Moda e pubblicità in Italia: la mostra alla Fondazione Magnani-Rocca

I manifesti e le pubblicità sulla moda in Italia dall'800 fino al 1951 come opere d'arte alla Villa dei Capolavori di Mamiano

In omaggio a Donna Eugenia di Chiavari, amatissima madre di Luigi Magnani (fondatore) e collezionista di meravigliose riviste femminili fra gli anni Dieci e Venti del secolo scorso, la Fondazione Magnani-Rocca fino all’11 dicembre 2022 vede l’installazione di numerose opere della grande illustrazione pubblicitaria della moda, forma d’arte fra le più significative del Novecento.

Centocinquanta opere per illustrare la nascita della moda italiana, con particolare attenzione agli strumenti di comunicazione che l’hanno supportata, dalle riviste ai manifesti, dai cataloghi dei grandi magazzini fino al cinema in un arco cronologico che parte dall’800 ed arriva al 1951, anno di riferimento per il consolidamento del Made in Italy nel mondo.

Dopo le grandi mostre dedicate ai maestri dell’arte contemporanea, Fondazione Cariparma rinnova quindi e ancora la collaborazione con Fondazione Magnani-Rocca per un’ esposizione che parla di moda, argomento strettamente legato alla storia della Villa dei Capolavori e di coloro che l’hanno abitata. Al primo piano della Villa, infatti, sono saltuariamente resi accessibili gli ambienti più privati dell’abitazione, le grandi armadiature a muro contenenti cimeli di famiglia, abiti maschili e femminili e complementi di abbigliamento.

Il curatore Stefano Roffi ci spiega questa scelta come il voler creare “un bellissimo racconto di un’epoca che non c’è più dal fascino particolare descritto proprio grazie ad abiti di altissima qualità: cappellini ricercati, ombrellini di pizzo, cappelli cilindrici e tovaglie che rievocano gli importanti ricevimenti ospitati dalla famiglia”. La Villa era infatti frequentata anche da Gardina Spadini, figlia dei conti Zileri, che sarebbe diventata il braccio destro di Ida Maramotti, fondatrice insieme al marito Achille del marchio Max Mara di Reggio Emilia.

Il percorso della mostra segue una linea temporale precisa che trova il suo punto d’inizio nell’inaugurazione del primissimo caso importante di grandi magazzini italiani, i magazzini Mele di Napoli, nati a fine Ottocento. La seconda rivoluzione industriale diede vita ad una nuova classe sociale, desiderosa di rimarcare il proprio ruolo attraverso la sontuosità, e ad una conseguente nuova forma di offerta: quella dei grandi magazzini. Nati in Francia, questi vengono da subito esportati in Italia ed è proprio ad essi che la gran parte dei manifesti in mostra è dedicata.

Nel corso del ventennio fascista si riconosce alla pubblicità il ruolo privilegiato di nuovo mezzo di informazione e propaganda e grazie ad esso si delinea un profilo di moda italiana: i manifesti e le pagine delle riviste diventano il terreno sul quale i migliori artisti, illustratori e figurinisti del periodo mettono la loro creatività al servizio di un genere solo apparentemente frivolo. L’abito, infatti, rispecchiava, molto più di quanto succeda oggi, lo stile di vita di chi lo indossava. La pubblicità del tempo fece perno proprio su questo e incentivò il commercio tessile.

I grandi magazzini

Nel mondo dei grandi magazzini, sono due i casi unici al mondo e prettamente italiani a fare la differenza: i Mele a Napoli e La Rinascente a Milano, in due periodi diversi. Mele a fine Ottocento interpreta lo stile francese, superandolo in termini di innovazione. Roffi afferma che “nei manifesti dei magazzini Mele Marcello Dudovich fa riflette le ambizioni di della nuova classe borghese tramite l’eleganza a cui si ispira: le opere dei grandi pittori del tempo, quali Boldini e Klimt che idearono donne eccentriche nate per sbalordire”. Nella campagna pubblicitaria, infatti, essi non ebbero eguali in Europa.

La rappresentazione femminile si semplifica negli anni ’20 quando l’abito diventa molto meno ingombrante ma non perde di eleganza: il soggetto della moda sono ora le sottili, diafane, “donne-crisi” degli anni Venti, che vogliono vedersi finalmente liberate dalla schiavitù dei corsetti. L’attività Mele terminerà proprio attorno a questi anni, quando si assisterà all’ascesa della città di Milano: diventata capitale della moda Italiana con la Rinascente e punto di riferimento del lavoro di pubblicità.

Il curatore esplica il fenomeno con un’immagine realizzata per la Rinascente del 1921 in cui si vede una donna ben agghindata che sfoglia un catalogo di moda scegliendo gli abiti da comprare: “il catalogo è stato un segno di passaggio a una grande modernità e anche un’indicazione della libertà della donna di decidere dopo secoli” ci dice. Le lotte femminili per la conquista di maggiore indipendenza incidono sulla lunghezza delle gonne, sul taglio dei capelli, sui gesti e sul linguaggio del corpo, come incideranno le limitazioni dettate dalle sanzioni economiche all’Italia, a seguito della sua politica coloniale, alla fine degli anni Trenta. Anni in cui la donna appare evolutiva, sportiva, molto sicura di sé e gli abiti l’accompagnano in questo cambiamento.

“La mostra vuole farsi racconto anche della storia del costume e del suo peso nell’evoluzione della figura femminile” continua il curatore.

Un’altra immagine del 1928 espone, infatti, una donna eroina, che Roffi denomina come “una Wonder Woman dal fisico atletico, inconsueta per quei tempi, che col suo mantello rosso guarda l’osservatore con grande sicurezza”, immagine che sorprende ancora oggi per la grandissima modernità, perchè emblema di “una donna impegnata nel conquistare il suo posto” .

Le nuove forme d’arte

Riguardo al tema della mostra, il direttore sottolinea come “per molto tempo questo tipo di rappresentazione è stato considerato marginale, addirittura non artistico”: dopo l’uso i manifesti di moda venivano sostituiti e non venivano neppure conservati perché non si pensava potessero rientrare in qualche forma d’arte. “È piuttosto recente, invece, l’edificazione di un’idea di moda come fra le più importanti declinazioni artistiche del nuovo secolo, insieme al cinema”. Operazioni assolutamente innovative che però nell’immediato si sono scontrate con la diffidenza. Roffi conclude evidenziando la volontà del museo nel “dichiarare in modo definitivo- attraverso tale mostra- che si tratta delle forme d’arte che più possono dialogare col passato e modellarsi al servizio del marketing”.

Parma, d’altro canto, ha un lontano legame col settore moda: originarie di Traversetolo sono le celeberrime sorelle Fontana che sarebbero approdate a Roma nel 1934, divenendo dopo qualche anno creatrici di moda celebri internazionalmente, rendendo famoso lo stile italiano nel mondo.

di Pradama Caputo

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