Credere l’impossibile. Sì, ma perché? Massimo Polidoro prova a spiegarcelo

Ospite della libreria Feltrinelli per la presentazione del suo nuovo libro lo psicologo, autore e divulgatore ci propone un rapido viaggio nei meccanismi con cui la nostra mente ama ingannare se stessa

“A volte riuscivo a credere anche a sei cose impossibili prima di colazione“. Secondo la Regina Rossa (in Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll) sarebbe solo questione di esercizio. Tenere in forma la propria mente è cosa meritevole, l’avevano capito già i filosofi dell’antica Roma, ma perché crediamo alle “cose impossibili”, spesso anche dopo colazione?

La domanda da tempo tormenta sociologi, antropologi e psicologi, soprattutto perché è una di quelle domande che non sembra avere una sola risposta: forse ne ha tante quante sono le persone, ognuna con la sua storia e il suo bagaglio di esperienze, unici e irripetibili. Ognuno di noi si porta dietro il proprio piccolo, personale tesoro di “cose impossibili” – o fake news, come ci piace chiamarle oggi – cui talvolta siamo particolarmente affezionati, tanto da non essere disposti ad abbandonarle con leggerezza, neppure di fronte a solide evidenze.

Eppure questo non significa che non ci siano dei meccanismi di fondo che condividiamo più o meno tutti. Ad offrirci una panoramica di quello che sappiamo riguardo questa bizzarria molto umana è Massimo Polidoro: psicologo, giornalista e scrittore, da sempre in prima linea nell’indagare misteri e altre ‘cose impossibili’. Durante la presentazione del suo ultimo libro (La scienza dell’incredibile – come si formano credenze e convinzioni e perché le peggiori non muoiono mai) presso la libreria La Feltrinelli di Parma, Polidoro – assieme al professor Alberto Saracco e alla professoressa Cecilia Rossi – ci accompagna in un breve viaggio in quelle curiose dinamiche della mente umana che ci portano a ingannarci da soli.

Tutto cominciò con l’umanità stessa, quando il nostro cervello sviluppò le sue peculiari capacità, sviluppandole però in un mondo in cui era più efficace reagire in fretta a ogni potenziale pericolo, anziché attardarsi a verificare sperimentalmente ogni possibile ipotesi sull’origine di quel fruscio nel folto dei cespugli. La nostra fascinazione per le spiegazioni più semplici e ovvie (e sbagliate) sembra derivare in larga misura da questo molto pragmatico istinto. Ma non è tutto.

“L’universo non è tenuto ad avere un senso per noi” ci ricorda l’astrofisico Neil deGrass Tyson. Cercare di capire la complessità del mondo che ci circonda richiede, come minimo, un certo sforzo intellettuale. Accontentarci della spiegazione più semplice e ovvia (e sbagliata) può dunque essere anche una questione di economia mentale: non siamo creduloni, siamo a risparmio energetico.

Anche il fascino di una bella storia non è da sottovalutare. Possiamo affezionarci a tal punto alle nostre favole preferite da essere disposti a molto pur di non rinunciarvi. Ancor più se queste favole le condividiamo con altri: diventano parte di noi, della nostra identità, del modo in cui ci sentiamo parte di un qualcosa di più grande e di più importante. In questo caso la situazione diventa molto più ingarbugliata, avviandosi verso quel lungo piano inclinato che sprofonda verso le vere e proprie sette, dove anche il suicidio collettivo diventa preferibile all’ammissione di essersi sbagliati.

L’hobby della Regina Rossa, se praticato senza un briciolo di consapevolezza, può non essere così innocuo come sembra.

L’ora d’incontro passa in fretta, e non si può certo riassumere un argomento così ampio in un semplice articolo. Forse non basta neppure un intero libro. Però da qualche parte bisogna pur cominciare, e se la Regina Rossa faceva un vanto della sua capacità di credere a sei cose impossibili, idea migliore potrebbe essere allenarci – magari con un buon libro – a non cadere nelle sottili trappole della nostra stessa mente. Né prima né dopo colazione.

di Giovanni Perini

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