Forse l’Italia non merita una campionessa come Paola Egonu

L'Italvolley femminile conquista il bronzo ai mondiali di pallavolo, ma l'ennesimo caso di razzismo ai danni di Paola Egonu rovina la festa

Il bronzo mondiale conquistato dalle azzurre dell’Italvolley femminile contro gli Stati Uniti è sicuramente un piazzamento di prestigio che certifica il buon rendimento delle ragazze di Davide Mazzanti.

Dopo il trionfo al campionato europeo dello scorso anno e la vittoria alla Volleyball Nations League di luglio, le azzurre hanno travolto ad Apeldoorn, in Olanda, le atlete a stelle e strisce con un severo 3 a 0, dimostrando carattere e voglia di rivalsa dopo la battuta d’arresto avuta in semifinale contro il Brasile, che ha impedito loro di giocare per l’oro. Vittoria importante dunque, ma dal sapore agrodolce…

“Mi hanno anche chiesto perché sono italiana…”

A rubare la scena sono state, infatti, le dichiarazioni di Paola Egonu, fuoriclasse della pallavolo mondiale e perno della nostra nazionale che, al termine della partita, si è sfogata con il suo procuratore, Marco Raguzzoni, dichiarando: “Non puoi capire, non puoi capire. Mi hanno anche chiesto perché sono italiana… questa è la mia ultima partita in nazionale. Sono stanca”.

Un momento intimo e privato filmato da un tifoso sugli spalti e condiviso sui social media, che ha fatto esplodere un vero e proprio caso che – per l’ennesima volta – spinge ad una riflessione: nel 2022 sono tollerabili le offese e i commenti dei razzisti rivolti a chi scende in campo anche per rappresentare un’intera nazione (loro compresi)?

A mente lucida, la stessa Egonu ha poi dichiarato ai microfoni di Sky che probabilmente prenderà una pausa dalla nazionale anche a causa della stanchezza accumulata nel corso di una stagione lunga e impegnativa. Certamente, i commenti razzisti rappresentano per lei un motivo di disagio, come ha sostenuto poco dopo: “Mi fa ridere pensare a persone che mi hanno chiesto perché sono italiana, mi chiedo perché con la maglia della Nazionale debba rappresentare persone del genere che mi scrivono queste cose.”

Paola Egonu, tra l’altro, non è nuova a episodi del genere. Infatti una cosa analoga avvenne in occasione dell’eliminazione delle azzurre ai Giochi Olimpici di Tokyo e in seguito alla scelta di farla sfilare durante la cerimonia d’apertura con la bandiera olimpica, perché ritenuta “diversa”.

Alla luce di quanto successo, i commenti di omofobi e razzisti, legati al colore della pelle, alla sua fluidità sessuale e al suo attivismo in fatto di inclusione e parità dimostrano una totale incapacità di comprendere il talento e i meriti sportivi che portano la Egonu ad essere una delle giocatrici più importanti (nonché tra le più pagate) al mondo.

Non è la prima volta che il razzismo invade lo sport

Nonostante l’ondata di vicinanza e solidarietà che si è stretta attorno a Paola Egonu, in molti hanno precisato come questo non sia un episodio di razzismo e che, in qualità di personaggio pubblico, dovrebbe saper gestire le critiche e la pressione. Ma si può parlare di pressione quando si leggono insulti a sfondo razziale e, soprattutto, fin dove è lecito che un’atleta sopporti questa pressione?

Sminuire il disagio denunciato dalla Egonu, riducendolo a mero sfogo legato a qualche commento scritto sui social, è il lasciapassare a un fenomeno radicato e, purtroppo, troppo poco approfondito.

Anche Zaynab Dosso, medaglia di bronzo nella 4×100 agli ultimi Europei, ha raccontato di essere stata vittima di frasi ingiuriose e razziste in un locale romano in cui sedeva con altri compagni di nazionale. E ancora, il cestista Bruno Ondo Mengle, originario della Guinea Equatoriale, ma con passaporto italiano è stato offeso con il sempreverde “negro di merda” durante l’incontro di Basket tra Arezzo e Costone Siena; nel calcio emblematico è un Cagliari-Juventus di qualche anno fa, quando Moise Kean, calciatore bianconero e della nazionale italiana, fu accolto dai tifosi sardi con ululati e versi da scimmia o il malcontento generato dalle presenze di Mario Balotelli in maglia azzurra.

Le discriminazioni subite dagli atleti italiani di colore sono solo la punta dell’iceberg del trattamento che una parte della popolazione riserva non solo ai migranti, ma anche alle seconde generazioni. Solo qualche giorno fa a Duvan Zapata, calciatore di colore dell’Atalanta, è stato impedito di entrare in una banca di Bergamo perché secondo i vigilantes quello non era “un posto per lui”, salvo poi scusarsi una volta chiarita l’identità del soggetto.

Quando si scende in campo quello che conta è l’attaccamento e il rispetto per la maglia per cui si gioca ed ogni atleta si allena con costanza con l’obiettivo di vincere e se succede festeggiano tutti, razzisti compresi. Quanti podi, medaglie e trofei in meno avremmo se impedissimo agli sportivi neri di giocare?

di Giuliana Olindo

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