Il naufragio a largo di Crotone: in rassegna i ‘perché’ che ci siamo posti

Tra il 25 e il 26 febbraio hanno perso la vita più di 70 persone a largo delle coste calabresi: una ricostruzione degli avvenimenti e un tentativo di risposta alle domande, talvolta, meno intuitive

Spiaggia di Steccato di Cutro (Crotone) dopo il naufragio (fonte: LaStampa.it)

Tra sabato 25 e domenica 26 febbraio sulle coste della Calabria, in prossimità di Steccato di Cutro (Crotone), è avvenuta una delle stragi in mare più grandi dopo quella del 2013.

Un ex peschereccio a motore in rotta verso l’Italia da Smirne (Turchia) si è spezzato a causa del mare grosso ed è affondato a 100-150 metri dalla riva; la barca trasportava, secondo alcune testimonianze, dalle 180 alle 250 persone. Hanno perso la vita, e le stime sono ancora approssimative, 71 migranti (di cui 17 minori), solo circa 80 sono stati tratti in salvo. Il numero dei dispersi è ancora imprecisato data l’impossibilità di risalire a quante persone fossero effettivamente a bordo della barca; le ricerche, ad ogni modo, continuano. I presenti erano per la maggior parte provenienti da Afghanistan, Pakistan, Siria, Iran, Somalia e Palestina. Tutti paesi da cui scappando, una volta arrivati sul suolo italiano, è possibile richiedere una forma di tutela e protezione.

La ricostruzione degli eventi

L’imbarcazione, secondo una prima ricostruzione, si sarebbe avvicinata nella notte di sabato alle coste italiane per poi indietreggiare per via di alcune luci provenienti dal porto. Gli scafisti, ovvero coloro che hanno condotto i migranti dalla Turchia all’Italia, avrebbero avuto paura di una qualche azione delle forze dell’ordine italiane contro di loro. Gli stessi, una volta di nuovo a largo e dato il sovraccarico a bordo ed il mare grosso, si ritiene abbiano gettato in mare 20 persone al fine di facilitare la navigazione.  A seguito di una collisione, poi, sarebbe seguita la rottura della barca ed il conseguente affondamento.

Rotta della barca partita dalla Turchia (fonte: googlemaps.it)

L’ex peschereccio allontanatosi da quattro giorni dalle coste della Turchia in vista di quelle italiane sarebbe stato avvistato verso le 5 da un pescatore. In realtà già dalle 22:30 di sabato 25 febbraio era stato segnalato da un aereo di Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, alla Guardia di Finanza (con in copia anche la Guardia Costiera, unica che può portare avanti azioni di soccorso tra le tre). Non essendo stato esplicitato il pericolo in cui versava l’imbarcazione ed i suoi passeggeri, l’azione si sarebbe limitata ad una di sicurezza in qualità di polizia del mare e non di SAR (Search And Rescue). Il tentativo di raggiungere il peschereccio, poi, è stato portato avanti da due unità della Guardia di Finanza (con finalità di “intercetto”, non salvataggio), dopo poco rientrate a causa del mal tempo e quindi dell’impossibilità di navigazione del momento.

La segnalazione data da Frontex è stata poi resa nota: era stata avvistata una barca «con una persona sul ponte e possibili altre persone sottocoperta, nessun giubbotto di salvataggio visibile, buona navigabilità a 6 nodi, nessuna persona in acqua». Vi era, dunque, la possibilità di un alto numero di persone a bordo, non equipaggiati a dovere e con mare molto mosso.

I rimpalli tra le responsabilità adesso sono il principale argomento di discussione: tra chi avrebbe dovuto segnalare per primo il pericolo e chi, anche senza una segnalazione esplicita, avrebbe dovuto dare il via ad operazioni SAR.

Giovedì 2 marzo è stata aperta un’inchiesta dalla stessa procura di Crotone circa gli errori che potrebbero essere stati commessi nella catena di interventi iniziata dal primo avvistamento. Una prima inchiesta era già stata aperta sui presunti scafisti responsabili del viaggio, accusati di naufragio e di omicidio colposo.

Perché arrivano in barca rischiando così tanto?

La domanda che può sorgere di fronte a simili stragi e situazioni è: ma per quale motivo non arrivano in aereo o attraverso dei mezzi più sicuri? Il parallelismo noi- loro risulta, erroneamente, quasi automatico; noi per spostarci prendiamo l’aereo, la nave, il treno, possiamo farlo liberamente e senza alcun problema. Non è così per tutti?

