Cocainorso: Narco-degradazione ambientale

Il mercato della droga che uccide l'orso, l'uomo e l'ambiente non si ferma: 2000 tonnellate prodotte ogni anno

La locandina di Cocainorso (fonte: lospeciale.it)

Vi siete mai trovati la domenica sera a condividere la poltrona o il letto con un coinquilino/a e vedere un film, per passare la serata a casa nel chill? Quella volta in cui, finita la visione, vi girate l’un l’altro ed esclamate insieme: “zì, menomale che non siamo andati al cinema, soldi buttati”. È quello che potrebbe succedere conclusa la visione di Cocainorso.  

È una pellicola di Elizabeth Banks (attrice e produttrice cinematografica statunitense), che riprende un fatto realmente accaduto nel 1985 in Georgia (Stati Uniti): un orso bruno fu ritrovato morto a causa di un’overdose di cocaina, ma senza attaccare né uccidere nessuno. Su questo episodio si è poi venuta a creare una leggenda metropolitana e l’orso fu chiamato Pablo Escobear. 

Una sniffata sulla trama

L’amico (della foresta) entra in “possesso” del carico di droga a causa di un incidente aereo che vede coinvolto il trafficante Andrew C. Thornton II. Questi tenta di paracadutarsi nella foresta nazionale di Chattahoochee-Oconee, ma una volta gettato tutto il carico, finisce per perdere i sensi e cadere dall’aereo. Parte così la caccia per trovare il bottino di “polvere magica” dal valore di 15 milioni di dollari. St. Louis Syd White è probabilmente il vero proprietario del carico. Questi assegna al suo faccendiere Daveed il compito di recuperarla, in compagnia di Eddie, figlio di Syd, depresso a causa della morte di sua moglie. Ma quello che sembrava un gioco da ragazzi, si rivela essere una sfida contro la morte. 

Lo scenario splatter è sempre dietro il cespuglio. Budella, crani e arti mangiati rendono thriller, quello che si direbbe un film comedy, non adatto ai sensibili di stomaco.   

L’orso è in uno stato di dipendenza maniacale ed è pronto ad uccidere tutti coloro che si aggirano nel suo territorio, a maggior ragione se son lì per sottrargli la “neve”.

Ma come fa un orso a tirarsi di coca? Semplice, non lo fa: ingerisce interi panetti come se fossero vasetti di miele. L’effetto risulta essere però completamente diverso da animale a uomo: quando Henry e Dee Dee (due bambini che marinano la scuola) trovano un panetto e si sfidano a strafarsi, mangiando lo zucchero (non) filato, non sembrano ricevere alcuna reazione collaterale.   

Questo non vuol dire che possiamo mangiare droga raffinata per addolcire il nostro caffè o per insaporire il nostro piatto di pasta come se fosse parmigiano. L’alcaloide che si ottiene dalle foglie della Erythroxylum coca crea dipendenza. L’assunzione eccesiva o prolungata, nel migliore dei casi, può provocare allucinazioni e deliri paranoici; nel peggiore dei casi, può sopraggiungere un infarto miocardico acuto o blocco respiratorio conseguente a paralisi muscolare, e quindi la morte

Narcotraffico e impatto ambientale

© Mario Tama/Getty Images (fonte: taxidrivers.it)

L’uomo, da quando ha scoperto che può alterare i propri sensi con sostanze stupefacenti, non si è fatto scrupoli e ne è diventato dipendente, fino ad abusarne. Ogni anno vengono prodotte 2000 tonnellate di cocaina e circa 700 vengono destinate al mercato europeo. Secondo uno studio condotto dell’Agenzia europea delle droghe, l’Italia è il quarto paese (Ue) per uso di cocaina. Inoltre, nell’ultimo anno si registra un aumento dei decessi per overdose, soprattutto nel Regno Unito che, se si guarda al tasso nell’arco della vita, detiene il primato con il 9,7%. 

Un altro nodo cruciale riguarda il narcotraffico: motore centrale della perdita della biodiversità. A causa della deforestazione di habitat naturali del Sudamerica e America Centrale, che vengono sfruttati per la coltivazione della bamba, nel 2020 sono spariti quasi 13.000 ettari di foreste. La produzione della pasta di coca porta poi al rilascio di diverse sostanze chimiche e tossiche in ambiente e soprattutto nei fiumi si trovano tracce di acido solforico, acetone e benzina. 

Nel 1994 era iniziata la cosiddetta “guerra alla droga” che prevedeva l’irrorazione aerea di veleni per distruggere le coltivazioni di coca. Questa pratica, finanziata dagli Stati Uniti, è stata però vietata nel 2015, a causa del documento “ruolo dei veleni” che, inquinando il sottosuolo, andava a danneggiare l’alimentazione delle popolazioni indigene del territorio con il rischio di generare patologie tumorali.  

La lotta si è pertanto spostata in campo giudiziario. Il focus riguarda il proibizionismo e la repressione attraverso le forze di polizia. I risultati raggiunti sono stati misurati in base agli arresti e ai carichi di droga sequestrati. Ma i mezzi hanno evidenziato varie criticità nel sistema utilizzato. Le organizzazioni criminali si sono rafforzate e ad un aumento delle azioni da parte delle forze dell’ordine è corrisposto, nel 91% dei casi, un incremento nell’uso della violenza da parte dei narcotrafficanti. Nonostante tutte le accortezze legislative, non si è registrata né una diminuzione dei consumi né una sconfitta di chi alimenta questo business. Anzi, a causa della legge n. 40/2006, cosiddetta Fini-Giovanardi (annullamento della distinzione tra droghe leggere e pesanti), si è venuto a creare un sovraffollamento delle carceri italiane.  

Siamo di fronte a una vera e propria minaccia, e questo per cosa? Per produrre una sostanza che uccide. Proteggiamo il nostro pianeta e proteggiamo il nostro futuro, perché continuando in questa direzione rischiamo di ridurci tutti in polvere, non bianca, ma cenere. 

di Pier Giorgio Tumminia

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