L’istruttoria di Peter Weiss al Teatro Due di Parma

La Giornata della Memoria non è l’unico momento per ricordare gli orrori dei campi di concentramento: l’Istruttoria (opera in 11 canti) di Peter Weiss è stata messa in scena al Teatro Due per ricordarcelo e non dimenticare

L’istruttoria di Peter Weiss al Teatro Due di Parma (fonte: teatrodue.org)

Inizia con l’attesa lo spettacolo di Peter Weiss, che da ormai trent’anni viene messo in scena con le stesse modalità al Teatro Due di Parma. Un’attesa in piedi nell’atrio del Teatro che quasi spazientisce il pubblico che, se ancora digiuno dell’esperienza de L’istruttoria, si domanda il motivo dietro questa scelta. 

Solo in un secondo momento arriva la voce della maschera che, a mezzo tono, sentenzia: “Entriamo”.

Arrivato dietro le quinte, il pubblico si trova ad essere schiacciato nel piccolo spazio in cui si preparano gli attori: è buio, si è gli uni attaccati agli altri; tra una testa e l’altra lo spettatore cerca di riconoscere gli attori che si preparano alla messa in scena. 

Basata sugli appunti che Weiss prese durante i processi di Francoforte (1963-1965), l’Istruttoria, il cui titolo originale è Die Ermittlung, non mette in scena solo un racconto giuridico, quasi una cronaca del processo stesso, ma è, allo stesso tempo, un’indagine i cui protagonisti sono appunto i civili sopravvissuti agli orrori dei lager. 

Negli 11 canti che caratterizzano l’opera si susseguono un turbinio di voci, testimonianze, accuse da parte dei sopravvissuti e vani tentativi di difesa da parte degli aguzzini, mentre in sottofondo si susseguono le dolci note di un pianoforte sovrastate dalla voce del giudice che indice l’istruttoria e interroga i vari imputati.

Un momento dell’opera teatrale (fonte: teatrodue.org)

L’atmosfera grave è intensificata e ampliata dalla scenografia che si staglia sullo sfondo del palcoscenico. Gli stessi oggetti di scena diventano testimonianze che vengono portati al banco degli imputati come prova di quanto è accaduto e di quanto è stato vissuto e subito dai superstiti. Il via vai di personaggi (tra sopravvissuti e carnefici) si sussegue con ritmo serrato, le parole dei terribili racconti sono a tratti sussurrate, altre volte gridate: nel primo caso come per mantenere un riserbo su quanto è accaduto e farlo rimanere solo un lontano incubo; nel secondo, invece, la rabbia e la paura si mischiano ai ricordi che, urlati, trovano finalmente uno sfogo prima di scomparire dietro le quinte. 

C’è un unico momento in cui il pianoforte si zittisce completamente, e l’occhio di bue si ferma su di una figura il cui cappello ne nasconde la fisionomia. È una donna, chiamata a testimoniare sul suo vissuto nel lager che, spaventata, rimane ancora vicino all’ingresso del palcoscenico/tribunale. Il giudice la interroga, la invita a presentare la sua testimonianza che, all’inizio, esce in un sussurro poco percettibile; allora il giudice si alza e la porta davanti al pubblico, la sorregge mentre le parole tremanti, a poco a poco, diventano un fiume in piena che presenta gli orrori degli esperimenti umani che venivano condotti nei campi di concentramento.

L’istruttoria di Peter Weiss al Teatro Due (fonte: teatrodue.org)

Gli ultimi istanti dell’opera sono immersi nel fumo bianco e denso che si innalza dietro la scenografia: sono i forni crematoi da cui escono le fiamme dell’inferno nazista. La nuvola cresce di grandezza e solo quando inizia a farsi largo sul palcoscenico si spalancano le porte dei forni: fuori da esse vengono gettati i vestiti delle vittime. Il fumo si espande, la nuvola bianca inizia a riempire la sala e arriva al pubblico; l’atmosfera, già asfissiante per il racconto cui si è stati spettatori, diventa ancora più chiusa e opprimente. Cinque sedie per cinque personaggi impassibili rimangono sulla scena: il pianoforte ricomincia a suonare.

Il giudice si alza dalla propria sedia, ha in mano un mazzo di fiori bianchi.

“Usciamo”, queste le ultime parole che piovono come una sentenza.

Lo spettatore si alza e si incammina verso l’uscita. Chiuso nel suo silenzio, è accompagnato dal suono dolce del pianoforte. Gli viene consegnato un fiore bianco. Un simbolo, ma anche un monito: “ricorda quello che hai visto, pianta questo fiore in memoria di quanti sono stati uccisi dall’odio umano”.

di Erika V. Lanthaler

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