Passaporco: lasciate ogni speranza o voi che viaggiate

Si scrive passaporto, si legge incubo: semi testimonianza dell'assurdo viaggio nella burocrazia italiana

È l’oggetto del desiderio del XXI secolo, più ricercato di Matteo Messina Denaro, ogni volta che appare in pubblico si generano file chilometriche per averne una copia autografata…Come? Se sto parlando di Timothée Chalamet? Certo che no, parlo del passaporto!

Partiamo da una considerazione assiomatica. Il mondo si divide in due categorie: chi ha provato a ottenerlo e chi non l’ha avuto. C’è chi dice non esista nemmeno e che sia un’invenzione della lobby delle fototessere, o almeno così mi racconta un mio vecchio amico, che chiameremo “Agente Zeta” per tutelare la sua incolumità (la lobby delle fototessere sa essere spietata), mentre trangugia il suo terzo Bourbon. Lo guardo negli occhi e penso di non averlo mai visto così sciupato…Inizia a raccontarmi.

“Vedi Urba, tutto ha inizio con le donne”
“Con le donne?” gli chiedo

“Sì…un bel giorno la tipa ti dice: ‘Dovremmo fare un viaggio esotico, anche la mia amica lo ha fatto col suo ragazzo’ a quel punto già sai che quel condizionale non è un condizionale e che non ti rimane altro che incominciare l’iter del passaporto”.

Il suo sguardo si incupisce.

“Partiamo con ordine (e disciplina): la piattaforma web della polizia di stato.
Per prima cosa appare una schermata con un calendario delle disponibilità distribuite in un trimestre. Tutte non disponibili. Prevedibile. Già preparato psicologicamente avanzo nella scelta del trimestre successivo. Non va.
Scopro che non è colpa del mio PC datato, non è neanche un bug, è proprio fatta così la piattaforma.
La CPU si scalda, e non solo quella…

Incomincio a dubitare della tecnologia, rivaluto il buon vecchio contatto umano.
Mi reco direttamente all’ufficio passaporti della questura.
Con gli occhi luccicanti di speranza mi rivolgo ad una giovane funzionaria: ‘Potrebbe aiutarmi con la prenotazione del passaporto?’ Lei mi risponde solare: ‘Certo! Vada sulla piattaforma web della polizia di stato
In preda un irrefrenabile tic all’occhio, esco dall’ufficio.

Passano i giorni e – quotidianamente – consumo la retina sulla piattaforma web. Mia madre pensa sia uno stalker. Le do ragione.

Una speranza improvvisamente mi accende: di fronte alle polemiche apparse sul giornale locale, la questura crea i ‘passaporto day‘: intere giornate dedicate senza l’obbligo di prenotazione. Spoiler: sono stato in coda per l’intera giornata e non sono riuscito nemmeno ad arrivare in fondo alla fila.

259.200 secondi. È il tempo necessario per disputare 25.920 finali olimpioniche dei 100 metri ed è anche il tempo che mi ci è voluto per trovare una finestra libera nel calendario. Prenoto con la stessa brama di Sauron nei confronti dell’anello del potere al collo di Frodo”

A quel punto Agente Zeta stacca gli occhi dal suo Bourbon e mi guarda.

“C’è altro. Tra i documenti da portare per ottenere il passaporto c’è una marca da bollo di circa 70€. Si può pagare solo in tabaccheria. Solo in contanti.

Ci guardiamo muti per un attimo, mi scappa una smorfia.

40€” dice, quasi ignorando la mia smorfia, “altri 40€ da pagare in posta esclusivamente col bollettino postale… è l’ultimo versamento. Con la poca forza che mi rimane consegno il bollettino all’impiegato della posta.
Mi chiede: “Tutto bene signore?”
Gli rispondo come John Coffey: ‘Sono stanco capo’
e me ne vado.

Nel brusio del pub osservo il mio amico muto con lo sguardo perso. Guardo la bottiglia di Bourbon e penso: è prosciugata, come la sua anima.

di Lorenzo Urbanetto

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