Ziya e Zahad sono la prima coppia trans di genitori biologici in India, ma è davvero tutto oro quel che luccica?

I neogenitori hanno annunciato la nascita di loro figlia (o figlio, hanno deciso di non rendere noto il sesso), tuttavia precedentemente hanno anche dovuto rinunciare all’opzione dell’adozione. Nel 2014 è stato creato lo status di ‘terzo genere’, eppure molti problemi di stigmatizzazione sembrano ancora distanti dallo scomparire

Zaya Paval e Zahad Fazil (fonte: profilo Instagram di Zaya)

L’otto febbraio, Ziya Paval, pubblica sul suo profilo Instagram un post nel quale annuncia la nascita di suo figlio, ringraziando tutti coloro che le sono stati accanto; la cosa particolare, però, è che ad aver portato in grembo il bambino (nato di otto mesi) è stato il compagno di Ziya, Zahad Fazil. Difatti, la loro è una coppia di genitori transgender biologici, i primi in tutta l’India e, sapendo di rappresentare un’eccezione nel loro paese, spiegando che “nessun altro si è definito un genitore biologico nella comunità transgender, per quanto ne sappiamo”, portano avanti la sfida di portare visibilità e normalizzazione alla genitorialità transgender.

Ziya, 21 anni, ha quasi compiuto la transizione da maschio a femmina, mentre Zahad, 23 anni, stava compiendo il percorso di transizione inverso, da femmina a maschio, prima che, dopo i dovuti consulti con i loro medici curanti, entrambi sospendessero la terapia ormonale per poter concepire in modo biologico e, per Zahad, sostenere la gestazione, avendo ancora utero e ovaie. Riprenderanno entrambi le cure ormonali, ma per la coppia, conosciutasi tre anni fa, non è stato (e non sarà) tutto ‘rose e fiori’.

Quando si sono incontrati, entrambi erano stati emarginati dalle loro rispettive famiglie: Ziya proviene da una famiglia musulmana conservatrice, la quale non le ha mai fatto fare lezioni di danza classica. “I miei genitori” – spiega la ragazza – “erano così ortodossi da tagliarmi i capelli purché non ballassi”, fino al momento che, con la scusa di uscire, non è più tornata a casa, affidandosi ad un centro comunitario transgender, nel quale ha imparato a ballare; oggi è insegnante di danza. Zahad invece, dopo aver fatto coming out si era allontanato dai propri parenti, famiglia cristiana di una comunità di pescatori, con la quale ha ripreso i rapporti durante la gravidanza.

Il percorso di transizione di Ziya e Zahad…

La coppia, dopo la decisione di scappare dalle proprie famiglie, si è trasferita a Kerala per poter intraprendere insieme il percorso clinico di transizione, stato con la legislazione in materia di transessualità tra le più innovative e libere al mondo, permettendo ai cittadini la transizione in strutture pubbliche, in maniera totalmente gratuita.

La stessa ministra della Salute e della Famiglia del Kerala, Veena George, si è congratulata con i neogenitori e ha offerto loro tutta l’assistenza necessaria, sottolineando che il latte per il neonato sarà reso disponibile gratuitamente dalla Banca del Latte locale, per la già avvenuta rimozione dei seni durante il percorso di riaffermazione del genere di Zahad.

Per quanto riguarda il sesso di loro figlia (o figlio), Ziya e Zahad hanno deciso di non dichiararlo, affermando di non avere il diritto di definire il genere del bambino, il quale “dovrà esplorare e scegliere in autonomia la propria identità sessuale”.

Tuttavia, inizialmente la coppia aveva deciso di optare per l’adozione, ma le procedure legali indiane lo hanno impedito, poiché il Transgender Persons (Protection of Rights) Act del 2019 riconosce il diritto all’identità di genere auto percepita, ma l’adozione (così come il matrimonio), è ancora un diritto negato alle persone transgender.

…e dell’India

Nel 2014, la Corte Suprema indiana ha pronunciato una sentenza storica, che garantiva alla comunità transgender molti diritti, prima di allora negategli, tra i quali quello di potersi dichiarare legalmente transessuali nei documenti ufficiali e accedere ai programmi di welfare dedicati alle minoranze, riconoscendo una terza categoria di genere differente dal binomio femmina/maschio, venendo così definita come ‘terzo genere’, e riconoscendola per la prima volta a livello formale.

