Ragazzo mio: una nuova narrazione della consapevolezza emotiva al maschile

Alberto Pellai presenta in anteprima nazionale il suo ultimo libro all’Università di Parma, una ‘lettera agli uomini veri di domani’, discutendo dell’importanza delle parole e delle emozioni nella prevenzione della violenza di genere e nello sviluppo di un uomo

Il 7 febbraio 2023, nell’Aula Magna della Sede centrale dell’Università di Parma, si è tenuta in anteprima nazionale la presentazione del nuovo libro Ragazzo mio. Lettera agli uomini veri di domani, di Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, autore di molti saggi sulla famiglia e il rapporto dei genitori con i propri figli,.

Evento organizzato e moderato da Fausto Pagnotta, professore dell’Università di Parma. Per questa occasione, il dottor Pellai offre diversi spunti di riflessione, ampliando gli argomenti trattati nel suo libro in una relazione dal titolo “La consapevolezza emotiva al maschile nelle relazioni di genere“.

I saluti istituzionali sono stati tenuti dal prorettore vicario Paolo Martelli e da Paola Corsaro, docente di Psicologia dello sviluppo, con un breve intervento da parte di Beatrice Aimi, assessora alla Comunità Giovanile del Comune di Parma e la presidente del Centro Antiviolenza di Parma, Samuela Frigeri. L’evento, patrocinato dal Comitato Unico di Garanzia (CUG) dell’Università di Parma e dall’Associazione Culturale Il Borgo di Parma, con il sostegno della Pastorale Universitaria e dell’Associazione Famiglia Più di Parma, porta interventi di alcune figure di spicco provenienti da questi mondi, come la dottoressa Francesca Nori, co-organizzatrice dell’evento e presidente del Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità, la quale ci tiene a precisare che “la violenza contro le donne è un fenomeno complesso che deve essere contrastato attraverso un potente cambiamento culturale, a cui un luogo di cultura come le università sono chiamate a rispondere, impegnandosi in prima linea. L’Università di Parma sente e accoglie questa responsabilità, impegnandosi con quotidiane azioni, finalizzate a diffondere il principio di non discriminazione, le pari opportunità e a contrastare la violenza di genere”.

Alberto Pellai

Le parole come ponte

Impara le parole. Tutte le parole. E poi fanne l’uso migliore. Soprattutto, usale sapendo che le parole che pronuncerai aiuteranno gli altri a capire che uomo sei”: Pellai inizia così l’intervento, citando il suo libro, per portare all’attenzione il lavoro importantissimo che un terapeuta e il suo paziente svolgono con le parole, le quali aiutano a costruire il significato di un dolore, di una fatica e di un disagio che era rimasto senza parole, appunto, venendo così trasformato in azione. “La rabbia, nel mondo maschile, entra nella stanza delle parole quando ha generato dei danni oggettivi, cioè ha fatto male a qualcuno, ha prodotto cicatrici profonde”.

Da un ‘grande dolore’ nasce l’idea del libro, il quale “non era assolutamente programmato” racconta l’autore, perché scaturito da un fatto tragico (quanto inaspettato) accaduto alla classe di suo figlio: una loro compagna, che era stata segnata assente sul registro, a metà mattina si scopre che, in realtà, era stata uccisa dal padre in una strage famigliare, insieme alla mamma e al fratello, che poi è riuscito a sopravvivere. Pellai inizia ad interrogarsi sul ruolo del padre in una famiglia, in termini di rappresentazione di approccio alle emozioni e alla vita, all’idea di competenza, e non potenza, con cui aiutare i propri figli a diventare grandi. “Mi sono chiesto quali fossero le parole che potessero essere utili ai nostri figli, e di cui noi padri dobbiamo sentire potente e intensa la responsabilità educativa; quali sono quei dialoghi e quegli esempi che derivano non da quel che dici, ma da ciò che sei? Nel lavorare sul tema del maschile, io sono rimasto davvero molto colpito dalla difficoltà che noi uomini abbiamo nel trasformare in parole tutto quello che si muove all’interno del territorio delle emozioni”.

Pellai accompagna il lettore dentro ad un percorso di rielaborazione della storia di vita, nella quale si impara – attraverso gli incontri che facciamo – a dare significato a quello che ci accade nella vita; ci sono molte cose che nella nostra vita non possiamo scegliere, soprattutto quando siamo bambini, mentre il tempo dell’adultità è un tempo di responsabilità e di elaborazione. La sua intenzione è quella di mettere a disposizione un libro che toccasse profondamente il tema dell’analfabetismo emotivo nel mondo degli uomini, di importanza cruciale anche dentro a tutto il lavoro che si sta facendo per la prevenzione della violenza di genere.

L’uomo come padre, non come ‘mammo’

Fonte: DeAgostini

Pellai prosegue raccontando della sua attività come psicoterapeuta di gruppo in un consultorio famigliare, intitolato ‘Il cerchio dei papà’, il quale gli ha permesso di organizzare un percorso con un numero variabile di uomini che stavano per diventare padri o lo erano appena diventati: “Il Cerchio dei papà mi ha insegnato che non ci sono le parole per dirlo, ma è come se le parole per dirlo non fossero nemmeno pensate, non fossero ammesse dentro al territorio maschile”. Le considerazioni scaturite da questa esperienza sono state soprattutto su che generi di messaggi riceve un uomo che annuncia la sua paternità, dentro al mondo dei maschi, i quali spesso sono messaggi profondamente invalidanti come “Vivi adesso perché poi smetterai di vivere”, “Mangia, viaggia, fai l’amore e dormi, che poi arriva la catastrofe”, fino ad arrivare ad essere chiamato ‘mammo’, stando ad indicare una mancanza di un ruolo proprio, ma una mera imitazione di quello che farebbe una madre, ovvero prendersi cura del figlio, femminilizzando la loro figura.

