificando ulteriormente la loro programmazione da quando era diventato chiaro come l’inizio della settimana scorsa era stato scelto per divenire il momento tanto atteso.

Il 29 agosto tutto sembrava pronto. La navicella Orion era stata collocata sopra il razzo SLS. Il meteo prevedeva bel tempo fin oltre le undici del mattino. Gli ingegneri stavano pompando ossigeno ed idrogeno liquido nei serbatoi, il carburante con cui alimentare la reazione all’interno dei booster che avrebbero permesso al razzo SLS di lottare contro la forza di gravità e di portare la navicella al di là della termosfera terrestre, oltre gli 80 km dalla superficie della Florida. Poi però è sopraggiunto il problema tecnico, che ha colpito i serbatoi dell’idrogeno e ha dato il via ad uno slittamento temporaneo della missione, che si è protratto per ore finché da Houston hanno inoltrato lo stop. Meglio fermare tutto, invece di accumulare nuovo ritardo. 

Con un po’ di lavoro aggiuntivo da parte degli ingegneri sul nuovo serbatoio della missione, la nuova partenza è prevista nella mattinata di sabato 3 settembre, in diretta mondiale su Twich, Youtube, NasaTV e qualsiasi piattaforma social gli scienziati possano sfruttare per mostrare al mondo il successo delle loro fatiche. Tale interruzione imprevista non ha comunque neanche scalfito la pazienza e la passione delle migliaia di appassionati che ancora fremono di fronte alla possibilità di poter vedere in diretta la partenza di una nuova missione lunare, in questo caso senza equipaggio a bordo, che abbia lo scopo di riportare i nostri occhi alla luna. Il 3 settembre probabilmente saranno in tantissimi ancora una volta ad avere gli occhi fissi sugli schermi, in attesa che Artemis si separi una buona volta dalla superficie liscia di Cape Canaveral. Le missioni lunari però non sono il prodotto di una fantasia recente. Per secoli l’uomo ha lottato, sognato e sofferto, affinché in un futuro lontano la sua presenza possa essere vista anche tra la Luna e le stelle. Basta fare dei semplici confronti tra le frasi di Giordano Bruno (Colui che vede in se stesso tutte le cose è al tempo stesso tutte le cose) e la speranza che è possibile osservare negli occhi del pubblico odierno di fronte a missioni come Artemis, per comprendere quanto è profondo l’amore che l’umanità ha nei confronti dello Spazio e quanto si senta piccola, nei confronti di un futuro che si rivolge direttamente al cielo notturno.

La missione Artemis forse è solo uno dei tanti gradini che stanno portando la nostra specie a comprendere come rendersi indipendente dalla sua natura terrestre. Di certo però sta rianimando dopo molto tempo l’interesse del pubblico e per comprendere appieno la sua importanza dobbiamo tornare indietro, all’origine stessa del sogno che ci guida verso il nostro satellite.

Orbita luna Artemis

Calcare l’impronta dei nostri avi

Il sogno di percorrere i deserti e le valli lunari è uno dei più antichi dell’umanità. Già a partire dalla formazione delle prime strutture sociali e dall’edificazione delle prime città, i popoli più antichi probabilmente osservavano le stelle domandandosi cosa ci fosse sulla superficie del nostro satellite. Mille racconti si sono tramandati, nel corso dei secoli, di improbabili eroi che nel corso delle loro avventure abbiano toccato il prezioso suolo lunare. Anche la nostra letteratura nazionale vanta un “allunaggio lunare”, descritto da Ludovico Ariosto nel corso dei suoi canti dell’Orlando Furioso.

Per generazioni la Luna ha perciò incantato e ispirato romanzieri e poeti, musicisti e pittori, ma sono stati soprattutto gli scienziati, a partire dalle prime corti babilonesi per finire agli odierni astronomi a rimanere maggiormente soggiogati dal candore pulsante e misterioso del nostro satellite.

