Disabilità invisibili: il ruolo del Centro Accoglienza e Inclusone UniPr

L’80% delle disabilità nel mondo non sono visibili, senza contare chi non ha accesso a una diagnosi: ne abbiamo parlato con la dott.ssa Dolores Rollo

Il cordino Sunflowers è stato realizzato nel 2016 dall’associazione britannica Hidden Disabilities, che si occupa di disabilità invisibili. Come si può intuire dal nome, le disabilità invisibili non sono facili da riconoscere e comprendono numerose fragilità fisiche, oltre che cognitive ed emotive. Purtroppo, troppo spesso chi soffre di una disabilità nascosta è vittima di discriminazioni continue da parte di chi non si accorge delle reali difficoltà che queste persone affrontano ogni giorno e sono anche spesso costrette ad affrontare accuse da parte di chi non crede alle loro difficoltà.

Anche per questo il Sunflowers viene usato in tutti i paesi, tra cui l’Italia, e serve a far sì che chi lo indossa possa segnalare una difficoltà, ottenere assistenza e precedenza, un’attenzione particolare o un aiuto in situazioni difficili, come può essere anche una comune fila per il bagno.

Indossando questo discreto accessorio non sarà più necessario dichiarare di soffrire di una particolare disabilità, esponendosi agli sguardi e ai giudizi altrui e ciò permetterà alle numerose persone che vivono un disagio personale di poter svolgere i propri quotidiani impegni con più serenità.

Abbiamo deciso di parlare di disabilità invisibili con il CAI (Centro Accoglienza e Inclusione) dell’Università di Parma che segue studenti e studentesse con DSA, disabilità e fragilità di vario genere, ad esempio: depressione, endometriosi, diabete, fibromialgia, obesità, epilessia e asma. Il centro offre, inoltre, un servizio di Counseling psicologico agli studenti dell’ateneo, con lo scopo di assisterli tramite procedure specifiche per il sostegno e orientamento, fondate sull’ascolto.

Abbiamo intervistato la dott.ssa Dolores Rollo, direttrice del Centro Accoglienza e Inclusione – nonché prof.ssa di psicologia dello sviluppo e dell’educazione – che riguardo il suo ruolo ci dice: “Noi come ateneo seguiamo studenti e studentesse con DSA, ma la finalità principale è la disabilità. L’idea nella società di disabilità viene soprattutto attribuita a una disabilità motoria e sensoriale, ma comunque visibile”.

Quando una fragilità diventa una disabilità?

 “Quando si ha una diagnosi conclamata. Nel momento in cui un professionista mi somministra dei test, dovrebbe fare una relazione e farmi passare ai servizi del territorio. Dico dovrebbe perché può accadere che non succeda, che alcuni studenti non sappiano a chi rivolgersi o addirittura in che alcune regioni non ci siano centri pubblici che facciano diagnosi”, spiega la prof.ssa Dolores Rollo.

Nell’immaginario collettivo la disabilità viene ancora attribuita solo a chi usa una sedia a rotelle, ma non tutte le difficoltà sono visibili a chi ci circonda. Ci si aspetta che il parcheggio con la striscia gialla sia un diritto solo di chi mostra una grave difficoltà fisica, ignorando un numero elevatissimo di persone con disabilità meno evidenti. Atteggiamento che favorisce un clima di scetticismo diffuso e che mette in ulteriore difficoltà i più deboli.

L’università si accorge sempre della loro necessità?

Non si vedono. Ma noi come Centro Accoglienza e Inclusione li vediamo nel momento in cui sono loro stessi a segnalarcelo. Il Centro segue tutte le situazioni di disabilità – io le chiamo fragilità– fisiche, psicologiche, sia temporanee che permanenti. Noi abbiamo studenti che hanno subito trapianti, con sclerosi multipla e tumori. Tutto ciò che ha conseguenze sullo studio e nell’apprendimento per noi è considerata una fragilità invisibile, non è così in tutte le università.”

A che punto siamo nella nostra società su queste tematiche?

“Dipende dalla disabilità specifica. Alcune disabilità la società non le capisce, come l’autismo ad alto funzionamento, il diabete o l’epilessia. Su queste patologie si hanno molti pregiudizi e questo deriva dalla non conoscenza. In linea di massima in università non succede, ma all’interno della società alcune specifiche disabilità sono permeate da un pregiudizio”, ci dice la prof.ssa Rollo.

L’ultima stima diffusa mostra che nel nostro paese le persone con disabilità (che quindi vivono con limitazioni che non consentono il normale svolgimento delle attività abituali) sono 3 milioni e 100 mila, circa il 5,2% della popolazione. Sono 36 mila circa il numero di studenti con disabilità e DSA iscritti a corsi di laurea: il 2% del totale degli studenti.

Le università stanno attuando un miglioramento graduale e costante, creando servizi a disposizione degli studenti con disabilità e disturbi specifici dell’apprendimento all’insegna dell’inclusione.

Come si può sdoganare lo stigma della diversità?

“Con la conoscenza. Mi arrabbio sempre un po’ quando uno studente non vuole che si sappia qual è il suo problema; posso capire, ma in alcuni casi sapere è utile sia alla persona stessa che alla società. La diversità a volte è una costruzione mentale perché i primi a non accettare il problema siamo noi stessi. Si vince parlandone, informandosi e facendolo accettare in primis alle persone che lo vivono sulla propria pelle”, conclude la dott.ssa Rollo.

Parlare di disabilità invisibile è fondamentale per tutti, aiuta chi è affetto da una patologia a creare un dialogo aperto con il prossimo, ma aiuta soprattutto la società ad imboccare una strada diversa, dove non c’è spazio per l’incomprensione.

Il Centro Accoglienza e Inclusione dell’Università di Parma promuove azioni nel campo dell’accoglienza, dell’inclusione e delle pari opportunità per gli studenti in difficoltà ed è aperto a tutti gli studenti e le studentesse dell’Università. Il centro si trova in Piazzale San Francesco,3 e ci si può rivolgere al loro indirizzo mail cai@unipr.it per qualsiasi informazione.

di Laura Meligeni

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*