Questo porta, all’interno di passaggi di vita importanti e molto complessi come può essere la nascita di un figlio, al fermare la possibilità di dialogo emotivo, “perché arriva la paura, e se sei spaventato ti blocchi, soprattutto se temi che l’altro non sappia entrare in relazione con il tuo spavento” spiega l’autore. Tutto ciò accade perché già molto prima questo ‘modo di sentire’ è diventato un aspetto strutturale nell’emotività maschile. 

Un ‘vero uomo’ nasconde sempre un ‘uomo vero’

Il sottotitolo che l’autore sceglie per il libro Ragazzo Mio (Lettera agli uomini veri di domani), vuole sottolineare la differenza tra il vero uomo e l’uomo vero: “Il vero uomo si rispecchia in quell’immagine alla quale è bene ispirarsi se si vuole stare dentro ad un modello di mascolinità che ti lascia tranquillo, poiché il più condiviso e sostenuto, nascondendo così l’uomo vero, e non avendo la possibilità di avere accesso a quella verità profonda che rimane latente, ma sempre presente, poiché è il vero essere dell’uomo stesso”. Pellai, inoltre, precisa il fatto che in realtà tutti camminiamo su un filo e a fatica troviamo la nostra zona di equilibrio dentro questo dialogo.

Portando questo discorso agli adolescenti maschi, nella loro educazione sentimentale o alla vita non hanno narrazioni nelle quali l’uomo vero emerge, piene invece di azione, nel quale tutto viene agito e niente viene pensato. Basti guardare alle soluzioni dei conflitti nei film: spesso i buoni e i cattivi compiono le stesse azioni, vedendo vincere i primi in quanto buoni, ma usando gli stessi identici strumenti dei cattivi. L’autore cita un testo dello psicologo statunitense Philip Zimbardo, il quale mette in luce un’emergenza educativa contemporanea ancora più intensa per i maschi, perché passano un tempo smisurato della loro fase di ‘allenamento alla vita’ “coinvolti in due esperienze, i videogiochi e la pornografia, le quali sono tra le esperienze di maggiore disconnessione possibile dal loro sentire emotivo” spiega Pellai.

“Gli psicoterapeuti hanno visto per la prima volta richieste di aiuto di mamme picchiate dai loro figli perché venivano interrotti dopo un’ora o due ore da un videogioco, perché l’atto di staccare la presa della corrente da parte della madre viene considerato come un’uccisione da parte del figlio, un attentato alla propria sopravvivenza, proprio come nel videogioco, che reagisce con una modalità impulsiva” continua l’autore. Una seconda emergenza è associata alla pornografia, la quale ha una narrazione intorno alla sessualità “completamente basata sull’agire, essendo tutti atti sessuali molto violenti ed estremi, dove l’altro è un corpo che si prende e ti dà piacere, mostrando una narrazione molto vicina a stupri e abusi”.

Il ruolo della donna e la figura dell’uomo non violento

Per questo motivo, la cosa migliore da fare è ridare valore alla parola e riorientare, responsabilità educativa che chiama in prima linea i padri che non possono rimanere in silenzio, rappresentando un modello identitario e di ruolo fondamentale per quanto riguarda il genere, sia per il figlio che per la figlia. Difatti, anche le ragazze (e future donne), nell’incontro con gli uomini devono prendere consapevolezza di quanta fatica ci sia nel percorso di cresciuta di un uomo, il quale, quando attraversa l’età evolutiva, continua a ricevere messaggi che invalidano il suo sentire emotivo, che “portano l’entrata nell’adultità ad una situazione di profondo confondimento su di sé e sul proprio modo di essere e di agire”.

Il libro nasce anche dal fatto che il lavoro sulla prevenzione di genere sia un lavoro che arriva profondamente alla comprensione dei bisogni delle figlie, lasciando però i ragazzi e i maschi disorientati, perché vi è una cristallizzazione forte nella descrizione della relazione tossica, lasciando intendere al maschio che deve essere un uomo non violento. In realtà, c’è una narrazione molto più importante che serve ai maschi, ovvero quella di essere aiutati nel vedere la bellezza di essere uomini veri: un messaggio dedicato al maschile, che modella anche l’idea di come entrare in una relazione intima, amorosa e completa metta un sacco di bellezza all’interno della nostra vita; cercare di essere profondamente veri, discorso molto diverso dal cercare di essere non violento.

Pellai conclude l’intervento con un augurio personale: “Spero davvero tanto che questo libro lo leggano i papà, poiché abbiamo bisogno di riguardare il figlio che siamo stati, le parole che ci avrebbero fatto molto bene, e sentire che quelle sono parole che dobbiamo imparare a dire, anche ai nostri figli”.

di Beatrice Guaita

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