Basta pensare a come la Luna abbia dato il via alla nascita della cosiddetta Scienza moderna. Galileo Galilei infatti, padre del metodo scientifico e inventore del telescopio, fu proprio osservando il nostro satellite che cominciò a riflettere sulla natura matematica del cosmo. Nel suo Sidereus Nuncius, pubblicato nell’anno 1610, fu il primo infatti a descrivere la superficie della Luna dal punto di vista geografico e geometrico, abbozzando la prima iconografia scientifica ufficiale del nostro satellite e abbandonando le teorie neoplatoniche che da tempo affliggevano la riflessione filosofica e che venivano imposte dalla visione cattolica e classica dell’universo. 

Il disegno della superficie lunare del Sidereus Nuncius – dai più considerato come il saggio scientifico più impattante e letto della storia – nel tempo non solo ha permesso il progredire della ricerca scientifica, ma è divenuta anche la testimonianza e la prova di come la Luna abbia sempre suscitato del fascino nel cuore degli uomini. Dopo secoli di ricerche e l’introduzione sempre più marcata di nuove tecnologie, dagli inizi del Seicento in poi, la scienza e l’umanità hanno compiuto diversi progressi, che ci hanno permesso oggi giorno perfino di intuire quale fosse l’origine e la natura stessa del satellite, riuscendo a prevenire finanche il suo fosco destino. 

Nel 1969 la nostra specie inoltre è perfino riuscita a calpestare le sue polveri, con il famosissimo lancio dell’Apollo 11, che coinvolgeva uomini resi leggendari dalle loro gesta e dalle loro parole: gli astronauti statunitensi Neil Armstrong e Buzz Aldrin, che camminarono sulla Luna, e Michael Collins, che pilotò invece il modulo di comando durante la missione, vegliando sui suoi colleghi. 

Dopo l’Apollo 11, fino ai giorni nostri

Nel corso degli anni successivi, con altri otto lanci quasi consecutivi, il progetto Apollo riuscì a condurre altri uomini sulla Luna e a rendere le scienze astronomiche argomento popolare. Ricordiamo infatti che le dirette che interessavano le missioni di esplorazione spaziale divennero nel breve tempo gli eventi televisivi di massa più seguiti di una intera generazione, riuscendo ad attrarre in tutto il mondo milioni di ascoltatori che, durante quelle settimane in cui si svolgevano le missioni, pendevano letteralmente dalla bocca e dalle parole dei presentatori e degli scienziati in tali dirette.

Proprio in questo periodo storico anche nel nostro paese nascono figure mitiche della divulgazione scientifica come Tito Stagno o Piero Angela che, a netto del loro pregresso percorso giornalistico, ottennero una grande fama per essere stati coloro che – a parole semplici – illustravano agli italiani, passo passo, le fasi delle missioni e il significato tecnico dei termini che all’epoca le agenzie di esplorazione spaziale utilizzavano, pensando quasi che il mondo fosse interamente costituito dalla comunità scientifica a cui le missioni facevano principale riferimento.

L’incanto che aveva meravigliato e ispirato milioni di persone però si concluse nel dicembre del 1972, quando l’ultimo equipaggio del programma Apollo, noto ai più come Apollo 17, abbandonò al suo destino il suolo lunare, interrompendo i sogni di conquista spaziale di centinaia di bambini che all’epoca guardavano allo spazio con maggiore fiducia, rispetto a noi. Mancavano solo cinque anni dal più grande successo cinematografico di quel periodo – Star Wars, del 1977, il film che forse ha più inglobato nel suo interno le speranze e i sogni di quel periodo – ma mentre l’umanità stava per conoscere personaggi come Luke Skywalker o Darth Vader e stava per viaggiare in una galassia lontana lontana, la Nasa ridimensionava il suo budget. Le missioni lunari con passeggeri si interrompevano bruscamente. In poche parole il progetto Apollo giunse alla sua fine.

Secondo i ragionamenti dell’epoca, grazie alla missione dell’Apollo 11 la guerra fredda nello spazio era stata vinta e il congresso degli Stati Uniti d’America ridusse i finanziamenti alla Nasa, che in un solo anno (1974) si ritrovò ad avere dal 4% dell’intero PIL americano in finanziamenti a “soli” 0,4 % dei fondi che l’agenzia otteneva nel corso del 1970. Lo spazio per la presidenza americana era stato considerato conquistato e a quel tempo bisognavano spostare i fondi verso l’esercito, in previsione della conclusione della guerra in Vietnam, avvenuta nel 1975. 

