DART e l’asteroide: colpire per non essere colpiti

La sonda DART si è schiantata contro un asteroide per evitare che in futuro sia un asteroide a schiatarsi su di noi.

Schema dell’obiettivo della missione DART-LICIACube. L’impatto della sonda DART dovrebbe spostare la piccola luna Dimorphos su un’orbita più bassa. (Foto NASA/Johns Hopkins APL)

Da qualche anno la NASA, assieme a un gruppo di altre agenzie internazionali, organizza un’interessante simulazione: ipotizza la scoperta di un asteroide in rotta di collisione con la Terra e cerca di coordinare una risposta per prevenire il disastro. L’iniziativa è nota con la sigla PD-TTX, acronimo di Planetary Defence TableTop eXercise, ovvero esercitazione a tavolino di difesa planetaria.

La simulazione funziona molto bene: due anni fa abbiamo perso New York, l’anno scorso un pezzo di Germania. Quest’anno è andata un poco meglio: l’asteroide ha colpito due cittadine relativamente piccole nel North Carolina.

Il problema principale è semplice da spiegare: non sappiamo come fare a deviare l’orbita di un asteroide, possiamo solo guardarlo mentre ci viene addosso e sperare che non sia davvero troppo grande. Ci sono molte idee sul tavolo riguardo a come deviare un asteroide in rotta di collisione con la Terra, ma sono un po’ poco per affidar loro il futuro dell’umanità; in fondo sono solo chiacchiere e teoria.

O almeno lo erano, fino a pochi giorni fa.

Dieci anni fa, la missione Rosetta-Philae

Nel 2014 la sonda Rosetta è riuscita con successo a inserirsi in orbita attorno a una cometa chiamata 67/PChuyumov-Gerasimenko. Ha poi lanciato un lander (Philae) che è atterrato (quasi) morbidamente sulla stessa. Un fatto di per sé già straordinario, perché per raggiungere oggetti così piccoli, con una gravità così debole, bisogna essere molto precisi: un errore di poche decine di chilometri – un’inezia per le dimensioni del cosmo – e la sonda, senza poter contare sulla consistente attrazione gravitazionale di un obiettivo massiccio come un pianeta, rischia di non avere carburante sufficiente per correggere la sua traiettoria.

Avvicinare con successo un asteroide o una cometa di dimensioni potenzialmente pericolose per il nostro pianeta è solo il primo passo di una lunga strada. Bisogna poi capire come fare ad alterarne l’orbita, questione tutt’altro che semplice.

Hollywood ci ha suggerito di sbriciolare l’asteroide con una bomba nucleare abbastanza grande: una soluzione tutto sommato semplice e ovvia. E sbagliata. I frammenti di un asteroide finirebbero col proseguire la loro rotta non troppo lontani dalla stessa orbita dell’oggetto originale: rischieremmo di trasformare un solo grosso problema in tanti problemi solo di poco più piccoli. Quello su cui stanno lavorando gli scienziati al momento è dunque un sistema che alteri l’orbita dell’asteroide senza rischiare di sbriciolarlo.

Gli asteroidi talvolta sono molto meno compatti di un semplice “grosso macigno”, a volte somigliano più a pallotte di rocce, ghiaia, sabbia e altre sostanze ghiacciate; sostanze che il calore di un impatto o di un’esplosione potrebbe vaporizzare, alterando l’orbita dell’oggetto in modi poco prevedibili. Non è semplice trasferire ad un asteroide abbastanza energia cinetica da modificarne l’orbita senza rischiare che questa stessa energia si disperda invece in inutili crateri, deformazioni, alterazioni della rotazione o in pericolose frammentazioni. Le variabili in gioco sono molte e la strada maestra per capire cosa possa funzionare e cosa no è provare.

L’asteroide Dydimos offre un’opportunità straordinaria per un test di questo tipo: ha infatti una piccola luna di circa 160 metri di diametro, contro i suoi 760, battezzata Dimorphos. La debolezza dell’attrazione gravitazionale che unisce i due corpi fa sì che un’interferenza anche modesta possa alterarne l’orbita in modo evidente, rendendo misurabile con buona precisione gli effetti di un impatto controllato.

