Come funziona un acceleratore di particelle?

Nei campi della ricerca scientifica sono strumenti essenziali per ottenere risultati di valore. Nella fisica, nella medicina e in altri ambiti, gli acceleratori hanno portato a scoperte sensazionali e cure che fino a pochi decenni fa erano impensabili. Analizziamo il più grande degli acceleratori presenti al mondo (LHC) ed il Sincrotrone di Pavia

LHC ©CERN

“Studiare l’infinitamente piccolo attraverso macchine infinitamente gradi”: si potrebbe semplificare così il lavoro degli acceleratori di particelle.

Al giorno d’oggi, gli acceleratori presenti sul pianeta sono circa 30.000, di essi, solo alcuni studiano i segreti dell’universo. La loro origine si deve al fisico austriaco Bruno Touschek che negli anni 60 fece costruire i primi due acceleratori di particelle: Anello di accumulazione (Ada) e Adone presso i Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN. Questi due acceleratori ormai non sono più operanti.

Nel giro di poche decine di anni, la scienza ha fatto passi da gigante. Letteralmente. Il più grande tra tutti gli acceleratori al mondo, attivi oggi, è infatti il Large Hadron Collider (LHC) del CERN che misura ben 27 km di circonferenza e si trova in un tunnel sotterraneo a circa 100 metri di profondità nella zona al confine tra Francia e Svizzera.

Fu proprio all’interno di LHC che nel 2012 avvenne una delle più grandi scoperte del XXI secolo: il bosone di Higgs. Questa particella prende il nome dal suo scopritore: il fisico Peter Higgs che, sempre negli anni 60, ipotizzò la presenza di una particella mancante e che, una volta scoperta ben 50 anni più tardi, gli è valsa il premio Nobel per la fisica (2013). Questo bosone è prezioso in quanto va a completare il tassello mancante del famoso Standard Model (teoria fisica che descrive tre delle quattro interazioni fondamentali). La sua caratteristica è quella di conferire massa a tutte le altre particelle. La sua peculiarità è quella di essere una particella che decade molto velocemente e quindi risulta difficile da vedere anche attraverso i rilevatori più sofisticati. Ecco perché, fuori da ogni contesto scientifico e contro la volontà dello stesso Higgs, molti la definiscono la particella di Dio.

Come funziona l’acceleratore più grande del mondo? Di cosa si compone?

Si prendono come esempio due acceleratori: LHC del del CERN e sincrotrone presso il CNAO di Pavia.

Partendo da LHC, i suoi componenti di rilievo sono gli oltre 1000 magneti superconduttori a bassa temperatura (-271,3°C, quasi come la temperatura dello spazio interstellare), che che producono un campo magnetico di intensità pari a 8 tesla (200 mila volte più intenso del campo magnetico terrestre).

È intuibile che un acceleratore di questa portata ha bisogno di un enorme supporto fisico per funzionare, ecco perché fu scelta una vasta zona pressoché vuota nella campagna ai confini Svizzeri.

Dettaglio del quadrupolo all’interno del magnete LHC © CERN

Per far si che l’acceleratore funzioni ci sono una serie di processi che devono avere luogo prima ancora che i rilevatori (che tra poco analizzeremo meglio nel dettaglio) possano iniziare a raccogliere i dati.

Tutto ha inizio da una bombola di idrogeno nella quale, tolti gli elettroni, non restano che protoni (nucliei di idrogeno) da iniettare all’interno dell’acceleratore lineare (LINAC) che li porta ad un’ energia di 50 MeV. Questi protoni vengono poi mandati in un piccolo protosincrotrone, il PS Booster (PSB), che li accumula su quattro anelli sovrapposti e li accelera fino a 2.0 GeV. Il fascio viene quindi trasferito nel ProtoSincrotrone (PS) che lo porta a 26 GeV di energia per poi indirizzarlo a sua volta nel Super ProtoSincrotrone (SPS), dove sarà accelerato fino a raggiungere i 450 GeV. Solo a questo punto il fascio viene iniettato nel Large Hadron Collider.

La figura qui sotto mostra la mappatura del percorso appena menzionato.

© CERN

Questo tipo di procedura viene ripetuta più volte per accumulare più protoni possibile nei due anelli di partenza ed una volta riempiti, si deve portare l’energia dei fasci al valore massimo che nel luglio del 2022 ha raggiunto il record di 13.6 trilioni di electronvolts (TeV).

L’accelerazione dei due fasci lanciati in senso opposto avviene simultaneamente, ma per la collisione vera e propria bisogna aspettare. Al termine della fase analizzata finora, i fasci vengono fatti intersecare, con l’ausilio di appositi magneti, in corrispondenza delle quattro zone in cui si trovano gli esperimenti principali di LHC (ATLAS, CMS, ALICE e LHCb) che fungono da “occhi” dell’acceleratore.

