La rivincita dell’ornitorinco e il futuro della riproduzione umana

Hashem Al-Ghaili ci mostra quello che a suo parere potrebbe essere lo scenario ostetrico fra qualche decennio: una clinica con migliaia di uteri artificiali.

In molti ci hanno spiegato e rispiegato che non facciamo più figli, o almeno non ne facciamo abbastanza; molti di meno si sono avventurati nella spinosa questione del “non abbastanza per che cosa?”. Ciò potrebbe presto non avere più importanza perché c’è chi ha immaginato un’avveniristica soluzione: Hashem Al-Ghaili. Iemenita di origine trapiantato in Germania, Al-Gahili è un biotecnologo prestato alla comunicazione scientifica, dove eccelle soprattutto nel comparto multimediale.

Nel suo ultimo lavoro, una sorta di video promozionale proveniente dal futuro, ci propone una visione di quello che a suo parere potrebbe essere lo scenario ostetrico fra qualche decennio: una clinica con migliaia di uteri artificiali: ovvero incubatrici digievolute, controllate, neanche a dirlo, da opportune intelligenze artificiali. Perché ormai il mondo va così: quando non si sa come fare una cosa, ci pensa l’intelligenza artificiale. Dovremo farcene una ragione.

Non sappiamo quanto la gravità della gravidanza gravi sulla decisione dell’umanità di non fare più figli, o quantomeno non abbastanza per quel qualcosa. Al-Ghaili sembra convinto che intervenire su questo fattore sia sufficiente a spostare l’ago della bilancia quel tanto che basta da convincere l’umanità a fare abbastanza figli, o quantomeno abbastanza per quel qualcosa. Come un secolo fa la lavatrice sollevò mezza umanità dalla tediosa e spesso malsana mansione di lavare vestiti e tessuti d’ogni genere, così Al-Ghaili ha immaginato che sia ora il momento di sgravare la medesima mezza umanità di cui sopra anche dalla gravosa gravità della gravidanza.

Nella visione di Al-Ghaili, la soluzione al problema dei figli numericamente insufficienti per qualcosa, sarebbe spostare altrove la gravidanza. L’idea potrebbe rivelarsi insospettabilmente attraente, soprattutto per la politica europea, per la quale lo spostare altrove (ad esempio al posto della Foresta Amazzonica) sembra in effetti essere il fulcro per affrontare questioni complesse come l’impatto ambientale del settore agro-zootecnico. A proposito di impatto ambientale, le stime fatte nel corso degli ultimi anni sembrano convergere nel suggerire che avere un figlio sia in effetti una delle cose più impattanti sull’ambiente che possiamo fare. Addirittura trenta volte più impattanti del possedere un’automobile, secondo una ricerca pubblicata nel 2017, che conferma ancora una volta come uno dei fattori chiave dell’impronta ecologica dell’essere umano sia il fatto di essere venuti al mondo.

La visione di Al-Ghaili affronta anche questo aspetto: l’intero edificio sarà alimentato da energie rinnovabili, e i bioreattori (altra parola magica per fare cose che non sappiamo fare) si occuperanno di riciclare tutto quanto; coordinati e regolati, neanche a dirlo, dall’intelligenza artificiale. Tutto il sistema sarà a impatto zero.

La gravidanza avverrà dunque lontana nello spazio ma, memore forse del vecchio adagio e dell’importanza del legame affettivo che inizia a formarsi già con le prime divisioni cellulari, Al-Ghaili si è premurato di non farla avvenire anche lontana dagli occhi: sarà possibile seguirne tutte le fasi con un’apposita app. Dalle telecamere all’interno dell’incubatrice, alla diagnostica prenatale, fino agli interventi genetici d’avanguardia, tutto potrà essere ordinato e tracciato comodamente dal nostro scaltrofono, fino alla consegna del neonato. Consegna accompagnata da kit per il test genetico, in modo da essere sicuri della genitorialità biologica. Abbiamo fatto tutti acquisti online e sappiamo bene come vanno certe cose. Le politiche di reso non sono ancora definite, né sappiamo come si chiamerà l’apposita app. Forse JustBreed o forse Covo. Sicuramente non Deliveroo, che è già preso.

Attraverso l’apposita app sarà anche possibile interagire con l’embrione-feto-nascituro, per fargli sentire la nostra voce e magari proporgli le nostre playlist preferite. Facilissima la previsione di un grande ritorno dei Massive Attack.

Chi invece temesse che la lontananza fisica, o uno sciopero dei rider, possa compromettere l’instaurarsi di una sana relazione emotiva con la futura prole, potrà optare per una praticissima incubatrice domestica, rigorosamente con cupolino trasparente. Se poi fosse disponibile una versione integrabile nel divano di casa, l’esperienza di cova diverrebbe pressoché perfetta. Non c’è assolutamente nulla di inquietante nell’incubare il proprio embrione-feto-nascituro nel salotto di casa, e comunque non siamo qui per giudicare. L’importante sarà rispettare scrupolosamente e senza eccezioni la Prima Regola di Ridley Scott: niente abbracci alla francese prima della schiusa.

Il cardine di questo futuribile propostoci da Al-Ghaili rimane l’avveniristica Super-incubatrice Ultraistinto (pardon, ultra-IA) in grado di gestire per intero il lungo e complesso procedimento che porta l’ovulo fecondato a diventare un individuo autosufficiente. Periodo che nei mammiferi può estendersi per svariati mesi, a cominciare dalle prime divisioni cellulari fino al termine dell’ultimo periodo di tirocinio non pagato. Creare qualcosa che si occupi della gravidanza interamente al di fuori del genitore: un progetto ambiziosissimo, per ora appannaggio della fantascienza; se utopica o distopica ognuno lo può decidere da sé.

Sviluppare la propria prole fuori da sé: idea antica e rivoluzionaria allo stesso tempo. Dal giurassico ad oggi quasi nessun mammifero aveva mai osato spingersi a tanto. Quasi. Eppure la scienza a volte fa balzi inattesi in direzioni insospettabili, e chissà che in un futuro non troppo remoto non scopriremo che, alla fine dei conti, sarà stato proprio l’insospettabile ornitorinco ad everci visto più lontano degli altri.

di Giovanni Perini

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