Stop-Motion, la seconda vita di una tecnica cinematografica storica

La storia della tecnica a passo uno dagli albori fino a Tim Burton

Prima dei computer e degli effetti speciali, per dare vita o animare i mostri ed i personaggi mitologici, il cinema richiedeva l’utilizzo di una particolare tecnica, al confine tra l’artigianato e la moderna tecnologia: lo stop-motion (in italiano denominato passo uno). Vista la laboriosità e il tempo richiesto per lo sviluppo di una singola scena, oggi gli viene spesso preferito l’uso di effetti speciali e visivi digitali, che occupano un ruolo decisamente importante all’interno del panorama Hollywoodiano. Nonostante le notevoli differenze tra queste tecniche, con gli anni lo stop-motion è riuscito ad aggiornarsi e, in innumerevoli casi, a trovare un equilibrio e una coesione tra analogico e digitale, anche grazie all’introduzione di applicazioni per smartphone o fotocamere moderne DLSR, dando vita ad alcune delle più premiate e apprezzate pellicole recenti.

Crediti: Dan Richards – Linkedin

Una tecnica laboriosa

Agli albori della cinematografia, mentre la sala stava compiendo i suoi primi passi, diversi registi si resero conto delle immense potenzialità della cinepresa, intuendo di avere la possibilità di rappresentare qualsiasi paesaggio volessero creando una vera e propria illusione. Inizialmente l’idea prevedeva di girare una sequenza di fotogrammi poi sommati in post-produzione in rapida successione, in cui ognuno degli oggetti presenti nell’immagine veniva spostato leggermente rispetto alla sua precedente posizione. Sculture di carta, pupazzi, giocattoli: qualsiasi strumento poteva prendere vita agli occhi dello spettatore.

Su queste basi si svilupparono così i primi progetti, semplici nell’idea ma molto laboriosi, sistematici e macchinosi nella pratica. Per il funzionamento dello stop-motion sono necessari in genere dodici fotogrammi allo scopo di realizzare un solo secondo di animazione e quindi variare e modificare la velocità, gli spostamenti e i movimenti dei singoli soggetti. Questo solo nel caso dei paesaggi, mentre quando a schermo sono rappresentati manichini o pupazzi vengono usate metodologie più complesse, viste le parti meccaniche ed in movimento: per fare sì che si muova, è necessario che sia ovviamente mobile e flessibile, ma deve avere uno scheletro rigido che possa consentirgli di mantenere fissa la posizione iniziale per diverse sequenze temporali. I pupazzi vengono in seguito fissati con sottili chiodi e viti al piano di lavoro, eliminati poi digitalmente dalla scena o volutamente non ripresi dall’addetto alla fotografia. I volti e le espressioni facciali, invece, vengono eliminati manualmente, sostituendo alcune parti del corpo. Il nome passo uno inoltre non è casuale, ma deriva dalla terminologia dei ‘quadri per secondo‘: se i fotogrammi (quadri) sono tutti differenti, si può infatti parlare di passo uno, mentre se si ripetono a coppie si definisce passo due.

Con questa tipologia di ripresa, è possibile quindi animare oggi, oltre ai pupazzi prima citati, anche i moderni cartoni animati, riprendendo l’immagine della composizione di fogli lucidi oppure realizzando la singola animazione. Le moderne tecnologie disponibili, dalle fotocamere specialistiche ai software specifici come Dragonframe (il quale consente di catturare in maniera praticamente istantanea i fotogrammi e riprodurre digitalmente le animazioni), fino ad applicazioni per smartphone come Motion Stop Motion, iMotion, Stop Motion Studio, hanno semplificato notevolmente il lavoro degli animatori, per un genere che continua a resistere nel tempo e anzi, sembra vivere una seconda vita.

Crediti Immagine: Tom’s Hardware

I primi anni e i grandi registi di genere

Già a partire dalla fine dell’800, diversi furono i pionieri di questa tecnica. Il percorso evolutivo del genere è nato grazie alle produzioni del primo vero regista di genere fantastico George Meliès, il quale utilizzò invero la tecnica della ‘pixellizzazione‘, che consiste nella ripresa di attori dal vivo che vengono utilizzati come soggetto, fotogramma per fotogramma, in un film d’animazione, posando ripetutamente e cambiando leggermente posa. Il primo cortometraggio in stop-motion risale invece addirittura al 1898 e si intitola The Humpty Humpty Circus, diretto da Albert E. Smith e J. Stuart Blackton, che mostrava la vita all’interno di un circo giocattolo. Nel 1907 poi, un film intitolato The Haunted Hotel prodotto da J. Stuart Blackton divenne un grande successo commerciale,

