La scienza di Artemis

Artemis I è partita. È il primo atto di un progetto visionario che ha l'ambizione di portare l'umanità al di là del nostro pianeta, per sempre

E così, si torna sulla Luna. Per ora non ci sono astronauti (la discesa di un equipaggio su suolo lunare è prevista non prima del 2025) ma Artemis 1 già porta con sé il modulo abitabile Orion e tutto è previsto si svolga nello stesso modo in cui si svolgerà quando gli astronauti ci saranno davvero. Sui canali Youtube e Twitch della NASA è possibile seguire in tempo reale tutte le fasi della missione.

A portarci sulla Luna per la prima volta fu il programma Apollo, attivo dal 1961 al 1972. La spinta per un’impresa così ambiziosa dovette molto al comparto militare. Nell’immediato dopoguerra la supremazia spaziale, sia in orbita che sul nostro satellite, significava poter minacciare qualunque punto del pianeta, anche con armi nucleari, senza che l’avversario potesse prendere contromisure efficaci. Con lo sviluppo dei sommergibili nucleari e dei missili balistici la situazione cambiò in fretta: già nel 1958 la neonata NASA aveva connotazione prettamente civile e la componente militare era già stata affidata ad un’altra agenzia, ARPA, tuttora “braccio tecnico-scientifico” del settore militare USA.

Il programma Apollo stesso, dunque, già non rispondeva più a quegli interessi militari citati nel rapporto del 1958 che aveva condotto alla creazione stessa di NASA e ARPA; restavano le motivazioni simboliche e politiche. Vinta la corsa alla Luna, anche queste ultime vennero a mancare. Infine, con l’automazione in rapidissimo sviluppo – che consentiva di svolgere attività scientifiche senza equipaggio – anche l’interesse scientifico per l’invio di esseri umani sul nostro satellite si spense rapidamente. L’ultimo uomo a calpestare il suolo lunare, il 14 dicembre 1972, fu Eugene Andrew Cernan; nome ignoto ai più, a testimonianza del rapido declino dell’interesse per le missioni con equipaggio anche presso l’opinione pubblica.

Oggi si riparte, con un programma nuovo di zecca che pesca dall’esperienza non solo del programma Apollo, ma anche dai programmi Space Shuttle e Constellation. Tuttavia, pensare che si tratti di un semplice rifare una cosa già fatta cinquant’anni fa sarebbe un errore: Artemis, almeno nelle intenzioni, promette di essere molto di più, tanto che definire Artemis un programma ambizioso potrebbe diventare, in un futuro molto prossimo, cosa assai riduttiva.

Un progetto internazionale

A differenza del suo diretto predecessore Apollo, il nuovo programma spaziale avrà una spiccata connotazione internazionale, grazie alla collaborazione sia delle agenzie spaziali europea, canadese e giapponese, che di aziende private, come l’oramai onnipresente SpaceX. Quest’ultima, ad esempio, fornirà un vettore riutilizzabile per l’atterraggio e la ripartenza dal suolo lunare: la già famosa Starship. Anche Cina e Russia hanno manifestato interesse per la costruzione di una base lunare, e non è esclusa una collaborazione, soprattutto quando verrà il momento di mettere mano alle parti più sostanziose (e costose!) del programma.

Questo nuovo programma spaziale, destinato a riportare l’umanità sul suolo lunare, non poteva non chiamarsi come la sorella gemella di Apollo nonché dea della Luna: Artemis. Ha anche una sua colonna sonora non ufficiale (ma quasi).

Il rinnovato interesse per raggiungere la Luna con equipaggio ha sicuramente più di qualcosa a che fare con il suo valore politico e simbolico, ma ci sono anche ragioni molto più concrete per tornare, di persona, sul nostro satellite. Il programma Artemis non si propone semplicemente di portare gente a passeggio su un altro corpo celeste, l’obiettivo finale è quello di installare nelle regioni polari della Luna (dove è più facile trovare ghiaccio), una base scientifica permanente: un incrocio tra la stazione spaziale e il campo base in Antartide. E non c’è solo questo sul tavolo.

Automatizzare l’esplorazione lunare, e non solo

Il primo problema da affrontare è capire dove andare. Le recenti missioni di USA, India e Cina hanno accertato che nelle regioni polari lunari esistono crateri abbastanza profondi da far sì che al loro interno la luce del sole non arrivi mai. Sul fondo di questi crateri sono state individuate quantità significative di ghiaccio e non solo.

Le prime fasi del programma Artemis saranno ampiamente automatizzate, grazie soprattutto al reimpiego e all’ulteriore sviluppo di tutte le tecnologie messe a punto per i rover impiegati nell’esplorazione marziana. Queste missioni dovranno stabilire dove si trova esattamente questo ghiaccio, quanto ce n’è, da cosa è composto (oltre che dall’acqua) e quanto è facile raggiungerlo e sfruttarlo come fonte d’acqua e di altri materiali potenzialmente utili.

Una presenza umana semi-permanente sul nostro satellite non sarebbe infatti pensabile senza procurarsi sul posto una quantità significativa di materie prime, a cominciare dall’acqua. Da questa si potrebbe ricavare, oltre all’ossigeno per respirare, anche l’idrogeno e l’ossigeno usati come propellente per le navi spaziali. Sulla Luna abbondano anche il ferro e il torio, quest’ultimo utile per alimentare reattori nucleari. È presente anche un isotopo leggero dell’elio, l’elio-3, che si presta particolarmente bene alla fusione nucleare: imparare a sfruttarlo avrebbe ricadute tecnologiche utili anche per sviluppare la fusione nucleare “classica” qui sulla Terra, dove di elio-3 praticamente non se ne trova.

