Il coming out di Jakub Jankto ha creato – ancora – troppe polemiche

Il profilo del calciatore è stato invaso da commenti: in mezzo alle migliaia di manifestazioni solidali, ancora troppi i messaggi omofobi

Si dice che Chi lascia la via vecchia per quella nuova, sa quel che lascia, e non sa quel che trova. Jakub Jankto – calciatore professionista di 27 anni, attualmente allo Sparta Praga; in Italia ha vestito le maglie di Ascoli, Udinese e Sampdoria – si è affidato ai social network e ha deciso di liberarsi dalle ‘catene’ che lo imprigionavano – quelle del pregiudizio. In un video sul suo profilo Instagram, il 13 febbraio, ha dichiarato: “Sono omosessuale, e non voglio più nascondermi […]”.  

Ancora troppo stupore (e odio) per i coming out sportivi…

L’eterosessualità mette tutti d’accordo all’interno dello spogliatoio. Per questo allenatori e giocatori professionisti spesso scadono nell’omofobia sovrana e non sono gli unici ostentatori di stereotipi. Chi è dentro il sistema calcistico non può pensarla diversamente: il calcio è ‘uno sport per veri uomini, non per femminucce’. Così tifoserie e istituzioni calcistiche si omologano allo stesso pensiero, alimentando quel senso di disagio e timore che qualunque giocatore omosessuale si è trovato a subire – spesso in silenzio. 

Circa 85mila i commenti al post di Jankto, sotto il quale si riuniscono società, sponsor, compagni e personaggi dello sport in generale, per sostenere il centrocampista ceco. Le parole più gettonate sono “Respect” e “Proud”, rispetto e orgoglio. Certamente due parole bellissime, ma che evidenziano come il gesto di Jakub non sia ancora percepito come una cosa ‘normale’, bensì un atto di coraggio.

Il discorso commovente del giocatore è stato preso di mira da tutti quelli che non la pensano come lui. Sì, perché c’è sempre una controparte, che scade in messaggi d’odio e discriminazione, come “Solo un porco sporco”, “Mi fai schifo” e molte emoticon del vomito. Alcuni hanno addirittura scelto di nascondere l’omofobia anche dietro a un apparente credo religioso: “Domani, se muori, vorresti tornare al mondo e convertirti all’Islam, ma sei uno dei campioni sporchi”; “L’inferno ti sta aspettando”.

Il mondiale in Qatar 2022 ci aveva già messo in guarda

Quello che si può vedere da questi attacchi social è come i leoni da tastiera scelgano di mascherare il loro odio dietro a una non specificata indignazione. E non è certo la prima volta che problematiche omofoniche entrano nel dibattito calcistico: qualche mese fa abbiamo assistito allo spettacolo del Mondiale di calcio Qatar 2022; ci siamo già dimenticati cosa è successo e quali regole venivano imposte alla comunità LGBT+?

Prima dell’inizio della competizione si era venuta a creare una bufera intorno alle dichiarazioni dell’ambasciatore qatariano Khalid Salman, ma il capo dei media della Fifa Bryan Swanson aveva rassicurato tutti con un comunicato in cui difendeva anche il presidente Gianni Infantino. Le parole: “Sono qui, in Qatar, in una posizione privilegiata e su un palcoscenico globale, come uomo gay. Ci hanno rassicurato: tutti sono i benvenuti. E credo che tutti lo saranno, in questa coppa del mondo. Gianni Infantino non è gay, ma questo non significa che non gli importi. Alla Fifa teniamo a tutti. Siamo un’organizzazione inclusiva, dove ho un certo numero di colleghi gay. Quando Infantino dice che siamo inclusivi, ci crede davvero”. 

Tifosi, calciatori e Federazioni intere in occasione dei mondiali (e non solo) decidono di non stare a guardare davanti alle evidenti (o meno) discriminazioni vissute dalla comunità LGBTQI+ in occasione della manifestazione internazionale. Crescono, infatti, le adesioni e le firme nei confronti delle campagne di sensibilizzazione contro ogni discriminazione. Tra le quali ricordiamo One Love, nata in Olanda nel 2020 per l’inclusione delle persone LGBTQI+ nello sport, alla quale aderiscono 10 Nazionali europee. Si pensano, inoltre, dei veri e propri escamotage per ribadire sul campo l’inclusività e il sostegno per la comunità gay: la più importante era la fascia arcobaleno. Ma anche qui l’ipocrisia della Fifa si è imposta, sottoscrivendo punizioni tramite sanzioni sportive a tutti i capitani che indossavano la fascia arcobaleno.

Una ricerca condotta da Outsport (2019) evidenzia che, in Italia, il 41% delle persone appartenenti alla comunità LGBTQI+ rimane completamente non dichiarato nel proprio ambiente sportivo; la media europea è del 32%. Le percentuali, sebbene ancora alte, sono incoraggianti.

Non ci si aspetta certo che dal gesto di Jankto si crei una reazione a catena di coming out. Cambiare le cose non è mai facile e gli stessi calciatori non si fidano della Fifa e dell’ambiente che dovrebbe tutelarli. Questa ribadisce che “siamo tutti inclusivi”, ma come ha dimostrato il Mondiale in Qatar, più che concentrarsi sugli slogan, dovrebbe passare ai fatti. Chinare il capo davanti a ideali restii all’inclusione, ha messo in luce l’atteggiamento scorretto dei Capi della Fifa, facendo trapelare il messaggio che il calcio non è uno sport per tutti.

Attraverso un’istituzionalizzazione delle identità e dei diritti della comunità LGBTQI+, qualcosa potrebbe e dovrebbe sbloccarsi. È ora che tutti possano esprimere liberamente la loro sessualità, che sia su un social o in uno spogliatoio senza sentirsi discriminati o giudicati: lo sport è anche questo, libertà.

di Pier Giorgio Tumminia

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