Da allora, da quel lontano dicembre del 1972, nessun uomo ha più calcato la polvere lunare. E mentre le rocce lunari prelevate da Armstrong ottenevano un valore monetario altisonante, che raggiungeva i 12 mila dollari per 50 grammi di polvere lunare nel 1980, molti altri scienziati studiavano i dati ricavati dalle missioni per comprendere l’origine cosmica del nostro satellite, come dell’intero sistema solare. Mentre i rover lunari venivano disposti nelle teche dei musei e nel corso degli anni successivi la rincorsa allo spazio rallentava, a favore di altri grandi progetti che però interessavano altri corpi celesti (per esempio buchi neri o altri pianeti, come Plutone, Giove e Marte), sulla fine degli anni 80 la progettazione internazionale della I.S.S (Stazione Spaziale Internazionale), finita di costruire solo nel 2021, indusse però in molti ad avere una nuova speranza, ovvero la realizzazione di un sogno mai dimenticato che coinvolgeva l’intera umanità: la realizzazione della prima base lunare permanente. 

Sono trascorsi più di trent’anni da quando Nasa ed ESA (l’Ente Spaziale Europea) hanno affrontato le prime riunioni che ponevano l’obiettivo di ritornare sulla Luna. Le prime riunioni sono avvenute infatti verso i primi anni Novanta. Questo sogno negli anni però ha mutato forma diverse volte, come gli scienziati che nel corso dei decenni hanno lavorato giorno e notte progettando nuove tecnologie con cui realizzare questa visione. E fra fallimenti e successi, con l’aiuto di altre agenzie spaziali, come quella canadese, russa o quella giapponese, il numero di scienziati e di progetti in cantiere è cresciuto sempre di più, diventando così elevato che alla fine dei primi anni 2000 gli stessi governi e la governance delle agenzie spaziali hanno dovuto e voluto ampliare il loro orizzonte, rendendo il progetto del ritorno sulla Luna ancora più grandioso.

Artemis sulla luna

Così, con l’approvazione dei nuovi obiettivi, nacque nel corso del 2009 il progetto Artemis, che prenderà tale nome solo nel corso degli ultimi anni post pandemici. A differenza di quanto progettato all’inizio, non ha un unico obiettivo. Artemis ha difatti lo scopo non solo di riportare l’uomo sulla Luna, ma anche di costruirvi più basi (una sulla superficie, una in orbita), di condurvi le prime astronauti donna, di rendere partecipi gli astronauti asiatici ed europei (tra cui molto probabile il nostro Luca Parmitano) nella costruzione delle stazioni e di definire la base di esplorazione per i successivi programmi spaziali, che coinvolgeranno la Luna come appoggio per l’esplorazione di Marte e degli altri pianeti, tutto questo entro la fine del 2035. 

È naturale. Prendere consapevolezza della grandezza di tali obiettivi fa tremare i polsi. Immaginatevi perciò come si sentano gli ingegneri e gli scienziati che hanno lavorato negli ultimi anni per la realizzazione di questo progetto e che presto avranno gli occhi del mondo addosso, quando nei primi giorni di settembre (in origine la missione doveva partire il 29 Agosto, ma per motivazioni tecniche la partenza al momento è stata spostata al 3 settembre), dopo un primo lancio saltato, dovranno testare il primo razzo con la missione Artemis 1. Prendete però coscienza di una nota, importante per comprendere meglio la imponenza del momento storico. Oggi come nel 1969 il mondo è sconvolto dalla guerra. La Russia sembra voler abbandonare la I.S.S. e voler riprendere le proprie missioni spaziali con l’obiettivo di sfidare Europa e Stati Uniti. La Cina ha promesso che entro il 2025 avrà la sua stazione internazionale e altri paesi come India e Pakistan promettono che presto raggiungeranno il Giappone e la Cina nel campo dell’esplorazione spaziale.

