Testa, cuore…e una banana: così Michael Chang stravolse il tennis

20 anni fa lasciò il tennis giocato con un record imbattuto, un'impresa storica e un infallibile rimedio per i crampi

michaelchangTennisIvanLendlGrandeSlamRolandGarrosUsopen

1989, quarto turno del Roland Garros. Il ventinovenne cecoslovacco Ivan Lendl, Numero 1 della classifica ATP, conosciuto come Terminator (per la sua costanza e qualità fuori dal comune) è il favorito per la vittoria del titolo. Viene dalla vittoria dell’Australian Open, settimo trofeo del Grande Slam conquistato, ed è pronto a sfruttare i suoi granitici 188 centimetri per diventare leggenda.

Sul suo cammino solo Michael Chang, 177 centimetri per 73 chili (meno della media) e 17 anni da poco compiuti.  La quindicesima testa di serie si affida a tutta la sua velocità e tenacia per provare a spuntarla. Il pronostico pende tutto a favore di Lendl, ma dove col fisico non può arrivare, Chang arriva con la malizia, l’imprevedibilità dell’outsider…e una buona dose di potassio. Il resto è storia. Una bellissima storia, tutta da rivivere.

Un “piccolo” uomo alla conquista del Grande Slam

Michael Chang, figlio di genitori taiwanesi emigrati negli Stati Uniti per motivi di studio, è professionista da appena un anno quando approda al Roland Garros per la seconda volta. L’esordio non è dei migliori, col primo set perso contro il belga Masso. Solo uno spauracchio per il nativo di Hoboken, che vince 6-7,6-3,6-0,6-3.

Al turno successivo Pete Sampras, connazionale e amico di una vita. Proprio Pistol Pete inaugurerà l’anno dopo in patria il primo di 14 titoli del Grande Slam e si affermerà come uno dei migliori di sempre. Si affermerà, appunto. Oggi deve rassegnarsi alla superiorità del minuto collega, che lo congeda 6-1,6-1,6-1.

Qualche game in più glielo strappa lo spagnolo Francisco Roig, ma il copione non cambia; Chang si impone ancora 6-0,7-5,6-3. Roig avrà maggior fortuna nello staff del connazionale Nadal.

Al quarto turno, l’asticella si alza ben oltre la torre Eiffel: c’è Lendl, giocatore esperto e ormai affermato come leggenda. Longilineo e solido, vanta una tecnica ben superiore a quella di Chang, e può sfoggiare un diritto in corsa di notevole potenza. È tornato numero 1 al mondo, è fresco di vittoria agli Australian Open e non sembra avere intenzione di fermarsi al quarto turno del Roland Garros.

Ivan Lendl, Fonte: pagina Facebook Tennis Fever

Lendl è costanza e potenza insieme, da sfruttare il più possibile col diritto, colpo che Terminator cerca stando spesso sul lato del campo dove ha il rovescio, quasi invitando l’avversario a colpire verso il lato opposto, dove può esplodere la sua mossa preferita. Una vera trappola per topi.

E Chang, a un primo impatto, tra i due di sicuro non fa la parte del gatto. Neanche del topo, però: i primi due set li vince Lendl 6-4-6-4, ma Michael non demerita: è una molla, scatta da un lato all’altro del campo. Negli scambi lunghi, però, la differenza tecnica e fisica tra i due è evidente.

Poi, qualcosa cambia. Lendl ha un evidente calo di concentrazione, commette 19 errori gratuiti e manda fuori la palla che porta il terzo set a Chang col punteggio di 6-3.

Per il diciassettenne cominciano in quel momento una serie di crampi lancinanti che lo portano a pensare al forfait: comincia allora, tra un cambio campo e l’altro, a divorare banane, per reintegrare il giusto apporto di potassio. Il gesto oggi abituale per i tennisti, al tempo è pioneristico.

Su una superficie come la terra rossa, dove la palla si muove più lentamente e rimbalza in modo ampio favorendo scambi lunghi ed esaltando la resistenza e la potenza degli atleti, fare braccio di ferro con una macchina che spara cannonate da fondocampo non è una buona idea; Chang ha il merito di capirlo in tempo, cambiando registro e puntando su trucchi insoliti, forse un po’ scorretti, ma tremendamente efficaci.

Se non puoi batterlo, prendi fiato e fallo innervosire” deve aver pensato. E quindi Chang comincia ad usare dei pallonetti non volti a scavalcare l’avversario (con che coraggio?) ma a spazientirlo, con traiettorie a palombella che sembrano non finire mai ed abbassano sensibilmente il ritmo dello scambio, consentendo a Chang di rifiatare. È una sbronza giovanile di top-spin, una giocata indegna anche del più improvvisato torneo junior, che manda fuori giri un ormai veterano.

Un veterano roccioso, forte, apparentemente inscalfibile. Ma questa sua compostezza e robustezza finisce per tradursi in rigidità mentale: Lendl non cambia registro, continua il braccio di ferro da fondocampo innervosendosi sempre di più. E perdendo anche il quarto set 6-3.

I colpi antiscolastici del teenager si scontrano con il rigore quasi accademico di un tennista più esperto, più tecnico, più allenato e performante nel fisico, ma irrimediabilmente provato nel cervello. Sul 4-3 Chang, la sfrontata e sorprendente battuta da sotto del ragazzino sono uno schiaffo alla reputazione costruita da Lendl attraverso duri allenamenti e una disciplina ferrea. La testa di serie numero 1 è confusa e spaesata.

