“Vi avverto che vivo per l’ultima volta”: la straordinaria vita (letteraria) di Anna Achmatova raccontata da Paolo Nori

Lo scrittore e traduttore di russo ha presentato il suo ultimo romanzo all’Università di Parma, nel quale racconta la storia di un grande poeta della letteratura russa del Novecento

Anna Achmatova (fonte: sito internet di Paolo Nori)

“C’è un giudizio, nel mondo per così dire civile, nei confronti dei russi. Credo che da qui sia comodo parlare, ma se fossimo al loro posto non sono affatto sicuro che noi ci comporteremmo meglio”.

Con questa dichiarazione Paolo Nori fa svanire ogni dubbio su come la pensi della posizione del popolo russo nella guerra che affligge da più di un anno l’Ucraina, parlando della lunga tradizione di opposizione dei russi alla censura libraria (cita il fenomeno del Samizdat) e, in generale, al governo dittatoriale sovietico.

L’evento “Incontro con gli scrittori”, tenutosi il 17 marzo per presentare il nuovo romanzo di Nori, vuole sottolineare la dualità del libro: incentrato sulla figura della poetessa sovietica del Novecento Anna Achmatova, la quale ha una storia di ‘rivincita’ contro tutte le difficoltà e l’esclusione dal mondo letterario per mano dello Stato.

A introdurre la discussione erano presenti Maria Candida Ghidini, professoressa di Letteratura russa e Donatella Martinelli, professoressa di Lingua italiana e Analisi del testo letterario e produzione scritta, entrambe docenti dell’Università di Parma.

La figura letteraria di Anna Achmatova

Ad aprire l’incontro Ghidini che porta immediatamente all’attenzione il metodo che Nori utilizza nei suoi libri, definendolo “di avvicinamento circospetto agli autori che studia, cosa che noi studiosi di letteratura di solito non facciamo: mette a nudo qualcosa che noi normalmente teniamo nascosta, ovvero la nostra soggettività, il nostro punto di vista”. “È come se ci fosse – continua la docente – insieme al soggetto preso in considerazione (in questo caso Anna Achmatova), tutto il processo di associazioni e il flusso di coscienza stesso di Nori, il suo narratore, che in qualche modo ti invoglia a comprendere l’oggetto di studio”.

“Se è difficile accostarsi a qualsiasi biografia in generale, – continua Ghidini – quella di Achmatova in particolare, poiché si crea una ‘leggenda di sé stessa’, è molto attenta a inventarsi il proprio nome (nata Anna Gorenko) e persino il suo giorno di nascita. Questo atto di reinventare sé stessa e il suo personaggio al di fuori della letteratura è, in realtà, un’azione letteraria a tutti gli effetti”.

Paolo Nori racconta che “Achmatova aveva un carattere notevole, fin da piccola ha studiato poesie e il padre, che era un ingegnere navale, quando lo ha scoperto le disse di non mischiare il nome della loro famiglia con quelle cose vergognose, e Anna replicò dicendogli che non le sarebbe servito il nome della sua famiglia. Così prese il cognome Achmatova da una sua ava. Con queste cinque ‘a’ si mise in testa alla letteratura russa del Novecento, almeno dal punto di vista dell’alfabeto”.

“Voleva essere chiamata poeta, – spiega Nori – ma non perché fosse una limitazione la declinazione femminile: in una rivista poetica aveva visto una rubrica che si chiamava ‘Poesia femminile’ e disse che ‘la distinzione tra maschile e femminile la tenete per i bagni, per la letteratura no. Non c’è una letteratura maschile e una letteratura femminile, o è letteratura o non la è‘”.

Ghidini continua mettendo in relazione, come grande difficoltà, il tempo vissuto da Achmatova e il tempo vissuto da noi nell’ultimo anno; tempi che nel libro di Nori si sfiorano e si incontrano. “È un tempo di orrore e di paura, un buco nero, che la poesia di Achmatova esprime in modo esagerato e pietrificato, soprattutto con il silenzio: la sua poesia è un esercizio di silenzio, sottrazione e negazione. “Vi avverto che vivo per l’ultima volta”, poesia di Achmatova e titolo scelto da Nori per il suo romanzo, è una riflessione soprattutto etica sul peso specifico di ogni essere umano”.

