Aborto, le ragioni degli obiettori di coscienza vanno oltre a etica e religione: la scoperta di una ricerca sociologica

Le professoresse Ghigi e Quaglia dell'Università di Bologna e Macerata hanno portato avanti uno studio intervistando medici, ginecologi e anestesisti: quello che emerge è che le ragioni degli ostacoli all'IVG sono molto più complesse e preoccupanti di quello che si pensi

Il 10 marzo si è tenuto a Parma, presso l’Aula Filosofi, il secondo appuntamento della rassegna di incontri sui diritti femminili in Italia oggi. Al seminario dal titolo “Interruzione volontaria di gravidanza e libertà riproduttive: una questione ancora irrisolta”, oltre a Giulia Selmi e Veronica Valenti, curatrici degli incontri e docenti di Giurisprudenza, Studi Politici e Internazionali dell’Università di Parma, sono intervenute esperte della materia e professoresse universitarie: la professoressa di Diritto costituzionale, esperta di biodiritto presso l’Università di Trento, Lucia Busatta, che si occupa da sempre di salute sostenibile (citando il titolo della sua monografia); la professoressa in Sociologia presso l’Università di Bologna, Rossella Ghigi, che ha scritto diverse opere in tema di uguaglianza di genere, di femminismo, di educazione di genere fin dalla prima infanzia all’età adulta; e Valeria Quaglia, ricercatrice in sociologia presso l’Università di Macerata esperta di salute di genere.

L’Università degli Studi di Parma e il Comune di Parma con la rassegna “CORPI CONTESI. Dialoghi interdisciplinari su diritti, autodeterminazione e libertà femminili nell’Italia contemporanea” offre motivo di riflessione per interrogarsi coinvolgendo anche realtà esterne come il CUG dell’Ateneo, l’About Gender (Rivista internazionale di Studi di Genere) e l’UCB (Centro Universitario di Bioetica).

In questo ciclo di eventi si trattano temi che toccano tutti noi, giovani e meno giovani, la nostra società; temi che riguardano l’autodeterminazione femminile ma più in generale la libertà di ciascuno di noi. Argomenti di grande rilevanza perché ci sono ancora tantissime persone, in particolare donne, che soffrono e non riescono ad esprimere la propria libertà nel proprio agire quotidiano e nel loro percorso di vita.

Il tema del secondo incontro del seminario è l’interruzione di gravidanza, un argomento molto rilevante che tocca altri diritti quali la vita, la libertà e il rispetto.

La legge 194

La docente e curatrice Veronica Valenti incentra il suo intervento sulla contestualizzazione normativa: la legge 194, approvata nel 1978, detta la disciplina dell’interruzione volontaria di gravidanza ma non riguarda l’autodeterminazione in senso assoluto della donna; ne riconosce più il valore sociale della maternità, dando molto importanza al “concepito” più che all’individualità della persona. Infatti c’è un numero elevato di obiettori di coscienza come ci sono ancora oggi difficoltà a praticare l’aborto in modo diverso e sicuro rispetto all’intervento chirurgico del raschiamento.

La professoressa Lucia Busatta parla invece della regressione sul tema della tutela dei diritti delle donne e introduce il tema dell’aborto proprio a partire dalla ragione per la quale ormai da un anno a questa parte si sia riaperto il dibattito. “Si è riacceso perché c’è un problema legato all’accesso, alla prestazione sanitaria” spiega.

Le ragioni dell’obiezione di coscienza: una ricerca sociologica

Rossella Ghigi insieme alla collega Valeria Quaglia affrontano il tema del rendere sostanziali i diritti che abbiamo: “Un conto è averli sulla carta, e vanno protetti sulla carta, ma un conto è anche renderli effettivamente vivi e renderli effettivi ed efficaci”. Nel nostro Paese il diritto è garantito con la legge della 194, però a volte risulta davvero complessa la sua piena vera e sostanziale attuazione. Tra coloro che possono e dovrebbero essere chiamati a intervenire nel personale medico e rendere efficace questa previsione di legge c’è chi solleva appunto obiezione di coscienza.

Ghigi racconta che ci sono tanti tipi di obiezione mentre Quaglia mostra invece risultati della ricerca sociologica da loro condotta. Sono partite da un insieme di interviste fatte a epidemiologi, referenti delle principali associazioni italiane di medici, ginecologi e anestetisti. Hanno cercato di creare un campione quanto più possibile eterogeneo, per meglio comprendere la complessità e le opinioni sul tema. Hanno quindi cercato intervistati che fossero differenti per età, per genere, provenienza, obiettori e non. “Non è stato semplice riuscire a reclutare gli intervistati”, confessa la professoressa.

Dai risultati delle interviste si riscontrano una pluralità di motivazioni “fondamentali da capire nel momento in cui vogliamo intervenire nel tentativo di superare gli ostacoli” perché sono appunto ragioni su cui si può in qualche modo lavorare. Innanzitutto si tratta di ragioni adottate da medici che non sono necessariamente contrari dal punto di vista etico all’aborto ma per ragioni legate all’organizzazione del lavoro decidono di fare obiezione di coscienza. Dalla letteratura emerge che in paesi come l’Italia, dove c’è un’elevata percentuale di obiezioni di coscienza, il carico di lavoro chiaramente va a pesare sulle poche persone che non fanno obiezione di coscienza perché “ci sono reparti in cui c’è un’equa distribuzione dei lavori, ci sono altri reparti dove non ci sono non obiettori, altri dove magari c’è n’è uno quindi in quel caso chiaramente quell’unica persona si fa carico del lavoro di garantire appunto il servizio di IVG (interruzione volontaria di gravidanza)”.

