Anche in Italia crescono i NEET: ma chi sono e perché “non fanno niente”?

I giovani che non studiano o lavorano sono sempre di più arrivando a preoccupare la società. Spesso però si fa confusione con gli Hikikomori o gli "svogliati" e su quali motivazioni li spingono a fare questa scelta

In Italia continua a prendere forma un disagio sociale che colpisce la popolazione più giovane. Gli studi presentati parlano di un’Italia con il maggior numero di giovani NEET, ovvero di giovani non occupati e non inseriti in percorsi di istruzione o formazione.

Chi sono i NEET?

Secondo l’acronimo derivato dall’espressione ‘Not in Employment, Education or Training’, i NEET rappresentano i giovani che non studiano, non lavorano e non fanno formazione; ma non solo. Il termine NEET è stato usato per la prima volta nel 1999 in un report della Social Exclusion Unit del Regno Unito, e si identifica in una fascia particolare di popolazione di età compresa tra i 16 e i 24 anni. In seguito, l’utilizzo del termine si è diffuso in altri contesti nazionali, a volte con lievi modifiche della fascia di riferimento. In Italia, ci si riferisce, in particolare, a una fascia anagrafica più ampia, la cui età è compresa tra i 15 e i 29 anni, anche se in alcuni usi viene ampliato fino a 35 anni, se ancora coabitanti con i genitori. La Comunità Europea ha individuato cinque categorie di persone che rientrano in tale definizione:

  • Semplici disoccupati
  • Individui che, per motivi di salute o per esigenze familiari, sono impossibilitati a svolgere un  lavoro
  • Individui passivi, non interessati alla ricerca di un impiego né a intraprendere un percorso  formativo che li introduca nel mondo del lavoro
  • Giovani alla ricerca dell’opportunità giusta, quella che magari risponde al proprio percorso di studi
  • Coloro che per scelta hanno deciso di prendersi una pausa per intraprendere un viaggio o  fare esperienze in giro per il mondo

Come si può vedere all’interno della definizione rientrano gruppi di persone molto diversi tra loro, da  coloro che hanno smesso di studiare e al tempo stesso non sono attivi nella ricerca di un impiego, al neolaureato che prima di tuffarsi nel mondo del lavoro vuole prima concedersi qualche piacevole avventura.

Giovani laureati ma senza un lavoro o con un lavoro precario; è il destino di una fetta di popolazione che ha investito tempo e risorse nella formazione universitaria senza trovare però uno sbocco lavorativo adeguato. I dati manifestano un numero di Neet di età compresa tra 25 e 29 anni, che sono passati, complice la pandemia, dal 31,7% del 2020 a 34,6% nel 2021.

Secondo l’Istat quasi il 20% di loro ha una laurea e a fare la differenza per un giovane può essere il percorso di studio. I dati del report annuale “Education at a Glance 2022” dell’Ocse inquadra la situazione dei nostri laureati il cui destino -molto spesso- dipende dalla tipologia di titolo conseguito. I NEET in Italia nella fascia d’età 15-34 anni sono complessivamente più di 3 milioni, con una prevalenza femminile pari a 1,7 milioni. Pur essendo molteplici i fattori che possono determinare la permanenza dei giovani nella condizione di NEET, quelli che, generalmente, vengono indicati come i principali fattori di rischio sono molteplici: avere un livello basso di rendimento scolastico, vivere in una famiglia con basso reddito, provenire da una famiglia in cui un genitore ha sperimentato periodi di disoccupazione, crescere con un solo genitore, essere nato in un Paese fuori dell’UE,  vivere in una zona rurale oppure avere una disabilità.

Il comune denominatore può risiedere in un’oppressione sociale e nelle difficoltà occupazionali. Il mondo del lavoro attuale è sempre più competitivo e richiede sempre più certificazioni e competenze. Coloro che non hanno questi attributi di “capitale umano”, ritenuto importante dai datori di lavoro, incontrano difficoltà non solo per trovare lavoro, ma nel sostenere qualsiasi tipo di carriera soddisfacente. Tale polarizzazione tra “chi ha” e “chi non ha” aumenta l’esclusione sociale di una sempre più sostanziale maggioranza di persone. La mancata attivazione di politiche di prevenzione, volte alla gestione del rischio e delle conseguenze sociali ed economiche che ne derivano, conferma il persistere della problematica.

Disagi a confronto

Ad affiancare i NEET, nel quadro generale dei disagi sociali troviamo gli Hikikomori. Letteralmente significa “stare in disparte, isolarsi”. È un termine giapponese usato per riferirsi a coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso arrivando a livelli estremi di isolamento e confinamento. Il particolare contesto familiare giapponese, in cui la figura paterna è spesso assente e quella materna eccessivamente protettiva, la grande pressione della società verso l’autorealizzazione e la competizione, fin dai primi anni di età, sono solo alcuni fattori sociali che hanno incrementato lo sviluppo di tale fenomeno.