In condizioni normali i protoni possono circolare nei tubi di LHC per svariate ore, consentendo quindi agli esperimenti di raccogliere dati per lunghi periodi di tempo attraverso sofisticati rilevatori presenti nei quattro esperimenti sopracitati. Il compito degli esperimenti è quello di raccogliere le immagini delle particelle infinitamente piccole prodotte dalle collisioni dei fasci di protone e poi riportarle in grafici che, attraverso un complesso sistema di computer, saranno analizzati dai ricercatori. La quantità dei dati prodotti a seguito di ogni singola collisione è innumerevole, per questa ragione i computer sono capaci di filtrare i dati lasciando passare solo quelli che sembrano di maggior interesse. I fasci di protoni viaggiano ad una velocità pari al 99,999999% di quella della della luce, per dare un’idea, i fasci percorrono 11.245 giri al secondo.

Lo scopo è quello di cercare nuove particelle e scoprire sempre di più sull’origine dell’universo. Il lavoro di un acceleratore di tale portata si basa su precisioni millesimali che il CERN stesso descrive come segue: “le particelle sono così minuscole che il compito di farle collidere è come sparare due aghi a 10 chilometri di distanza con una tale precisione che si incontrano a metà strada” (traduzione dall’articolo originale su www.cern.ch).

Immagine © D. Alesini 2004

Ma il fascino degli acceleratori non si limita al mondo della fisica nucleare. All’interno di un acceleratore si possono far correre varie tipologie particelle cariche, es: elettroni, protoni e ioni. Grazie a ciò, la gamma di settori in cui gli acceleratori risultano essere strumenti indispensabili varia partendo dalla già nominata fisica all’industria elettronica e quella della medicina.

Nell’ambito medico infatti gli acceleratori sono uno strumento indispensabile per la ricerca oncologica. Si prenda come esempio il trattamento dei tumori attraverso la adroterapia. Esso necessita dell’utilizzo di un acceleratore non meno complesso di quello usato al CERN, chiamato sincrotrone.

Sincrotrone presso il CNAO di Pavia

La funzione principale del sincrotrone consiste nello scomporre gli atomi e nel creare a sua volta fasci di particelle subatomiche quali protoni e ioni carbonio che vengono orientate sulle cellule del tumore al fine di annientarle. In Italia è presente un sincrotrone presso il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO) di Pavia. Esso è l’unico in Italia capace di estrarre dall’atomo anche gli ioni carbonio, le particelle più potenti per il trattamento dei tumori resistenti alla radioterapia o non operabili. Questo sincrotrone è collocato in un bunker di 1600 metri quadrati ed ha la forma di un anello di 25 metri di diametro e 80 metri di circonferenza (come si può notare, le dimensioni sono molto ridotte rispetto a quelle di LHC). Il sincrotrone di Pavia è isolato dal resto della struttura circostante con schermature per le radiazioni in cemento armato spesse fino ai 6 metri. Queste schermature sono necessarie a proteggere i frequentatori del centro dal pericolo delle radiazioni. Ecco perché si sceglie di costruire queste apparecchiature a basse profondità impedendo alla radiazione prodotta durante il funzionamento dell’acceleratore ed alla radioattività residua di raggiungere la superficie.

Sulla circonferenza del sincrotrone i trovano due dispositivi chiamati “sorgenti”, da cui nascono i fasci di particelle necessari ad effettuare le sedute di adroterapia. Dentro queste sorgenti si trova il plasma formato dagli atomi dei gas da cui vengono selezionati i protoni e gli ioni di carbonio. Nascono in questo modo i “pacchetti” di fasci composti, ognuno, da miliardi di particelle. Questi pacchetti sono preaccelerati e inviati al sincrotrone dove, inizialmente, viaggiano a circa 30 mila chilometri al secondo. Successivamente sono accelerati fino ad energie cinetiche di 250 MeV per i protoni e 450 MeV/u per gli ioni carbonio. Per raggiungere questa velocità percorrono circa 30 mila chilometri in mezzo secondo dopodiché vengono inviati nelle tre sale di trattamento da cui poi viene irradiato il paziente fino ad una profondità massima di 30 cm. (fonte: fondazionecnao.it)

Un acceleratore di particelle si può definire come una sofisticata macchina che usa i campi elettrici e magnetici per accelerare particelle cariche. Ne esistono vari tipi a seconda dell’ambito in cui vengono utilizzati, ma complessivamente tutti si basano sullo stesso principio di funzionamento. Esiste infatti una formula che descrive il moto di una particella carica in un campo elettrico e magnetico: l’equazione di Lorentz (dal fisico Hendrik A. Lorentz, nobel per la fisica nel 1902): FL= qv x B.

I progressi della tecnologia non sembrano avere limiti, tanto che, sempre in ambito di fisica, si parla di un progetto che va ben oltre le notevoli dimensioni dell’acceleratore LHC. Di recente, sempre al CERN di Ginevra, è stato presentato un ambizioso progetto che prevede la realizzazione di un un nuovo acceleratore di ben 100 km di circonferenza il: Future Circular Collider (FCC) capace di esaminare differenti tipi di collisioni di particelle e che segnerebbe una nuova avventura nel campo della ricerca.

Possibile mappa del Future Circular Collider ©CERN

di Fabiola Cacciatore

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