Ad un primo sguardo, la prima missione Artemis sembra essere la continuazione delle missioni Apollo, che avevano lo scopo di battere le missioni esplorative dell’Unione Sovietica. Non è però così. Molto altro e tante altre forze infatti stanno per abbattersi sulla superficie lunare.     

Artemide, la dea della caccia 

Per realizzare il progetto Artemis, gli scienziati hanno dovuto re-immaginare le tecnologie e le varie fasi che permetteranno agli astronauti di effettuare un giorno il nuovo allunaggio sulla Luna. Per prima cosa hanno dovuto perciò realizzare un nuovo razzo, più grande e potente rispetto agli Space Shuttle, entrato in pensione nel corso del 2011, e al razzo Saturn V che permise nel 1969 all’Apollo 11 di sconfiggere la gravità terrestre e di portare Armstrong, Collins e Aldrin in orbita. Questo nuovo razzo è il Space Launch System, grande più di 111 m, senza la navicella Orion che dovrebbe ospitare i membri dei prossimi equipaggi. Inoltre, abbandonando il classico sistema radio per le telecomunicazioni, il progetto Artemis utilizzerà i laser per permettere alle navicelle di comunicare con la base terrestre di Cape Canaveral e di inviare immagini ad altissima risoluzione, fino agli 8K, quando le navicelle Orion stazioneranno in orbita lunare a circa 384.400 km dalla Terra.

Come però suggerito prima, gli obiettivi di Artemis non si limitano a portare nuovi equipaggi e nuova tecnologia nello spazio, per riprendere come dei semplici turisti il suolo lunare, mentre qualche rover in disparte lavorerà con un po’ di rocce lunari alla ricerca di chissà quale minerale possa interessare alle agenzie spaziali private. Tra l’altro Elon Musk, fondatore di SpaceX, ha promesso collaborazioni future con le agenzie spaziali americane ed europee proprio per sostenere l’impegno degli scienziati nel costruire una base stabile sulla Luna. 

Artemis è qualcos’altro. La realizzazione di un sogno che è stato costruito durante gli ultimi decenni e che si basa sulla realizzazione di nuove tecnologie che possano aiutare l’umanità. Dunque gli obiettivi principali di queste missioni rimangono esplicitamente la conquista degli altri pianeti nel sistema solare e l’acquisizione di vantaggi sociali, economici e tecnologici dalla ricerca che coinvolgerà l’esplorazione della Luna e dello spazio

Non molti lo sanno, ma è proprio grazie all’esplorazione spaziale se oggi noi disponiamo di tecnologie complesse come il GPS o sostanze che altrimenti non avrebbero mai visto la diffusione su vasta scala come le microfibre, il nylon, i tessuti assorbenti eccetera. Il progetto Artemis, primo fra tutti i programmi di esplorazione spaziale, ha come scopo principale quello di reinvestire le scoperte ottenute durante la programmazione e realizzazione dei vari lanci, immettendo nel commercio tutte le potenziali invenzioni scaturite dalle ricerche. E questo sta già avvenendo, visto come i nuovi pannelli solari della capsula Orion, più potenti e capaci nel captare energia dal Sole rispetto ai classici pannelli presenti sui tetti delle case, verranno sfruttate dall’industria, per arginare le emissioni in quelle fabbriche considerate energivore. 

Un’altra grande differenza che si può notare fra i lanci Apollo e l’intero programma Artemis è quello di carattere strettamente sociale. È stato infatti già deciso che il lancio di Artemis 2, che seguirà di qualche mese il rientro in atmosfera di Artemis 1, previsto per il dicembre di questo anno, avrà infatti un equipaggio composto anche da donne. E tale evento sarà salutato da buona parte del mondo femminista, poiché nessuna donna nella storia ha oltrepassato l’orbita terrestre bassa, ovvero l’altezza in cui oggi staziona la I.S.S., per un viaggio lunare. Inoltre sulla Luna, quando disporremo finalmente di una base stabile, si potranno compiere un innumerevole quantità di esperimenti di biologia, fisica, meteorologia, che necessitano delle condizioni di microgravità lunari proprio per essere affrontati

Il programma Artemis dunque, come la dea da cui trae origine il suo nome, sembra andare a caccia di nuovi record e vuole porsi all’interno dello scenario temporale attuale come l’esempio perfetto di collaborazione fra popoli, generi sessuali e culture, superando gli ostacoli in cui era rimasto imbrigliato il programma Apollo che aveva nel conflitto fra URSS e Stati Uniti la sua forza agonista principale. 

