Cosa sono le Mutilazioni Genitali Femminili?

Dove e quando vengono praticate? E soprattutto, perché? Analisi generale e ravvicinata dell'usanza rituale

Il 6 febbraio è stata la giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili (MGF): una pratica a noi culturalmente molto distante che mina la salute sia mentale che fisica della donna che ne è sottoposta. L’usanza, generalmente conosciuta in maniera semplicistica come infibulazione, è così spiegata dall’OMS: “Atti o interventi che prevedono l’asportazione parziale o totale degli organi genitali esterni femminili e lesioni arrecate ai genitali per motivi culturali o comunque non terapeutici”.

(fonte:www.salute.gov.it)

La modalità utilizzata durante la procedura varia da cultura a cultura, di luogo in luogo. Quattro sono le tipologie di ‘circoncisione’ indicate dall’OMS, UNICEF e UNFPA nel 1997, ognuna di queste, poi, ulteriormente classificate in un secondo momento dal dossier del 2008 “Eliminating Female genital mutilation – An interagency statement” (OHCHR, UNAIDS, UNDP, UNECA, UNESCO, UNFPA, UNHCR, UNICEF, UNIFEM, WHO) a seconda del grado di rimozione e della modalità utilizzata. L’infibulazione, ovvero l’operazione a cui noi ci riferiamo per intendere genericamente le mutilazioni genitali femminili, è la forma più estensiva e pericolosa della pratica.

Se nelle altre tipologie si tratta di una rimozione parziale o completa del clitoride e/o le piccole/grandi labbra e/o un restringimento dell’orifizio vaginale, nell’infibulazione vi è, in primo luogo, l’asportazione del clitoride, delle piccole e grandi labbra per poi passare alla cucitura della vulva quasi totale (viene lasciato solo un piccolo foro per l’urina ed il ciclo mestruale). La sua origine, a causa della vasta diffusione differenziata sia da un punto di vista areale e culturale che diacronico, è ancora incerta. Ad oggi il numero di donne che sono state sottoposte a MGF si ritiene siano 125 milioni e che 30 milioni siano a rischio nel prossimo decennio. La concentrazione di questi numeri si trova per la maggior parte in paesi africani, 29 per la precisione: Benin, Burkina Faso, Cameroon, Chad, Costa d’Avorio, Gibuti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, Iraq, Kenya, Liberia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Repubblica centrale Africana, Repubblica Unita della Tanzania, Senegal, Sierra Leone, Somalia, Sudan, Togo, Uganda, e Yemen. Altri stati in cui riscontriamo tale pratica sono anche in Asia e infine, a causa dell’immigrazione, nei Paesi europei (tra cui l’Italia), in Nord America, in Australia e in Nuova Zelanda.

Diffusione geografica (con relativa percentuale di pratica) di MGF (fonte: UNICEF global databases, 2022, based on DHS, MICS and other national surveys, 2004-2021)

Cosa spinge all’MGF?

Data la grande diffusione della pratica in luoghi e in culture totalmente distanti e diverse, è impossibile risalire a delle motivazioni che siano unicamente e comunemente valide. Le cause variano da un contesto culturale all’altro e in relazione alla tipologia di mutilazione che viene praticata. In maniera approssimativa, però, là dove viene effettuata la pratica sono riscontrabili delle affinità per quanto riguarda canoni estetici, concetto di purezza, ruolo della donna all’interno della società. A garantire la natura continuativa dell’usanza, sia all’interno di culture in cui è svolta sia in contesti di immigrazione, è la radice culturale forte e salda che vede nella circoncisione femminile la piena realizzazione della donna stessa (sia in sé che in relazione a chi la circonda).

Le motivazioni sono diverse e non esaustive, in quanto da analizzare in relazione ai singoli gruppi praticanti: l’ideale di purezza, che vede il clitoride come un qualcosa di ‘estraneo’ perché simile al pene e quindi da eliminare; il canone estetico che trova nelle MGF la pulizia e la bellezza; il controllo della sessualità della donna, sia in vista del matrimonio che durante lo stesso; la credenza che la circoncisione porti ad essere maggiormente feconde; il brideprice, il compenso in cambio di una donna illibata; la credenza della pericolosità sia per donne che per uomini dello stesso clitoride; l’aumento del piacere maschile durante il sesso; la MGF vista come una prescrizione religiosa.