Ma io vi pre­vengo che vivo
per l’ultima volta.
Né come ron­dine, né come acero,
né come giunco, né come stella,
né come acqua sorgiva,
né come suono di campane
tur­berò la gente,
e non visi­terò i sogni altrui
con un gemito insaziato”

(Traduzione: Michele Colucci)

Foto di Mondadori

Tra letteratura russa e poesia: riflessioni dell’autore

Nori si sofferma anch’esso sul titolo del suo libro, facendo presente al pubblico che “non ci sarebbe stato un secondo libro se non ce ne fosse stato un altro precedente” (nel 2019 pubblica una biografia su un altro grande personaggio della letteratura russa, Fëdor Dostoevskij), evidenziandone subito le differenze: “Intanto Anna Achmatova in Italia non è così conosciuta, e poi scrive poesie; tradurre la prosa è relativamente semplice, mentre tradurre la poesia è un po’ più complicato”.

Per far comprendere meglio il concetto e la difficoltà, cita una scena del film Paterson (2016), nel quale il protagonista, un poeta, incontra una persona giapponese, appassionata anch’essa di poesia americana, al quale viene chiesto se legge le poesie in traduzione o in lingua originale, ricevendo come risposta: “Leggere poesie in traduzione è come fare la doccia con un impermeabile”.

Nori continua il discorso parlando della sua esperienza personale negli anni universitari e nella scrittura della propria tesi, durante i quali è cambiata la direzione della sua vita: “La letteratura russa mi dà le parole per i miei sentimenti, e quando penso, ad esempio, alle due donne della mia vita, che sono mia figlia e sua mamma, mi vengono in mente i versi di Velimir Chlébnikov: Le ragazze, quelle che camminano / con stivali di occhi neri / sui fiori del mio cuore. E allora loro sono così anche se non hanno gli occhi neri, perché loro camminano sui fiori del mio cuore, lo calpestano e fanno bene”.

“Quando ho cominciato questo romanzo – spiega Nori continuando la riflessione sul titolo – il sottotitolo era “L’incredibile vita di Anna Achmatova”, riprendendo il sottotitolo del primo libro su Dostoevskij. Anche adesso, il fatto che noi viviamo per l’ultima volta e che abbiamo a che fare con gente che vive per l’ultima volta, è purtroppo una cosa che dobbiamo ricordarci sempre e comunque. Secondo me questo concetto è la stessa visione delle poesie di Achmatova: le prime che ha scritto, molto intime e domestiche, illuminano di dettagli della nostra vita quotidiana, e noi vediamo delle cose che normalmente non vediamo”.

L’importanza dell’influenza di un paese nella scrittura

Dopo aver accolto una riflessione della professoressa Martinelli sull’uso frequente nei suoi libri di un “sottofondo emiliano”, Nori ci tiene a specificare che, secondo il suo punto di vista, “la parola dialettale è un’espressione in italiano e non in dialetto, perché secondo me l’italiano vero, quello dove “tèsta” significa una cosa e “tésta” ne significa un’altra, non lo parla nessuno, se non quelli che hanno imparato la dizione. ‘Gli italiani’ che noi parliamo sono una ricchezza, e quando si scrive mi sembra assurdo rinunciarci”.

Inoltre, l’autore è consapevole di essere “condizionato dalla scrittura della letteratura russa, la quale ha una straordinaria tradizione, nella quale il protagonista non è una persona, ma il modo di parlare di questa, come possono essere le “Memorie del sottosuolo” di Dostoevskij. Quando leggo l’inizio di questo libro – spiega Nori – mi sembra di poter vedere il signore che le pronuncia, e lo stesso provo leggendo le poesie di Achmatova. In una sua poesia parla di una macchia verde nella sua cucina; “è così bella”, dice lei, “che non ti stanchi mai di guardarla”, e quando la leggo mi viene voglia di avere una macchia verde nella mia cucina, come quella nella cucina di Achmatova”.

Continuando i parallelismi fra lui e la scrittura russa, Nori si sofferma sul genere del suo libro: “Io lo chiamo romanzo, e quando lo faccio mi viene sempre in mente Guerra e Pace di Tolstoj, straordinario per il pubblico, mentre la critica si mostrava interdetta poiché non lo considerava come un romanzo, per il fatto che metteva personaggi ed eventi realmente esistiti e li mischiava con personaggi di fantasia. E anche io provo a fare dei romanzi, e non li faccio con pieno carattere onnisciente in terza persona, ma li faccio con il mio pensiero. Per me un romanzo è una cosa lunga che si legge dall’inizio alla fine, nel quale il lettore è portato a voltare le pagine”.

