Donna Vita Libertà: l’urlo del popolo iraniano e l’eco della rivolta

La questione iraniana dovrebbe essere anche la nostra questione. Non dobbiamo dare per scontata la libertà che respiriamo, facciamo fronte comune, informiamoci, divulghiamo ciò che sta accadendo

Il 28 Novembre, intorno alle 21.00, durante la partita dei mondiali Portogallo Uruguay in Qatar, il nostro compaesano Mario Ferri, con bandiera Lgbtqa+ e una maglietta con gli slogan “Save ukraine” e “Respect for iranian woman”, invade il campo e interrompe il match. Se la bandiera arcobaleno e il sostegno al popolo ucraino sono messaggi che nell’ultimo periodo sono diventati un po’ anche nostri, sappiamo poco sulla rivolta e i disordini che stanno avvenendo in Iran.

Tutto ha inizio (almeno per l’opinione pubblica internazionale) il 16 settembre quando Masha Amini, ragazza di 22 anni, muore in coma poche ore dopo essere stata picchiata dalla polizia morale iraniana perché non indossava il velo.

Le dichiarazioni dell’Organizzazione della medicina legale di Teheran, esposte dalla televisione di Stato, affermano che Masha sia morta a causa di un disturbo all’asse ipotalamo-ipofisario. I familiari della giovane hanno sempre smentito che avesse problemi di salute, sostenendo che fosse morta a causa di un violento colpo alla testa e hanno denunciato i poliziotti che l’avevano arrestata, chiedendo accesso a tutta la documentazione medica che tuttora non hanno potuto visionare. Il sito Iran International aveva pubblicato una presunta tac di Amini che mostrerebbe un trauma cranico.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata proprio la tragica perdita della ragazza che ha dato il via a una rivolta supportata da donne e giovani (ma anche tanti uomini) stanche di essere oppresse e soffocate da leggi che intaccano la loro libertà. Masha è stata uccisa dall’assolutismo e dal dogmatismo politico e religioso di un governo ultra conservatore.

Nel resto del mondo, le donne si sono unite alla mobilitazione di solidarietà verso Masha e le donne iraniane, tagliandosi i capelli e alzando lo slogan: “Donna Vita Libertà”.

Alla luce di quanto accaduto è forse doveroso un focus sulla polizia morale. Questa istituzione è stata fondata nei primi anni del ventunesimo secolo, per fare in modo che le donne indossassero i ‘giusti’ abiti – tra cui l’hijab e vesti lunghe – e che, più specificatamente, tutti rispettassero le regole religiose. È un corpo delle forze dell’ordine parallelo alle forze militari, con il compito di pattugliare le strade iraniane. È questo corpo della polizia che sembra essere il responsabile della morte di Masha e successivamente di molti manifestanti.

In Iran, quindi, è in corso una rivolta o una rivoluzione? Innanzitutto bisogna distinguere i termini: una rivolta è un atto di ribellione del popolo contro un ordine riconosciuto, spesso uno Stato, mentre una rivoluzione ha maggiore portata e comporta un radicale cambiamento nella forma di governo di un paese.

L’ultima grande rivoluzione che ha subito l’Iran è quella islamica iraniana del 1979, che trasformò la monarchia del paese in una repubblica islamica sciita, la cui costituzione si rifà al Corano. È nel 1979 che il leader Khomeini decreta l’obbligo di indossare l’hijab.

Sono molte le rivolte che, negli anni, le donne iraniane hanno messo in moto con l’intento di sovvertire questa repressione sociale, ma mai con una reale vittoria. Da menzionare quella durante la festa della donna dell’8 marzo 1979, all’inizio dell’era Khomeini, quando 100mila donne scesero in piazza a Teheran contro la neo-legge sull’obbligo del velo.

La rivolta iniziata il 16 settembre di questo anno, a differenza delle precedenti, vanta maggiore unità e maggiore diversificazione delle forze che aderiscono al movimento. È una rivolta molto ampia, dove le donne iraniane sono le leader e le apri-fila della lotta. Il grido é più coeso che mai. È iniziata con le donne che chiedevano maggiore libertà e il rispetto dei loro diritti umani ed è finita per coinvolgere tante persone unite dalla richiesta di mettere fine al sistema stesso della Repubblica islamica.