Statistiche circa l’età in cui le donne sono soggette a MGF in relazione ai vari paesi in cui vi è concentrazione della pratica (fonte: UNICEF-Female Genital Mutilation/Cutting: A statistical overview and exploration of the dynamics of change)

Quali sono le conseguenze dell’MGF?

Le ripercussioni psicologiche e fisiche per una donna sottoposta a MGF sono molteplici e di diversa natura. Innanzi tutto, il contesto entro cui si svolge tale pratica, molto spesso, a meno che non si tratti di famiglie agiate e residenti in aree urbane, è domestico. L’operazione è solitamente affidata ad una donna ‘esperta’ che non ha delle vere e proprie conoscenze chirurgiche ma la cui esperienza è dovuta ad un’eredità tralasciatale da generazioni precedenti. Gli strumenti utilizzati sono solitamente coltelli e forbici rudimentali, il luogo in cui si svolge il tutto non è asettico e non è prevista anestesia. L’infezione, dunque, è il primo rischio a cui possiamo pensare.  A cui seguono probabili conseguenze e danneggiamenti fisici come emorragie, traumi agli organi circostanti, ritenzione urinaria e sterilità. Inoltre, da non sottovalutare, sono anche le complicanze psicologiche e sessuali: prima tra tutte la perdita di desiderio sessuale. Queste ultime, però, meno visibili agli occhi della donna soggetta alla pratica in quanto situata all’interno di un contesto in cui il confronto con gli altri su tematiche intime è molto spesso considerato un tabù.

MGF in contesti migratori: focus sull’Italia

Diffusione delle mutilazioni genitali femminili in contesti migratori: percentuale della pratica per ogni paese (fonte: EIGE.europa.eu)

Nonostante si veda l’usanza come un problema lontano, si stima che in Italia dal 15 al 24% delle ragazze (di età compresa da 0-18 anni) provenienti da paesi in cui si pratica MGF ne sia a rischio. Come prima anticipato, la forte radicalità culturale di tale pratica e il ruolo sociale che ha all’interno di determinati contesti ne garantisce una continuazione anche fuori dai luoghi di origine. Nel 2003, al fine di prevenire il perpetuarsi di MGF non medicalizzata sul territorio, è stata fatta la proposta di un rito sostitutivo. Il ginecologo Abdulcadir Omar Hussen, attivo al Careggi di Firenze, in prima linea per il contrasto alla circoncisione femminile e per il sostegno alle persone che l’hanno subita, aveva avanzato l’ipotesi di una pratica meno invasiva ma che comunque potesse potenzialmente assumerne lo stesso valore sociale. Si trattava, infatti, non di una mutilazione ma di una puntura al prepuzio in modo da far sgorgare poche gocce di sangue: la proposta era indirizzata al mantenimento del ruolo rituale senza però essere dannoso per chi ne fosse soggetto. La premessa a tale alternativa è, come scrive il dott. Panti in un articolo su “Toscana Medica”, che “va assolutamente evitato che ci siano equivoci: la mutilazione dei genitali deve sparire e questa proposta è il compromesso più accettabile da entrambe le parti.” Numerose ed immediate furono le critiche mosse a questa iniziativa: la condanna era soprattutto quella di giustificare un rituale che va a danneggiare la donna e che ne dimostra la subalternità in relazione all’uomo.

Anche per quanto riguarda la giurisprudenza vi sono stati degli sviluppi in materia. Nel 2011 la Convenzione del consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta delle donne e la violenza domestica ha definito le MGF come grave violazione dei diritti umani e il più grande ostacolo per la parità dei sessi. Alla medesima conclusione è arrivata la Risoluzione del Parlamento Europeo nel 2012, ovvero la necessaria immissione della lotta alle mutilazioni genitali all’interno di quella più ampia contro le violenze di genere. Il rischio di assoggettamento a tali pratiche può essere motivo del riconoscimento di tutela umanitaria, e, in alcuni casi, condizione sufficiente (dopo un’attenta analisi al contesto e alle modalità di coercizione, non tutti i tipi di mutilazione qua hanno il medesimo peso) per il ricevimento di status di rifugiato.

Di Claudia Orlandi

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