Paolo Nori

Censura: quando la letteratura è più forte dell’esercito sovietico

“C’è carattere, ma anche una misteriosa capacità, un dono, di scrittrice”, così l’autore parla di Achmatova, per poi spiegare la storia di una donna che riuscì a tenere testa al Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. “Una cosa che racconto e che mi ha sempre commosso – commenta Nori – è quando sono andato al museo Achmatova e ho visto che la sua prima raccolta uscì con una tiratura di trecento copie: per anni le hanno impedito di pubblicare, l’hanno esclusa dall’Unione degli scrittori, le hanno ucciso due mariti, il figlio ha fatto quindici anni tra carcere e lager, però alla fine lei è diventata, negli anni Sessanta, il più grande poeta russo. La sua ultima raccolta (quando era ancora in vita) è uscita in 1,7 milioni di copie, ha anche ricevuto la laurea ad honorem a Cambridge”.

Parla inoltre dell’influenza che Achmatova ha avuto nel sentimento di ribellione verso la censura del popolo sovietico: “Un giorno le hanno detto che le avrebbero mandato un altro riconoscimento; lei si aspettava un premio, invece le arrivò un librettino minuscolo fatto a mano di corteccia di betulla con le sue poesie. Quel libro veniva da un gulag, fatto da un prigioniero, i quali avevano bisogno delle poesie dell’Achmatova, e queste avevano la forza di arrivare fino a lì, nonostante tutte le censure”.

Altra distinzione tra questo romanzo e il primo, incentrato su Dostoevskij, è il fatto che Nori avesse scelto quest’ultimo per parlare di una figura centrale nella letteratura russa dell’Ottocento, raccontando la storia di un autore straordinario. Voleva fare lo stesso studio su una figura del Novecento, trovando però una motivazione diversa: “Ho scelto la storia di Achmatova perché le cose che le sono successe mi offendono e mi feriscono di più, perché sono cose contemporanee. Quando sono andato in Russia ho fatto una domanda a un mio conoscente russo, una domanda volutamente ingenua, ovvero il perché avessero arrestato e condannato Aleksej Naval’nyj, poiché secondo me quello che ha fatto è stato smascherare la corruzione; il mio amico mi ha guardato male. In quei giorni leggevo che quando chiedevano ad Achmatova, negli anni Trenta, perché arrestavano le persone, lei si arrabbiava e rispondeva: ‘Dovete capire che li arrestano per niente’. E questa cosa qua accade ancora oggi, purtroppo”.  

Nori parla anche della censura che lui stesso ha ricevuto da parte di un’università italiana, dopo aver ricevuto la proposta di fare quattro lezioni su Dostoevskij, ad inizio febbraio 2022, pochi giorni prima dello scoppio della guerra in Ucraina. “Due giorni prima di questo piccolo corso ad inizio marzo – spiega Nori – mi hanno mandato una mail per dirmi che per evitare tensioni era meglio sospendere queste lezioni. La sera ho fatto una diretta Instagram dove ho raccontato questa cosa, e il mattino dopo mi ha contattato il direttore di Gabinetto del presidente del Consiglio, dicendomi che il suo datore di lavoro era molto arrabbiato per quello che gli era successo e che in giornata l’avrebbe contattato anche la ministra dell’Università. Questa censura a me succede da sempre, ma in Russia leggere i libri proibiti è una cosa molto sentita”.

Conclude l’intervento precisando di come dopo quell’inconveniente abbia poi fatto “altre cento lezioni in università”, chiamato proprio a contrastare la censura che lui stesso aveva vissuto, e come sfrutti tutt’ora questa opportunità nel migliore dei modi: “Quando mi chiamano io credo che sia quello il momento giusto di dichiarare più che mai il mio amore per il popolo russo; penso siano delle persone straordinarie, per la cultura e per la letteratura russa, una lingua meravigliosa, e questo incidente mi ha dato la possibilità di farlo”.

di Beatrice Guaita

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