La sola carta d’identità italiana permette all’individuo di potersi muovere liberamente in tutti i paesi dell’Unione Europea e dell’aerea Schengen (area all’interno della quale non vi sono frontiere). Il passaporto, invece, ci garantisce libertà di spostamento – senza la necessità di un visto – in ben 129 paesi (in alcuni casi con permanenza limitata). Questo però non vale per tutti. Ci sono paesi il cui passaporto non garantisce una stessa facilità di spostamento. Dall’Afghanistan, ad esempio, per potersi spostare si ha bisogno di un visto per tutti i paesi in cui si voglia andare (le frontiere sono aperte solo per 5 paesi in totale).  E fare il visto non è così semplice, burocrazia e tempi di attesa rendono la pratica, quando non ignorata, talvolta impossibile per molti.

Confronto della possibile mobilità data da passaporto italiano e quello afghano: i numeri preceduti da bollino verde sono gli stati in cui è possibile, in mancanza di visto, permanere a lungo; quelli contrassegnati da bollino giallo i paesi in cui è possibile – sempre in mancanza di visto – viaggiare con eTA (autorizzazione di viaggio); in azzurro sono i paesi che richiedono il visto all’arrivo; in rosso quelli in cui senza visto non puoi andare
(fonte: passportindex.org)

Ma perché parliamo di visto quando la maggior parte delle persone che arrivano in Italia via mare hanno, probabilmente, le condizioni sufficienti per ricevere o asilo politico o qualche altra forma di protezione?

(fonte: www.interno.gov.it)

Per richiedere una qualsiasi tutela devi essere su suolo o confine italiano.

Nella Guida pratica per richiedenti protezione internazionale in Italia è specificato questo requisito: “puoi manifestare la tua volontà di richiedere protezione internazionale al momento dell’arrivo in Italia presso la Polizia di Frontiera o, se già ti trovi in Italia, presso la Questura – Ufficio Immigrazione di Polizia- più vicina”. Dunque, prima devi fare il visto (con tempi e burocrazia che variano da paese a paese, se riesci ad ottenerlo), poi prendere un aereo, poi richiedere tutela. Questo spiega e ci permette di comprendere il perché di alcune scelte che nel nostro contesto privilegiato alcune volte condanniamo.

(fonte:www.interno.gov.it)

Perché non si sono fermati in Grecia, paese più vicino alla Turchia?

Un’altra domanda che ad intuito può essere posta guardando la cartina della rotta della nave che da Smirne era diretta alle coste italiane è: perché non fermarsi in Grecia? Sarebbe stato più semplice vista la distanza notevolmente ridotta dalle coste turche alle prime isole greche Lesbo, Chio e Psara.

In evidenza le isole greche che sarebbero state meno distanti da Smirne (città da cui è partita la barca) (fonte:googlemaps.it)

Nel 2022 la Corte Europea dei Diritti dellUomo ha condannato la Grecia per il respingimento delle barche dei migranti provenienti dalla Turchia. Tale sentenza fa riferimento, in particolare, ad un episodio avvenuto il 20 gennaio 2014 quando un’imbarcazione turca, durante il tentativo della Guardia Costiera greca di riportarla in acque turche, si è ribaltata causando la morte di 11 persone. Da allora la politica di respingimento portata avanti dal paese è rimasta ed è diventata sempre più dura. Si ritiene che nei soli primi mesi del 2023 siano state respinte 155 imbarcazioni, 73 quelle arrivate a destinazione. Approssimativamente sono stati, secondo un report di Aegean Boat, 4.223 i migranti respinti e 1.869 quelli approdati. Questo, però, non fa della Grecia un paese con meno richieste di tutela internazionale: nel 2022 ogni 100 mila abitanti sono state 279, in Italia 133.

Secondo i dati forniti da Aegean Boat Report nei primi due mesi del 2023 le persone e le barche fatte rientrare in acque territoriali turche sono superiori rispetto a quelle a cui è stato concesso di approdare
(fonte: aegeanboatreport.com)

Senza pensare, poi, a ciò che attende coloro che riescono ad approdare in Grecia e vogliono raggiungere paesi come Germania o Francia: un altro tipo di rotta migratoria, non via mare ma via terra. La rotta balcanica. Non meno pericolosa e difficile e non con meno ostacoli.

Di Claudia Orlandi

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