Eco-ansia: il cambiamento climatico incide sulla nostra salute mentale

Stress, depressione, ansia o disturbo da stress post-traumatico: questi gli effetti su alcune persone, soprattutto tra i più giovani, causate dalla crisi ambientale e dalle sue prospettive sul futuro dell’umanità

Fortunatamente, si sente parlare sempre più spesso dell’emergenza climatica globale e degli effetti sull’ambiente, così da poter sensibilizzare le persone e sperare in un cambiamento possibile. Meno però si parla delle ansie e dei pensieri che le persone hanno quando si pensa al futuro del mondo e al proprio in relazione a quest’ultimo. Negli ultimi anni, infatti, si sta registrando un aumento di quella che viene definita “eco-ansia” o “depressione climatica”. 

L’eco-ansia è stata definita per la prima volta nel 2017 dall’American Psychological Association (associazione di categoria che rappresenta gli psicologi negli Stati Uniti d’America) come “una paura cronica della rovina ambientale”, che può manifestarsi attraverso un lieve stress oppure attraverso depressione, ansia o disturbo da stress post-traumatico. L’ eco-ansia è una sensazione di angoscia, in alcuni casi anche di panico, generata dalla consapevolezza della crisi ambientale e dei cambiamenti climatici in atto, che si manifesta principalmente proprio tra chi lotta per cercare di contrastarli. 

Un esempio specifico è la solastalgia, questo termine è stato coniato di recente all’università di Newcastle in Australia dal filosofo Glenn Albrecht. “Solastalgia” deriva dall’unione di “solace” e “nostalgia”, quindi nostalgia del conforto e si manifesta quando i danni creati dal cambiamento climatico distruggono o intaccano i luoghi cari di una persona, scatenando così sentimenti di disagio, ansia, depressione, senso di perdita e dolore. 

“È un tipo di nostalgia o malinconia che provi quando sei a casa e il tuo ambiente sta cambiando intorno a te in modi che ritieni profondamente negativi”, ha scritto Albrecht, mentre studiava gli effetti dell’estrazione del carbone sugli abitanti della Upper Hunter valley, in Australia. Albrecht ha notato in loro ansia, irrequietezza, depressione e disperazione, tutti sentimenti causati dalle trasformazioni ambientali che si stavano sviluppando nell’ambiente dove queste persone erano cresciute. 

Le nuove generazioni hanno un grande fardello

“I Millennials e la Generazione Z sono cresciuti in un pianeta diverso, che impone scelte più difficili, rispetto ai loro genitori. Accettare questo dato di fatto è il primo passo per evitare di lasciarsi sopraffare dall’angoscia”. Questo è ciò che viene scritto nell’articolo di National Geographic riguardo all’ansia climatica, ed è proprio attraverso questa frase che si capisce la responsabilità che le nuove generazioni, cioè i Millennials e la Generazione Z, dovranno avere per poter migliorare quello che le generazioni precedenti hanno creato e al tempo stesso distrutto. 

Le trasformazioni che stanno avvenendo stanno caratterizzando la nostra epoca, quella che viene definita Antropocene, termine coniato nel 2000 dal chimico e premio Nobel olandese Paul Crutzen, che definisce il periodo in cui gli esseri umani esercitano un impatto enorme sull’ecosistema terrestre, rendendosi la causa del riscaldamento degli oceani, dell’erosione del suolo, dei cambiamenti climatici, della scomparsa di diverse specie animali, degli allevamenti intensivi e dei disboscamenti. 

Il fenomeno dell’eco-ansia è qualcosa di importante e preoccupante, ma come si può gestire? È importante tenere conto che un continuo senso di impotenza di fronte a ciò che sta accadendo può ripercuotersi sulla salute mentale, soprattutto tra i più giovani, perché si sentono responsabili del futuro del pianeta. 

Ma è proprio attraverso l’ansia e la profonda preoccupazione per il futuro che molti giovani faticano a sentirsi utili, sviluppando un senso di colpa e di impotenza. Per questo l’eco-ansia non va banalizzata, ma al contrario, bisogna capire il motivo per il quale si manifesta e cercare di aiutare le persone che ne soffrono e si sentono in difficoltà. 