Per contro, il piccoletto di Hoboken è dilaniato dai crampi, ma è in modalità survival, stringe i denti e con lodevole tenacia risponde ai colpi e continua la sua tattica di provocazione implicita. La partita lo porta avanti 5-3 con Lendl al servizio sotto 15-40 e con un fallo commesso. A un passo dalla gloria, l’ultima bravata: Chang avanza a pochi centimetri dal rettangolo di servizio per innervosire ancora di più il battitore che, allo stremo delle forze – mentali più che fisiche – si appella all’arbitro.

Inutile: la giocata è regolare. Lendl batte per la seconda volta. Doppio fallo. Finisce 4-6,4-6,6-3,-6-3,6-3. Il pubblico, che si era affezionato game dopo game a quell’outsider avvinghiato ad ogni punto, ora può esplodere definitamente nella gioia più completa, dopo 4 ore e 38 minuti. È uno stravolgimento dei pronostici, del punteggio e del tennis in generale.

Il sogno continua

Si va ai quarti. Dopo un’impresa simile, la sconfitta sarebbe così improvvisa ed improbabile che se Chang perdesse, creerebbe un clamore non indifferente. Nessuna sorpresa: vittoria 6-4, 2-6, 6-4, 7-6.

Tra l’americano di origini taiwanesi e la finale c’è il russo Andrej Česnokov, amante della terra rossa, che ha appena liquidato il campione in carica Mats Wilander. La sfida è intensa, ma il sogno del ragazzo del New Jersey non si ferma: 6-1 5-7 7-6 7-5, col sovietico avanti di un break al quarto set che però soccombe dopo oltre 4 ore.  A “soccombere” è anche Chang dopo l’intervista a caldo, che crolla a terra per i crampi.

Per il gran finale, l’avversario è lo svedese Stefan Edberg. È testa di serie numero 3 e ha appena liquidato un certo Boris Becker. È alto 188 cm ed è un formidabile attaccante, mai satollo di volée, selvaggiamente vorace sotto rete, ma impeccabilmente composto nelle movenze. Chang si trova di fronte uno specialista del gioco di volo che perdona pochi errori e vanta un servizio devastante.

L’avversario di una finale non poteva essere banale. Come banale non è il match. Il primo set va all’americano 6-1, poi Edberg torreggia con due set vinti 3-6, 4-6. È una battaglia di velocità, quella tra le rapide risposte d’anticipo di Chang e il tanto cinico e fulmineo quanto elegante serve and volley di Edberg; che cede  6-4 al quarto , si va all’ultimo decisivo set. È il meno stanco a spuntarla: dopo un ultimo drammatico game con 1 palla fuori, 2 a rete con in mezzo un clamoroso punto subito in lob, lo svedese si piega al destino del ragazzo di Hoboken 6-1,3-6,4-6,6-4,6-2.

Fonte: pagina Facebook TENNIS.com

Si è fatta la storia: il record di più giovane vincitore di sempre di un torneo del Grande Slam, 17 anni e 110 giorni, regge ancora oggi: dietro di 118 giorni Boris Becker. Nadal, grande intenditore sia di tappe bruciate che di terra battuta, inaugurerà il suo regno incontrastato al Roland Garros “solo” a 19 anni e 2 giorni.

Dopo l’apice

Quello del 1989 sarà l’unico torneo del Grande Slam che Chang riuscirà a vincere. Guai però a considerarlo solo una meteora: farà incetta negli anni successivi dei maggiori tornei professionistici (34 trofei maggiori ATP), tra cui spiccano le tre vittorie a Indian Wells, il cosiddetto “Quinto Slam”, denominato in questo modo per il suo grande prestigio.

Nel corso della sua carriera rimarrà costantemente tra i migliori 10 della classifica ATP, con migliore posizione al secondo posto nel 1996, e riscrive gli annali anche da sconfitto: la semifinale persa contro Stefan Edberg agli US Open del 1992 è tuttora la più lunga di sempre: 5 ore e 26 minuti.

Dopo gli Us Open del 2003, annuncia il ritiro assieme al connazionale Sampras. I due, con il celeberrimo Andre Agassi, hanno rappresentato un tridente d’oro per il tennis statunitense degli anni ’90, con la vittoria della coppa Davis a inizio decennio. Per Chang ha inizio la carriera da allenatore.

Chang insieme ad Andre Agassi, Fonte: pagina Facebook il Museo del Tennis

Ricorreranno quindi a settembre i 20 anni dal suo addio al tennis giocato, oltre che i 15 dal suo ingresso nella International Tennis Hall of Fame. Una carriera, la sua, sicuramente contrassegnata da quel turning point del Roland Garros contro Lendl. Il suo stile provocatorio e spavaldo divide ancora oggi l’opinione pubblica del tennis: chi considera ciò che ha fatto come un capolavoro di psicologia e ne logia la scaltrezza, chi invece lo denigra come un emblema di scarsa sportività e correttezza.

D’altra parte, nemmeno Davide si impose su Golia con mezzi particolarmente ortodossi. Anzi, la fionda è stato un mezzo fulmineo, imprevedibile e fuori dagli schemi che lo ha portato a spuntarla. E allora si può dire che in quel pomeriggio del 1989, le banane, le battute dal basso e quelle palle lente sono state la fionda di Michael Chang, un Davide del tennis.

di Michele Bonucchi

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*