La missione DART-LICIACube

Il 24 novembre è partita la missione DART, che oltre a significare «dardo» è anche l’acronimo delle parole inglesi Double Asteroid Redirection Test (test di deviazione di un asteroide doppio). La sonda non era molto più di un motore a razzo con due pannelli solari, un sistema di comunicazione e qualche telecamera, per un peso alla partenza di poco superiore ai seicento chilogrammi. Destino di DART: schiantarsi a circa sei chilometri al secondo sulla mini-luna Dimorphos.

DART portava però con sé un’altra piccola sonda, di nome LICIACube e di produzione italiana. LICIA, acronimo per Light Italian Cubesat for Imaging Asteroids (CubeSat leggero italiano per la ripresa di asteroidi), è un esempio di CubeSat (satellite-cubo), un tipo di sonda leggera e di piccole dimensioni, dotata di pochi strumenti collaudati ed affidabili, concepita per ottimizzare gli spazi disponibili sui vettori di lancio ed eseguire rilevamenti scientifici solitamente di routine (ma non per questo meno importanti!). LICIACube è stata sganciata dalla sonda principale DART poco prima che questa puntasse verso Dimorphos. Ha così potuto superare indenne la coppia di asteroidi registrando da vicino tutta le scena. L’impatto è stato inoltre seguito sia da terra che da entrambi i telescopi spaziali: Hubble e Webb, in quella che è stata la loro prima “collaborazione”.

Il CubeSat di produzione italiana LICIACube al momento dei controlli finali prima del caricamento, assieme a DART, nella stiva del Falcon9 di SpaceX (Foto: Johns Hopkins APL/Ed Whitman)

Com’è andata

La missione è sostanzialmente riuscita. L’impatto è avvenuto come previsto e Dimorphos non si è spezzato. L’urto è avvenuto “contromano”, cioè nella direzione opposta rispetto a quella che la mini-luna segue nella sua orbita attorno a Dydimos. Rallentato dall’impatto, Dimorphos dovrebbe “cadere” verso l’asteroide principale, accelerando così nuovamente e stabilizzandosi su un’orbita più vicina.

Difficilmente le cose andranno in modo così semplice. L’impatto, oltre a formare un cratere, ha sollevato getti di detriti che sono in parte sfuggiti alla debole gravità del sistema e in parte caduti sull’asteroide principale, alterando la distribuzione della massa e quindi le caratteristiche orbitali di entrambi i corpi. Inoltre le immagini di LICIACube suggeriscono che Dimorphos, pur non essendosi spezzato, possa essersi in qualche misura deformato. Di tutte queste cose dovranno tenere conto gli scienziati nei loro calcoli sull’effetto che l’impatto ha avuto sui due corpi celesti. Ci vorrà tempo(1).

In alto a destra: Dimorphos e gli sbuffi di detriti e polveri sollevati dall’impatto di DART, fotografati dal CubeSat italiano LICIACube (Foto: ESA/ASI)

La coppia di asteroidi sarà seguita ancora per diverso tempo, sia da terra che dallo spazio, e a fine 2026 sarà raggiunta da una seconda missione battezzata Hera. Questa prevede di far atterrare due lander sulla mini-luna Dimorphos mentre la sonda principale atterrerà sul corpo principale Dydimos.

Tutti i dati che verranno raccolti da qui a probabilmente tutto il 2027, contribuiranno a fornire le indicazioni necessarie a capire quanto efficiente possa essere un sistema di deviazione degli asteroidi basato su un semplice impatto.

Se tutto andrà per il verso giusto, in un futuro molto prossimo gli astronomi sapranno calcolare con adeguata precisione quale impatto sarà necessario per metterci al sicuro da un asteroide che un giorno si trovasse in rotta di collisione con il nostro pianeta.

A noi non resta che aspettare e vedere chi arriverà prima.


(1) AGGIORNAMENTO: proprio in queste ultime ore sono arrivati i risultati delle prime misurazioni fatte da terra della nuova orbita di Dimorphos. Secondo il comunicato ufficiale sul sito della NASA, il tempo impiegato della piccola luna a percorrere la sua orbita attorno a Dydimos è passato da 11 ore e 55 minuti a 11 ore e 23 minuti, accorciandosi cioè di 32 minuti: un risultato straordinario se si pensa che l’obiettivo minimo era un accorciamento dell’orbita di soli 73 secondi! Le osservazioni continueranno e forniranno non solo misurazioni più precise, ma anche informazioni più dettagliate sulla composizione e sulla struttura dei due corpi celesti.


di Giovanni Perini

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