È un dato importante perché ci spiega come mai molti invece scelgono di obiettare. A questo proposito Quaglia riporta quanto detto da un primario: “Molti si nascondono dietro l’obiezione di coscienza per fare una cosa in meno nel nostro reparto”. Dicono inoltre che fare l’aborto è “un’attività noiosa, poco interessante e monotona”.

Ci sono poi ragioni connesse alla carriera, legate al fatto che “in alcuni casi se non si è obiettori non si viene assunti”, soprattutto in strutture di tipo privato e di orientamento cattolico. Un’altra ragione è la mancanza di formazione dal punto di vista teorico: “Quando noi facevamo le interviste agli specializzandi e chiedevamo loro cosa ne pensassero loro non ci sapevano rispondere. Molti di loro non avevano mai fatto né visto fare un IVG”.

Poi un ultimo elemento che concerne l’aspetto più organizzativo è quello legato all’aspetto più economico: alcuni intervistati hanno detto “non è economicamente conveniente perché in qualche modo non fidelizza le clienti”. A questo proposito un ginecologo strutturato vicino alla pensione “ha detto che per molti colleghi l’IVG è un tipo di attività che non ti dà pazienti in seguito”, quindi alcuni preferivano attività economicamente più convenienti.

Molti hanno parlato di ragioni legate all’etica e legate alla religione che sono poi anche le motivazioni più conosciute perché è più improbabile che in un’intervista si dica “lo faccio perché non è conveniente”. Una ginecologa che si definiva cattolica e che praticava l’IVG ha risposto all’intervista così: “Io faccio il medico e in quanto medico il mio codice deontologico mi dice che io devo curare. Allora nella cura rientra tutto. Nel mio compito di essere medico c’è la cura a 360 ° per tutto quello di cui la persona ha bisogno. L’interruzione con la mia coscienza non c’entra niente perché è la persona che io accudisco che si pone remore o si fa un problema di coscienza; io accudisco e basta”.  Quindi è possibile fare una separazione tra l’ambito professionale e quello più privato e ovviamente si privilegia quello che si ritiene essere il dovere di medico. “Ma se da una parte abbiamo personale cattolico che fa IVG, abbiamo dall’altro lato anche medici che non si definiscono credenti ma che condividono con loro il pensiero di base – che è in gioco una vita umana – e pertanto decidono di sottrarsi al servizio di IVG perché lo ritengono un omicidio”. In ultimo, altre ragioni dell’obiezione sono legate allo stigma.

Lo stigma dell’aborto

Ma perché l’aborto è ancora oggi considerata una pratica stigmatizzante per le donne che scelgono di abortire, ma anche per gli operatori che garantiscono appunto questo servizio?

Quaglia legge un breve frammento di un’altra intervista in cui un ginecologo non obiettore ha detto: “L’obiezione è una questione di comodità, nel senso: io non faccio interruzione di gravidanza quindi ho un lavoro in meno che non è poco; la seconda ragione è che mi libero di un lavoro legato al sesso e quindi potenzialmente imbarazzante. L’interruzione di gravidanza è infatti provvedere alla soluzione pratica di gente che comunque ha avuto rapporti sessuali: questa cosa è un po’ una ‘schifezza’ quindi non mi va di farla. Una donna arriva e dice ‘mio marito si è distratto’, ma io sono un medico e se il marito si è distratto è una cosa non mi deve riguardare. Tu proteggi queste donne però in qualche modo è come se accedessi insieme a loro a un girone che non è quello della brava gente. Io ho trovato colleghi, non religiosi, che mi hanno risposto ‘quella cosa lì la devono fare i medici preposti’. Un po’ come i becchini insomma”.

Quaglia spiega quindi che “questa è l’illustrazione plastica di quanto si dice rispetto al concetto di lavoro ‘sporco’, ancora oggi considerato stigmatizzante non solo per le donne – che in qualche modo vengono stigmatizzate perché si ritiene abbiano avuto una sessualità non adeguata e che abbiano avuto un comportamento irresponsabile, che siano state egoiste e non abbiano avuto un sufficiente desiderio di maternità – ma anche appunto medici che evitano accuratamente di nominare il servizio di interruzione volontaria”.

II medici obiettori con cui hanno parlato le docenti “hanno detto che hanno trovato difficoltà anche quando avevano cene coi colleghi che pur condividendo un certo tipo di visione del mondo e dei diritti, facevano fatica a parlare delle loro esperienze rispetto all’IVG”.

La realtà dell’obiezione di coscienza in Italia, quindi, non è riconducibile solo ed esclusivamente a motivazioni etiche e religiose, molto ci sarebbe ancora da capire e discutere per riuscire finalmente a far rispettare questo diritto a tutte le donne.

di Fabiola Veca

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