Artemis si propone di essere un ponte, fra passato e presente, ma cerca soprattutto di porre un dialogo fra le attuali generazioni e le sfide del futuro. Trae forza dalla collaborazione di nazioni differenti e pone l’ideale costruzione di una base lunare come strumento di sviluppo e collaborazione fra i popoli, che condurrebbe l’umanità entro la fine del secolo a toccare il suolo di Marte e a raggiungere l’orbita di Giove

Basti considerare lo stesso razzo SLS o la navicella Orion per rendersi conto come sono stati molti i paesi che hanno collaborato per la produzione i singoli pezzi di cui sono costruiti gli abitacoli, i cargo, i missili e i pannelli dell’intera missione, dimostrando come la scienza dimostra di essere democratica quando migliaia di esperti di differente etnia e tradizione collaborano per raggiungere un comune obiettivo, guidato dalla ragione.  

Gli stessi scienziati e astronauti non sanno del tutto cosa avverrà o cosa si otterrà durante il corso di queste prime missioni spaziali del progetto Artemis. È possibile immaginarsi l’ottenimento di nuovi dati e la sperimentazione di nuovi materiali. Si potrebbe perfino considerare il guadagno economico che è possibile ottenere al termine del programma multi decennale, ampliando ulteriormente i parametri con cui si scelgono gli obiettivi delle varie missioni nel lungo periodo. È però possibile anche immaginare un esito ancora più concreto, un profitto umanistico e sociale che porta esempi all’interno delle comunità politiche coinvolte nelle guerre di come sia possibile affrontare le avversità solo di comune accordo, soprattutto quando si devono affrontare scelte difficili che coinvolgono l’intero pianeta. Risposte a sfide come il surriscaldamento globale. 

Apollo 8 permise di mostrare agli abitanti del pianeta Terra quanto fosse piccolo e insignificante il nostro mondo nei confronti del silenzio dell’universo, attraverso la famosissima foto “Alba lunare” che indusse moltissimi scienziati a sostenere il movimento ambientalista contro la diffusione dei clorofluorocarburi negli elettrodomestici e nei prodotti di cosmesi. I rinomati CFC, colpevoli dell’ampliamento del buco dell’ozono nel corso della seconda metà del secolo scorso.

Chissà quali altre sensibilità potrà portare alla umanità avere una base stabile sulla Luna o vedere astronauti e astronaute volteggiare nello spazio di comune accordo, con l’obiettivo di compiere ricerche sull’invecchiamento cellulare o il cancro. Il programma Artemis dunque si pone di fronte a noi come parte della soluzione. Una delle strade principali che dispone l’umanità per affrontare i rischi dell’imbarbarimento culturale e delle minacce globali che affliggono le nostre società. Per quanto guidata dalla dea della caccia, Artemis si ispira a quella grazia apollinea delle società immaginate dai filosofi greci. Una utopia scientifica, che potrebbe però in ogni modo ispirare così tanto il nostro presente da permetterci veramente di sollevarci per sempre dalla condizione terrestre e sfidare le nostre stesse aspettative sul futuro.

Il programma dei primi anni del Progetto Artemis è molto ricco e gli appassionati di tutto il mondo sono già in attesa di vedere le immagini in diretta dei crateri lunari. Assieme a loro e agli scienziati, spetta ai giornalisti e ai divulgatori di tutto il mondo comunicare adeguatamente questo momento storico, poiché non c’è occasione più esaltante di raccontare la scienza se non quando è possibile osservarne giornalmente l’evoluzione.

di Aurelio Sanguinetti

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