Secondo gli esperti di eco-psicologia il modo migliore per combatterla è mettere in pratica alcune azioni per invertire il senso di marcia e fare qualcosa di concreto per il pianeta, in modo da attenuare il senso di impotenza, ricongiungersi con la natura e mettendo in pratica comportamenti pro-attivi per contribuire anche a livello individuale alla salva- guardia della Terra, come ad esempio prendendosi cura di piante, di orti o riqualificando zone abbandonate al degrado. Ed è proprio questa energia che in alcuni casi, trasforma ansia e rabbia in attivismo, portando i giovani a condividere impegni e sforzi in attività che permettono di sentirsi utili e informati in modo consapevole e realistico e soprattutto condiviso. 

A testimonianza della sensibilizzazione dei nuovi Millennial nei confronti delle problematiche del cambiamento climatico, una lettera inviata da una ragazza fiorentina al sindaco della città riguardo l’ordinanza anti-spreco emanata quest’estate per contrastare la crisi idrica. Benedetta Moschitta si dichiara perplessa sull’ordinanza comunale che mise allo stesso posto l’annaffiatura di orti e giardini con il riempimento di piscine e il lavaggio privato dell’auto; interrogandosi sull’importanza di proteggere e preservare la vita di ortaggi e piante piuttosto che mantenere pulita l’autovettura. Questo è esempio di nuova sensibilità che sta cambiando, ognuno di noi deve fare la sua parte, ma ci vogliono anche nuovi piani e progetti che delineino un’inversione della rotta e che educhino le coscienze dei cittadini. 

Il cambiamento deve diventare globale, le istituzioni dovranno attuare una serie di strategie mirate e condivise per poter far fronte al riscaldamento globale e a tutte le problematiche ad esso allacciate e riconducibili. 

Ma l’eco-ansia è davvero così pericolosa?

Lo studio “Climate anxiety: What predicts it and how is it related to climate action?”, pubblicato sul Journal of Environmental Psychology è il primo in assoluto a indagare dettagliatamente sull’ansia climatica tra la popolazione del Regno Unito. 

Esso ha evidenziato come l’eco-ansia sia aumentata negli ultimi anni, diffondendosi soprattutto tra i giovani di tutto il mondo. Attraverso un nuovo studio condotto da un team di ricercatori britannici delle università di Bath, Surrey, Cardiff e di Climate Psychologists che ha raccolto le opinioni di 1.338 adulti del Regno Unito in due punti temporali (nel 2020 e nel 2022) per approfondire la prevalenza dell’ansia climatica, è emerso che tre quarti dell’opinione pubblica del Regno Unito ha dichiarato di essere preoccupata per il cambiamento climatico, ma solo il 4,6% ha sperimentato ansia per il clima nel 2022.

Il dato più rilevante emerso da questo studio è che l’eco-ansia potrebbe essere motivante per agire nel cambiamento di stili di vita e quindi promuovere una serie di comportamenti atti a ridurre le emissioni e incentivare scelte più eco sostenibili.

La domanda sorge spontanea, ma quindi l’eco-ansia può servire per migliorare la nostra vita? 

In un certo senso, può essere. Attraverso lo studio condotto dalla psicologa ambientale Lorraine Whitmarsh emerge che i media attraverso le immagini sui cambiamenti climatici come incendi, siccità, inondazioni, tempeste e ondate di calore riescano ad aumentare l’ansia climatica ma nello stesso tempo sono in grado di motivare alcune persone ad agire per affrontare il problema, promuovendo innanzitutto un cambiamento nel loro stile di vita. 

Quindi l’eco-ansia e i vari media potrebbero creare proprio quella giusta sinergia per iniziare a fare qualcosa di importante per il mondo. Ovviamente dobbiamo tutti farcene carico, perché il cambiamento climatico interessa ciascuno di noi. Il futuro deve diventare più eco sostenibile, le nostre azioni devono essere condivise e mirate a risolvere questa situazione. Ognuno deve fare la sua parte per portare un contributo alla risoluzione del problema. Perché uniti siamo in grado di agire e di proporre nuove soluzioni per tentare di risolvere vecchi problemi.

di Arianna Forti

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