Dalla capacità di estrarre e lavorare sul posto le materie prime lunari dipenderà la prosecuzione o l’abbandono dell’intero programma. La difficoltà principale sta nel fatto che l’attività mineraria extraterrestre prevede livelli di automazione e di efficienza ancora tutti da inventare. Automazione ed efficienza che, anche se non dovessero raggiungere il livello necessario a rendere sostenibile una presenza umana sl suolo lunare più o meno permanente, torneranno comunque molto utili qui da noi, per rendere più sostenibile – umanamente ed ecologicamente – l’intero settore estrattivo minerario.

Il primo “autogrill” dello spazio

Per rendere più affidabile la comunicazione e più gestibile la movimentazione di rifornimenti e astronauti da e per la base lunare, il programma Artemis prevede anche la costruzione di una nuova stazione spaziale, questa volta però in orbita attorno alla Luna. L’idea non è ancora confermata, ma la stazione ha già un nome, molto evocativo: Lunar Gateway. L’utilità e la fattibilità di questa parte del programma dipende, ancora una volta, dalla possibilità di procurarsi materie prime importanti sul suolo lunare.

In particolare, se fosse possibile produrre sulla luna quantità rilevanti di ossigeno e idrogeno da impiegare come propellente, diventerebbe fattibile uno dei possibili scenari de programma, che prevede l’utilizzo di un vettore che faccia la spola dalla stazione spaziale alla base lunare, senza rientrare sulla Terra ad ogni missione. Attuale candidata per questo ruolo è la Starship di SpaceX.

Se venisse sviluppato al pieno delle sue possibilità, il Lunar Gateway potrebbe diventare un fondamentale punto d’appoggio per le future missioni con equipaggio dirette verso Marte. Nello scenario più favorevole sarebbe infatti possibile utilizzarla non solo per fare rifornimento di propellente, ma anche per assemblare direttamente in orbita la nave spaziale destinata a raggiungere il Pianeta Rosso, superando così le limitazioni di volume e peso imposte dai razzi che partono dalla superficie terrestre (o lunare!). Non una stazione lunare, ma un cantiere spaziale pienamente operativo.

Una stazione lunare permanente

Una stazione permanente sulla Luna aprirebbe la strada a filoni di ricerca scientifica che possiamo solo cominciare a immaginare: da osservatori che sfruttino l’assenza di atmosfera, a esperimenti in ogni campo che possano beneficiare della ridotta gravità lunare. La presenza del raro isotopo elio-3 permetterebbe anche di sperimentare un nuovo approccio alla fusione nucleare. L’elio-3 non è presente sulla Terra, ma sperimentare con esso darebbe comunque risultati utili per qualunque implementazione della fusione nucleare.

Oltre a procurarsi quante più materie prime possibili direttamente sul posto, per garantire una presenza continua o quasi sul suolo lunare sarà necessario imparare ad essere terribilmente efficienti: ogni cosa riciclabile dovrà essere riciclata fino all’ultimo grammo. Anche la gestione energetica sarà fondamentale: ad esempio, l’acqua si trova sul fondo dei crateri, dove però la luce del sole per i pannelli solari non arriva mai. Bisognerà inventare un modo per alimentare in modo efficiente le strutture estrattive.

Un insediamento abitabile dovrà quindi essere abbastanza articolato ed esteso. I moduli abitabili saranno installati nelle zone più riparate: la mancanza di atmosfera e campo magnetico espone sia alle radiazioni cosmiche che al continuo bombardamento di micrometeoriti. I pannelli fotovoltaici dovranno trovarsi invece nelle zone a maggiore esposizione solare, mentre gli impianti estrattivi saranno sul fondo dei crateri. Sono previsti anche dei mezzi di superfice, per persone e attrezzature, capaci di controllo remoto e movimento autonomo. Tecnologicamente, saranno più vicini per caratteristiche e prestazioni ai marziani Curiosity e Perseverance che al rudimentale Lunar Rover degli anni ’70.

Anche le comunicazioni radio non sono banali, per questo il programma prevede anche la creazione di una rete che possa mantenere un contatto costante e performante tra tutti gli elementi della base lunare, il Lunar Gateway, e la Terra. Un vero e proprio Internet lunare, che ha già un nome, Lunanet, e che sarà dotato anche di funzioni simili al GPS.

Si parla anche della possibilità di sfruttare le ampie cavità del sottosuolo lunare per l’installazione dei moduli abitativi: se questa strada sarà praticabile ce lo diranno i nuovi rilevamenti geologici e sismografici già in programma nella prima fase del programma stesso. Un’alternativa è quella di sfruttare la particolare sabbia lunare, detta regolite, per “rivestire” l’esterno dei moduli abitativi, o addirittura per costruire parte delle strutture. Anche in questo caso l’automazione sarà elemento determinante, con alcune tecnologie di stampa 3D già in fase di progettazione.

Tutte tecnologie che, male che vada, saranno molto utili già qui sulla Terra.

Al momento c’è ancora poco di davvero definitivo nel programma Artemis. Solo i primi lanci sono stati finanziati e approvati: dai risultati che questi forniranno dipenderà il futuro dell’intero progetto. Non dobbiamo dimenticare che l’attuale status del programma Artemis, così come illustrato nella sintesi di settanta pagine pubblicata sul sito della NASA a settembre 2020, è più una dichiarazione d’intenti, frutto di un’idea futuristica ed estremamente ambiziosa, ai limiti del visionario. Il futuro, come sempre, sarà incredibilmente più strano.

di Giovanni Perini

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