Papà

Sei ciò che colora le mie giornate grigie,
il sabato sera d’estate,
il messaggio della buonanotte,
il tramonto che mi calma,
la stanchezza dopo una bella giornata,
casa,
il buongiorno detto all’autista del pullman,
sei tutto ciò che mi solleva per un attimo
da un mondo
che ruota troppo veloce sotto ai miei piedi.

Con te ho imparato a stargli al passo,
a ridere delle mie cadute,
per poi rialzarmi e ricominciare la corsa.

Come quando scendo le scale scalza e al buio,
mi affaccio per guardare se sei ancora arrabbiato
e tu puntualmente mi fai un sorriso storto.
Mi siedo vicino a te a guardare il film,
prima incerta e ancora indispettita,
e poi abbracciata stretta e chiedendoti spiegazioni sul finale,
ché non li capisco mai i finali dei film che guardi tu.

Per te sono troppo grande per qualcosa
e troppo piccola per altro,
così rimango nell’immenso intervallo
tra l’inizio e la fine di due età
che tu non vuoi riconoscere.

Io sono grande,
l’ho capito quando non ti chiedevo più se potessi uscire,
ma ti dicevo direttamente “Io esco”
e tu mi chiedevi “Con chi?”
perché non ti ricordi mai i nomi delle mie amiche
ed io ridendo te li ripetevo per l’ennesima volta,
consapevole che li avresti dimenticati un secondo dopo.

Seduti sul divano
meno arrabbiati del solito
io più bassa e con un 28 di piede
tu con qualche capello bianco di meno,
facevamo “collo-collo”:
al “tre!” intrecciavamo il tuo collo con il mio
a formare una sorta di abbraccio
per poi concluderlo con le braccia
le mie sempre più corte delle tue.

Un po’ mi manca,
un po’ mi manchi.

di Marialuisa Berlino

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