Un decennio più tardi, con il film La Battaglia dei cervi volanti del regista Ladislas Starewich, si inizia a esplorare la caratterisica dello stop-motion della vera e propria animazione. Ha continuato negli anni a creare mondi magici ed è tutt’oggi accreditato come regista di molti grandi film d’animazione come The Tale of The Fox o The Mascott, entrambi considerati opere classiche e a tutti gli effetti storiche di questo maestro artista. Al grande pubblico invece arrivarono soltanto più tardi alcuni Kolossal del più grande regista del genere Willis O’Brien, che produsse quelli che vengono definiti i primi Blockbuster americani poi internazionalizzati come Il Mondo perduto o King Kong. In ogni caso, nella prima parte del Novecento era sicuramente necessario essere ottimi artigiani per poter padroneggiare al meglio questa arte cinematografica.

In epoca moderna, invece, uno dei più celebri registi di genere e che ha scritto la storia dello stop-motion è sicuramente Tim Burton. Il cinema di questo regista diviene uno spazio virtuale in cui perdersi, in cui non esistono più definizioni univoche od oggettive di bello o brutto, buono o cattivo, ma le sue storie trascendono l’oniricità raccontando le ambizioni dell’infanzia e le fragilità dell’età adulta, sempre in bilico tra realtà e fantasia, dark e malinconica, con una punta di elegante satira.

Dalla sala alla televisione

Con la tecnica dello stop-motion sono stati realizzati numerosi corti e lungometraggi, sia televisivi che usciti in sala cinematografica. Del sopracitato Tim Burton è impossibile dimenticare i pluripremiati Nightmare Before Christmas (di cui è sceneggiatore e produttore esecutivo) e La Sposa Cadavere (di cui è regista e produttore), entrambi appartenenti al genere Musical.

Nightmare Before Christmas, diretto da Henry Selick, racconta le vicende di Jack Skeleton (in italiano Skeletron), uno scheletro vestito con abiti eleganti, indiscusso re del terrificante paese di Halloween. Gli abitanti del paese passano l’intero anno a preparare quella che per loro è, ovviamente, la festa più importante, ovvero la notte del 31 ottobre. Jack sembra però stanco di spaventare il prossimo, e cerca nuovi stimoli che possano ridargli l’entusiasmo perduto. Un giorno, camminando nel bosco di Halloween assieme al suo cane Zero, si imbatte in alcuni alberi, ognuno con una porta all’interno del tronco. Jack decide di aprirne una con un albero di Natale disegnato sulla sua superfice e si ritrova catapultato in un mondo parallelo, completamente innevato, immerso in decorazioni ed addobbi natalizi. Spinto dall’entusiasmo e rapito dalla splendida atmosfera trovata, decide di portare il Natale nel suo regno, lasciando inevitabilmente tutti gli abitanti perplessi. Cercherà così di coinvolgere tutti nella festività.

La Sposa Cadavere è invece una fiaba animata molto tetra e gotica liberamente ispirata ad una storia folkloristica ebraica, trasposta in una immaginaria epoca simile all’età vittoriana. In un villaggio olandese del 1800, la famiglia Everglot promette in sposa la propria figlia Victoria a Victor, un giovane appartenente ad una famiglia benestante. Nonostante sia un matrimonio combinato, i due si innamorano. Per potersi sposare però, Victor deve dimostrare di sapere a memoria i voti nuziali. Cercando di memorizzarli, cammina per la foresta e suggella i voti con l’anello nuziale con quello che crede un ramo, ma che si rivela essere il cadavere di una giovane donna vestita da sposa (Emily), la quale si risveglia e lo trascina nell’oltretomba.

Crediti: Quinlan.it

Altre pellicole internazionali celebri dell’era moderna sono i film della casa di produzione britannica Aardman Animation, che ha prodotto pellicole del calibro di Galline in fuga, Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro, oppure i lungometraggi dello studio americano Laika, che ha prodotto, tra gli altri, Coraline e la porta magica e ParaNorman. Nel contesto italiano invece, tra gli animatori più celebri vi è Paolo Gaudio, che ha diretto il premiato Fantasticherie di un passeggiatore solitario, tratto da un’opera rimasta incompiuta di Jean Jacques Rousseau. Il film è un rarissimo esempio italiano di tecnica mista, che mescola riprese dal vivo e animazione.

Molte di queste pellicole, vista l’enorme complessità tecnica che richiede la produzione, sono state spesso candidate al Premio Oscar come Miglior Film d’animazione e hanno ottenuto numerosi riconoscimenti, a dimostrazione che la tecnica dello stop-motion viene ancora universalmente riconosciuta con grande rispetto.

di Roberto Ligorio

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