Secondo le parole della sentenza: “bisogna iniziare ad includere nella società mainstreaming la comunità trans”, e ancora: “Lo spirito della Costituzione indiana è quello di fornire pari opportunità a ogni cittadino di crescere e raggiungere il proprio potenziale, indipendentemente da casta, religione o genere”, poiché da sempre sono vittima di pregiudizi e stigma, costretti a lavorare nell’ambito dell’intrattenimento, a livelli più o meno degradanti, fino ai casi estremi di mendicità e prostituzione.  

All’epoca, molti attivisti, come Laxmi Tripathi, attivista transgender che aveva presentato una petizione alla Corte Suprema, si sono detti speranzosi e orgogliosi di essere indiani, poiché questi diritti acquisiti avrebbero portato sollievo a milioni di persone che ancora affrontavano discriminazioni nella società indiana, profondamente conservatrice.

Infatti, seppur quello del 2014 sia stato un grande passo in avanti da parte dello Stato indiano (riconfermato nel 2019 con una nuova legge che protegge i diritti dei transgender) e la Corte Suprema abbia stabilito che le persone transgender hanno gli stessi diritti delle altre persone, sono tuttora costrette a superare molti ostacoli per accedere all’assistenza sanitaria specifica (ovvero di genere), e spesso la loro condizione sociale ed economica è tutt’altro che soddisfacente.

Persone appartenenti alla comunità hijra (fonte: immagine via Flickr di Johanan Ottensooser)

Hijra, gli invisibili: il gruppo tradizionale non conforme al genere

Se le persone transgender stanno avendo il rispetto e la stabilità di cui hanno diritto, altri gruppi non conformi al genere vengono costantemente stigmatizzati ed emarginati dalla società, e molto spesso ‘confusi’ con quelle che sono le donne transessuali.  

È il caso degli hijra, espressione utilizzata per identificare un gruppo riconosciuto (ma socialmente marginalizzato) di persone non conformi al genere di maschio assegnato alla nascita. Di questa comunità, si dice che risalga dall’antichità, e che si sia creata da donne transessuali scappate dalle loro famiglie, che vivono in comunità di ‘nuove’ famiglie. Infatti, il termine sembrerebbe derivare dalla radice semitica araba hjr, nella sua accezione di ‘lasciare la propria tribù’.

Benché questa marginalizzazione da parte della società, gli hijra hanno da sempre un ruolo importante da svolgere nella collettività indiana, essendo presenti in rituali da seguire e da intraprendere durante matrimoni, parti e funerali, guadagnandosi in questo modo da vivere.

Perciò, si tratta di un gruppo tradizionale, ma anche di un’identità socioculturale e considerata da molti una vera e propria professione, molto distante da quella che è l’identità di genere di una persona transgender, ovvero una persona che si identifica di un sesso differente da quello biologico.

I am Not a Hijra

Tuttavia, gli hijra sono ancora associati a lavori stigmatizzanti e ad uno stile di vita di povertà e arretratezza; per questo motivo, molte donne transgender, invece di sfidare gli stereotipi di non conformità di genere e di emarginazione degli hijra, tendono a evidenziare il più possibile le loro differenze e la loro superiorità (sociale ed economica) rispetto a questa categoria.

Le donne transgender stanno perseguendo (e ottenendo) la posizione di appartenenza alla ‘classe media’, utilizzando indicatori e termini comuni come l’istruzione, l’alfabetizzazione e affermando di essere “moderne”, gli stessi indicatori e termini che vengono spesso negati agli hijra.

Questo desiderio di discostarsi il più possibile dalla comunità di hijra è ancora più evidente in una serie di foto pubblicate online nel 2016, le quali immortalano diverse donne transgender con in mano un cartello che recita “I am Not a Hijra” (Io non sono un hijra), rivendicando la loro identità transessuale.

Sfortunatamente, in questa loro rivendicazione e nel rafforzamento del loro rispetto, le donne transgender finiscono per rafforzare anche lo stigma e le disuguaglianze subite dagli hijra, proprio quelle che loro stesse rifuggono e condannano.

fonte: gruppo Facebook di Transgender India

Di Beatrice Guaita

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