Jobs Act, giovani al tempo della precarietà

I PRINCIPALI CAMBIAMENTI RIGUARDERANNO SPECIALMENTE I NUOVI ASSUNTI

jobsact_contrattoAddio articolo 18, benvenuto Jobs Act. Alla fine la determinazione di Renzi ha avuto la meglio per quel che riguarda la riforma del lavoro: tra critiche feroci e odi idilliache è riuscito nell’intento di farla approvare.
Ma in cosa consiste questo provvedimento? Innanzitutto, la riforma prevede che a partire dal 1 gennaio 2016 non potranno più essere stipulati i cosiddetti contratti di collaborazione a progetto (Co.Co.Pro.). Quando scadranno quelli già in corso, i nuovi assunti potranno essere ingaggiati attraverso le varie tipologie di contratto rimaste uguali, o quelle introdotte.

“MA L’ART. 18 ANDAVA MANTENUTO” – “Per i giovani si tratta di un aspetto positivo –fa notare l’on. Patrizia Maestri, del Partito Democratico-. E’ stata cancellata la tipologia del job sharing e, personalmente, mi auguravo che venissero cancellati anche i contratti a chiamata, che creano una forma eccessiva di flessibilità. Per tutti i nuovi lavoratori, che siano giovani o meno, esiste la possibilità di essere assunti a tempo indeterminato con il contratto a tutele crescenti. Quest’ultimo, in combinazione con la legge di stabilità, dovrebbe -ripeto dovrebbe, perché fare previsioni certe è impossibile ora come ora- favorire un incremento dell’occupazione.”
Per la deputata parmense, però, ci sono anche alcuni aspetti negativi: “Uno di questi è l’abolizione dell’art.18. C’è stato un tentativo di mediazione sulla questione almeno all’interno del partito. Aver inserito nel decreto il fatto che si applichi anche ai licenziamenti collettivi ha aperto un problema che è anche di merito, perché in questo caso apre una divaricazione forte tra nuovi e vecchi assunti. Quindi, trovandoci a parlare di nuovi assunti, generalmente giovani, si crea un differenziale molto forte tra due generazioni”.

incontroascomIMPRENDITORI SODDISFATTI – Indubbiamente, la più grande novità del decreto approvato il 20 febbraio, è il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Come fa notare Guido Lazzarelli di Confcommercio, nell’ambito del lavoro, questo contratto rappresenta una nuova disciplina: dei licenziamenti, delle conseguenze dei licenziamenti illegittimi, della conciliazione.
“Dobbiamo pensare che i contratti a tempo indeterminato saranno ‘ad esaurimento’ e verranno sostituiti dai contratti a tutele crescenti” ha sottolineato Lazzarelli, in diretta streaming dalla sede nazionale di Roma della Confcommercio, trasmessa nelle varie sedi territoriali, a Parma da Ascom nei giorni scorsi.
Nel seminario organizzato dalla confederazione sono stati illustrati i passaggi fondamentali del decreto sul Jobs Act, negli aspetti che riguardano la piccola e media impresa. Nelle tipologie di contratto, quelli a termine mantengono la durata massima di 36 mesi, mentre per i voucher viene elevato il tetto di importo percepito da 5 mila a 7 mila euro, con una riduzione dei costi per le aziende del 10%.
Paolo Pennesi, segretario generale del Ministero del Lavoro, ha poi speso parole di elogio per il lavoro svolto dal governo Renzi. “E’ in assoluta continuità con la legge Fornero, finalmente abbatte quel vecchio tabù dell’art. 18 –ha dichiarato-. Questa operazione rivede la flessibilità in uscita. Con l’art. 3 viene sancito un principio generale. I licenziamenti senza giusta causa prevedono una indennità di tipo economico. La logica è quella di fornire elementi di prevedibilità, sottraendo potere interpretativo ai giudici”.

LA REAZIONE DELLA CGILGiuseppe Braglia, sindacalista che si occupa di diritto del lavoro, ha invece fortemente criticato la nuova norma: “E’ in corso una liberalizzazione dei licenziamenti. Il reintegro viene mantenuto solo in alcuni casi. I giudici sono molto più limitati, possono sentenziare l’illegittimità di un licenziamento ma non possono disporre il reintegro. Il Jobs Act ha allargato la precarietà. Con l’avvento del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti -continua Braglia- il lavoratore può essere lasciato a casa dal proprio datore di punta in bianco”.
Molti dubbi riguardano proprio il contratto a tutele crescenti, che secondo il rappresentante della Cgil, “monetizza il licenziamento, ed in termini di indennità abbassa la casistica prevista dalla legge Fornero. I licenziamenti per giustificato motivo ad esempio, prevedono una indennità che copre dalle 4 alle 24 mensilità, mentre la Fornero aveva fissato il punto di partenza a 12 mensilità”.

“RENZI, UN UOMO CHE NON FA PRIGIONIERI” – “Il messaggio politico renziano è che le aziende possono licenziare quando vogliono, con la garanzia di sgravi fiscali. Renzi ha siglato un patto forte con le imprese. A queste ultime viene chiesto di assumere per tirarci fuori dalla crisi, segno evidente che il governo non ha una vera politica industriale – afferma ancora Braglia. – Questa è una legge dove se un datore di lavoro manda a casa i dipendenti ha un guadagno sostanziale. In un contesto dove si parla di innovazione, valorizzazione, competenza, si inserisce il lavoratore in una situazione dove il datore è interessato più al costo che alla valorizzazione.”
Per il sindacalista, “in 6 mesi il governo Renzi ha distrutto quello che era stato conquistato con 50 anni di lotte. Peggioreranno anche le condizioni delle aziende. Ci sarà una perdita dell’esperienza e della competenza dei lavoratori, che sono costretti al turnover. E’ un messaggio terribile alle imprese. I costi vengono prima delle competenze”.
Di fronte alla figura di un leader come Renzi, che può avvalorarsi di un enorme consenso, Braglia inoltre osserva come i mezzi tradizionali messi in campo dai sindacati sembrino aver perso efficacia: “Siamo di fronte ad un uomo che non fa prigionieri, la minoranza del Pd fa molta fatica. La fiducia viene usata come strumento di ricatto per approvare una cosa come il Jobs Act che presenta anche numerosi elementi di incostituzionalità”. E intanto si preannuncia battaglia: “Come sindacato noi faremo leva sulla mancanza di rispetto della carta dei diritti europei e ovviamente per i casi specifici, ci rivolgeremo alla Corte Costituzionale. A livello nazionale con i contratti collettivi si giocherà una partita importante. L’obiettivo è realizzare un contratto collettivo che ripristini le tutele per i lavoratori subordinati e aggiunga le tutele mancanti per i lavoratori para-subordinati e autonomi”.
Ora si attendono altri decreti attuativi per vedere come evolverà la situazione. Una sfida che da una parte vede sindacati, e, forse, la minoranza Pd, dall’altra, l’asse Renzi-imprese. La posta in gioco è alta: qui si decide il futuro di migliaia di lavoratori.

 

di Luca Mautone, Silvia Moranduzzo, Luigi Vitale

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