Già presente in Giappone dalla seconda metà degli anni Ottanta, poi diffusosi negli anni 2000 anche negli Stati Uniti e in Europa, gli Hikikomori sono gli “inghiottiti dalla rete”, poiché spesso nella loro auto-reclusione l’unico contatto con il mondo rimane quello virtuale, alimentando così la nascita di una seconda esistenza, la ricerca di un’identità compresa tra chat, social network e giochi di ruolo online. La mancanza di contatto sociale e la scelta di una prolungata solitudine determinano una perdita delle competenze sociali e comunicative.

Contemporaneamente gli “auto-reclusi in camera” italiani sono sempre di più. Secondo la Società Italiana di Psichiatria sarebbero 3 milioni gli italiani colpiti da un disturbo psicologico che li costringe a isolarsi dal mondo seguendo lo stile degli Hikikomori giapponesi. L’incidenza del disturbo colpirebbe dal 3 all’11% della popolazione, con una prevalenza maschile dai 15 ai 40 anni, resi dipendenti dalla frequentazione compulsiva dei casinò online e siti pornografici.

E’ importante sottolineare che tutti gli hikikomori sono NEET, ma non tutti i NEET sono hikikomori: i NEET infatti, al contrario degli hikikomori, mantengono una vita relazionale normale e non si isolano dal mondo esterno. Le cause della nascita di questo specifico fenomeno possono essere riscontrate nell’aumento della crisi economica italiana, che da anni ormai colpisce il nostro paese. La fatica nella ricerca lavorativa e il concetto di realizzazione personale possono essere alcune delle motivazioni per fuggire dalla realtà e per abbracciare un contesto di solitudine scelta.  L’inattività degli hikikomori, invece, è più legata a fattori interni. È una scelta di carattere ideologico, connessa a difficoltà relazionali e culturali, che nulla hanno a che fare con il mercato del lavoro attuale.

Gli Hikikomori e i NEET si differenziano da altri fenomeni come quello dei Freeter, ovvero coloro che rifiutano un posto fisso, preferendo lavori part-time o freelance.  Negli Hikikomori il rifiuto diventa totale, come totale è il ritiro che praticano o la forma di disagio e ribellione che volutamente sperimentano. Nonostante NEET e Freeter siano realtà accettate, poiché in un certo qual modo si mantiene una qualche forma di interazione o partecipazione, il fenomeno Hikikomori è visto con una disapprovazione sociale per il suo rifiuto al contesto di raggruppamento sociale.

Il ruolo delle istituzioni

In Italia, l’obiettivo sociale ed istituzionale è quello di individuare, coinvolgere e attivare giovani NEET utilizzando un approccio metodologico definito a livello centrale dal Dipartimento per le politiche giovanili presenti sul territorio. L’eccesso di segmentazione e differenziazione di servizi rivolti ai giovani (sportelli, servizi informativi, percorsi di orientamento, di consulenza, di collocamento etc.) unita alla frammentazione su diversi livelli di governo (comunale, provinciale, regionale, nazionale, europeo), produce un effetto di disorientamento, oltre che una dispersione di energie e risorse pubbliche e finanziarie. Quella di favorire la nascita e l’animazione di spazi per i giovani potrebbe essere un’iniziativa importante, come la nascita di hub di comunità dedicati alla sperimentazione che ruotano attorno al tema della formazione e dell’orientamento sociale, per mettere a disposizione dei giovani il più alto numero di esperienze significative, in chiave formativa e orientativa, con l’aiuto di operatori specializzati nella pratica della motivazione all’ inserimento sociale.

Un esempio è GIOVANI2030 (G2030), piattaforma online nata con l’obiettivo di diventare la casa digitale dei giovani, ovvero il punto unico di accesso per i giovani dai 14 ai 35 anni, a tutte le informazioni utili per orientare le scelte del proprio futuro nell’ambito della formazione, del volontariato, del lavoro, delle iniziative internazionali e culturali, su tutto il territorio nazionale.

Sul nostro territorio (Parma) è attivo, dal 2021, il corso gratuito “Yes, I Start Up” rivolto ai Neet sul tema dell’autoimprenditoria. Il corso, si rivolge a giovani Neet tra i 18 e i 29 anni ed è un progetto promosso da Anpal, cofinanziato dai Fondi Europei (Fondo Sociale Europeo e Iniziativa Occupazione Giovani), coordinato dall’Ente Nazionale Microcredito e realizzato da Soggetti attuatori riconosciuti.

di Pradama Caputo

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*