A causa di soppressioni fisiche delle manifestazioni, oggi si contano migliaia di feriti e centinaia di morti. Come se non bastasse, l’8 Dicembre si è svolta la prima orribile esecuzione tramite impiccagione di un manifestante, il ragazzo di 23 anni Mohsen Shekari, dopo che era stato arrestato per il reato di “guerra contro dio”. Per il medesimo reato, secondo il giornalista di BBC monitoring Khosro Kalbasi Isfahan, altri due manifestanti (Mahan Sedarat Madani e Mohammad Broghan) saranno giustiziati a breve.

Il 10 Dicembre Amnesty International ha annunciato di aver documentato i nomi e i dati di 44 bambini uccisi durante le proteste in Iran e raccolto informazioni sulle minacce ricevute dal governo dai genitori di 13 vittime. Inoltre, ai parenti è stato vietato di condividere foto sui social media.

Per far in modo che il messaggio lanciato dai manifestanti iraniani possa tramutare la rivolta in una rivoluzione, sempre più persone devono prendere coscienza di questa realtà. “Un gruppo di persone che condivide un obiettivo comune può raggiungere l’impossibile”. In questo caso “l’impossibile” è qualcosa che in altri stati del mondo si dà per scontato e per cui non si deve lottare.

Uno dei problemi fondamentali è il cardine culturale dato della tradizione e dalla storia, di ogni singolo paese. Queste fondamenta intellettuali veicolano le notizie e le informazioni. Un altro problema di non poco conto sono le fake news che spesso rimbalzano in Occidente: “Iran, abolita la polizia morale”. La giornalista iraniana residente a Teheran, Ferahste J, conferma che la polizia religiosa non è stata abolita.

Secondo le parole di Ferahste, tuttavia, la presenza di riflettori puntati sull‘Iran possono fare la differenza. Le pressioni internazionali e la potenza dei media possono avere un ruolo fondamentale per fare in modo che avvenimenti importanti come quelli che stanno succedendo in Iran abbiano la giusta rilevanza e che non scompaiano nella moltitudine di notizie.

Per questo motivo, oltre ai numerosi morti, il Consiglio per i diritti umani delle nazioni unite ha istituito una missione di accertamento delle violazione di tali diritti in Iran.

Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International (movimento internazionale che si mobilita in difesa dei diritti umani, che da anni si impegna alla creazione di un meccanismo internazionale di indagine e accertamento della questione iraniana) ha dichiarato: “Questo passo importante e atteso da tempo dimostra che le grida di giustizia delle persone in Iran sono state finalmente ascoltate. Ci auguriamo che l’istituzione di questa missione segni un cambiamento fondamentale nell’approccio della comunità internazionale nell’affrontare la crisi dell’impunità sistematica che ha a lungo alimentato crimini ai sensi del diritto internazionale e altre gravi violazioni dei diritti umani in Iran. La risoluzione non solo migliora il controllo internazionale della terribile situazione in Iran, ma mette anche in piedi un processo per raccogliere, consolidare e conservare prove cruciali per futuri procedimenti giudiziari”.

Ma cosa possiamo fare noi, geograficamente e culturalmente così lontani? Dobbiamo fare fronte comune, informarci, parlare, discutere di quello che sta succedendo; dobbiamo essere l’eco della rivolta e fare in modo di alimentare la fiamma che numerose donne e manifestanti hanno acceso in Iran, non farla spegnere da ideologie che intaccano la libertà delle persone. Non possiamo girarci dall’altra parte perchè quello che succede in Iran riguarda tutti.

Quante volte è capitato di essere in disaccordo con ideologie di altre persone, o che altre persone fossero in disaccordo con le nostre? La libertà di pensiero ed espressione è indiscutibile, soprattutto se riguarda qualcosa che non influenzerebbe la vita di altri individui (come la scelta di indossare o meno il velo).

In questo momento storico, non vorrei vivere in Iran; così come non vorrei vivere in qualsiasi altro luogo dove le mie idee potrebbero essere soppresse. Per questo motivo mi è così importante la questione iraniana: da persona privilegiata mi sento in dovere di alimentare la voce di un popolo che chiede semplicemente libertà ed equità.

di Alessio Garritano

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