Se il maiale va a vivere in condominio

In Cina stanno aprendo alcuni super-allevamenti di maiali, dove troveranno posto migliaia di animali, disposti su più piani. L'obiettivo dichiarato è sfruttare i principi dell'economia di scala per rendere la produzione più affidabile e sostenibile, ma le incognite e i dubbi sono ancora tanti.

Circa la metà dei maiali del pianeta si trova in Cina, che rimane però importatrice netta di carne suina. Questo perché il maiale è uno degli alimenti più diffusi tra la popolazione cinese: la produzione interna, per quanto imponente, ancora non basta a soddisfare la richiesta. Da diversi anni per il governo cinese è una priorità assicurare un certo grado di autosufficienza alimentare, almeno per gli alimenti base, compresa quindi la carne di maiale. Tuttavia, con una popolazione di più di un miliardo di persone, garantire un buon livello di sicurezza alimentare, senza dipendere dal mercato internazionale, non è impresa da poco.

La veduta aerea di un super-allevamento multipiano fa bella mostra di sé nella homepage della Guangxi Yangxiang, una delle grandi aziende cinesi che opera nella filiera della carne suina.

Biosicurezza degli allevamenti e sicurezza alimentare

Nel 2019 l’intero territorio cinese è stato coinvolto da un’epidemia (più correttamente: epizoozia) di Peste Suina Africana: la stessa malattia segnalata nei cinghiali in Italia l’anno scorso, prima sull’appennino tra Piemonte e Liguria, poi a Roma.

Per questa malattia, di origine virale, non c’è cura né vaccino, e gli animali che si ammalano sono destinati a morire nella quasi totalità dei casi. L’unico modo per contenerla è abbattere gli animali infetti, per impedire che il contagio si diffonda, in una sorta di gara di velocità tra l’uomo e il virus. Il vincitore non è mai scontato.

Nel corso dell’epizoozia del 2019 si è arrivati ad abbattere quasi un terzo dei maiali dell’intera nazione. Ne è seguita una vera e propria crisi alimentare, e anche se l’importazione ha compensato la riduzione nella produzione, i prezzi della carne di maiale sono schizzati alle stelle, penalizzando in modo particolare le fasce più povere. Infine, passata la malattia, la popolazione di suini si era ridotta a tal punto da rendere difficoltoso il tempestivo ripopolamento degli allevamenti a causa della scarsità di riproduttori. Solo quest’anno la produzione interna sembra essere tornata ai livelli del 2018, anche se i prezzi della carne sono ancora alti.

Per impedire che questa o altre malattie colpiscano nuovamente in modo così disastroso, il governo cinese è intervenuto imponendo norme più severe sulla biosicurezza degli allevamenti. Il problema è che la maggior parte degli allevamenti è di piccole dimensioni e di tipo rurale. Proprio la diffusione capillare di tanti piccoli allevamenti ha reso la popolazione di maiali cinese particolarmente vulnerabile alle malattie infettive. Negli allevamenti più piccoli, e in particolare in quelli rurali, non è materialmente possibile garantire un elevato livello di biosicurezza. In particolare gli allevamenti rurali bradi o semibradi possono diventare un ponte tra l’ambiente selvatico e quello domestico, sia per i virus della Peste Suina che per altri virus, tra cui quelli influenzali che possono anche fare il salto di specie dal maiale all’uomo.

Biosicurezza e sostenibilità: le dimensioni contano

L’intervento draconiano del governo cinese ha portato alla rapida crescita degli allevamenti a ciclo chiuso di grandi dimensioni, dove le nuove norme sulla biosicurezza sono più facilmente applicabili.

L’idea di concentrare in un unico allevamento un numero enorme di animali (in alcuni casi più di mezzo milione) nasce anche dalla volontà di perfezionare ulteriormente il concetto di ciclo chiuso, facendo un passo in più non solo in termini di biosicurezza, ma anche verso l’economia circolare. Allevamenti così grandi, tanto da richiedere capannoni multipiano per ospitare tutti i suini, renderebbero (il condizionale è d’obbligo) economicamente conveniente la costruzione di un depuratore e di un impianto di produzione di biogas dedicati al singolo allevamento. Il biogas sarebbe poi utilizzato per produrre energia, sempre con impianto dedicato, utilizzata dall’allevamento stesso. Non è ancora chiaro se ci saranno anche impianti di macellazione dedicati, riducendo anche il trasporto di animali, punto critico del benessere animale.

Sulla carta, il guadagno in termini di impatto ambientale sembra essere netto e molto significativo. Tuttavia, come riportato ad esempio da The Guardian, alcuni esperti dubitano dei vantaggi in termini di biosicurezza. Se è vero che un allevamento a ciclo chiuso riduce al minimo i contatti degli animali con l’esterno, e quindi le probabilità di contagio, è anche vero che con allevamenti di queste dimensioni, nel caso in cui una malattia infettiva trovasse comunque il modo di entrare, sarebbero immediatamente coinvolti un numero enorme di animali. Il bilancio complessivo rischi-benefici non è dunque scontato.

Anche dal punto di vista del benessere animale potrebbero esserci problemi. Si tratta di un allevamento intensivo, con tutte le sue criticità, e se è vero che non sembrano esserci differenze sostanziali rispetto a un qualunque altro allevamento di dimensioni standard, questi veri e propri condomini per suini faranno ampio uso dell’automazione, per ridurre al minimo la manodopera (anche l’ingresso del personale è un fattore di rischio per la biosicurezza). In caso di malfunzionamenti, ad esempio del sistema di distribuzione dell’acqua, gli animali coinvolti saranno moltissimi e non è chiaro come si potrà intervenire manualmente in attesa delle riparazioni.

Anche i costi effettivi di produzione sono un’incognita. Come riportato da Reuters, al momento i produttori beneficiano ancora di prezzi di mercato relativamente alti; quegli stessi prezzi che hanno consentito gli ingenti investimenti necessari alla costruzione dei superallevamenti stessi. In linea generale un allevamento più grande garantisce costi unitari più bassi, ma la legge di scala ha un limite, superato il quale diventa sempre più difficile garantire il perfetto coordinamento di tutte le parti di un sistema produttivo: i costi potrebbero quindi rivelarsi più alti del previsto.

Solo il tempo ci dirà se quesa scommessa si rivelerà vincente o perdente.

di Giovanni Perini

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