Quando i genitori uccidono i figli: dal caso di Federico Barakat ad oggi

Probabilmente non esiste niente di più innaturale di un genitore che toglie la vita al proprio figlio, un crimine terribile commesso principalmente per la sete di vendetta nei confronti dell'ex partner. Le statistiche dimostrano che il fenomeno è molto più diffuso di quello che crediamo. Intervista alla professoressa Nadia Monacelli dell'Università di Parma

Dal delitto di Cogne a quello di Mesenzana, i casi di cronaca continuano a raccontare di figli uccisi da genitori: in media ogni due settimane, in Italia, un genitore uccide un figlio. Secondo Skytg24, in vent’anni sono stati uccisi 480 bambini per mano dei genitori e solitamente si tratta di bambini con meno di 12 anni. Nella maggior parte dei casi l’autore dei figlicidi è il padre, ma il rapporto si capovolge nella fascia 0-5 anni. Le madri, infatti, si macchiano della quasi totalità degli infanticidi. In questi casi, la causa principale è lo stato di forte stress che segue il parto. Nelle dinamiche alla base degli eventi delittuosi che coinvolgono i figli hanno un peso rilevante i cosiddetti “omicidi del possesso” e, in questi casi, riguardano quasi esclusivamente gli uomini.

Alcuni casi della cronaca recente

A Mesenzana, nel marzo 2022, Andrea Rossin si è tolto la vita dopo aver ucciso nel sonno i suoi due figli di 13 e 7 anni. A ritrovare i cadaveri è stata la madre dei ragazzi. I genitori delle due vittime erano in fase di separazione.

Davide Paitoni, a gennaio 2022, ha ucciso il figlio di 7 anni. L’uomo, originario di Varese, dopo l’omicidio, ha cercato di uccidere anche la moglie, dalla quale si stava separando. L’uomo era stato denunciato più volte dalla ex moglie per lesioni e stava scontando ai domiciliari la pena per tentato omicidio nei confronti di una ex collega.

Ad ottobre 2021, due bambine di origini cingalesi di 3 e 11 anni sono state ritrovate senza vita nella loro stanza, in una casa di accoglienza, a Verona. A togliere la vita alle due è stata la madre che subito dopo si è suicidata. Le tre vivevano nella casa di accoglienza da poco meno di un anno a seguito di un provvedimento di allontanamento dalla dimora familiare deciso dal Tribunale dei minori di Venezia. Una decisione arrivata a seguito di comportamenti violenti da parte del padre.

A Ferrara, il 17 giugno 2021, i carabinieri ritrovano il cadavere di un bambino di un anno ucciso dalla madre che viveva una condizione di fragilità psichica.

Patrizia Coluzzi, a marzo 2021, ha ucciso la figlia Edith di 2 anni nella loro casa di Cisliano. In seguito al figlicidio, la donna ha tentato di togliersi la vita. Coluzzi non accettava la separazione dall’ex marito e avrebbe agito per vendetta.

Andrea aveva 11 anni ed è stato ucciso da suo padre, Claudio Baima Poma, con un colpo di pistola. Il figlicidio è avvenuto a Rivara, nel settembre 2020 e subito dopo l’uomo si è suicidato. Secondo gli psichiatri, Claudio Baima Poma avrebbe compiuto quel gesto per infliggere all’ex compagna il dolore più atroce: privarla del figlio.

Tra i casi più noti e ripresi dai media c’è poi quello del novembre 2014, a Ragusa. Loris Stival viene trovato in un canalone, a 4 chilometri dalla scuola che frequentava. La madre, Veronica Panarello, ne aveva denunciato la scomparsa qualche ora prima. Panarello sta scontando una pena di 30 anni.

Federico Barakat, ucciso durante un incontro protetto

Purtroppo, la lista è ancora molto lunga. Vale la pena soffermarsi su un altro caso, quello di Federico Barakat.

Federico Barakat, da Fanpage

Federico Barakat era figlio di Mohamed Barakat e Antonella Penati. La donna aveva più volte denunciato le violenze e l’aggressività del marito, cercando di proteggere il figlio: il totale delle denunce per maltrattamenti e minacce ammonta a diciassette. Nonostante questo, le assistenti sociali davano la possibilità a Mohamed Barakat di incontrare il piccolo Federico nella casa protetta della Asl di San Donato Milanese. Inutili gli appelli disperati della madre che chiedeva la sospensione degli incontri. Lo stesso Federico, di soli 9 anni, non voleva avere rapporti con il padre e aveva espresso la volontà di parlare con il giudice per manifestare i suoi timori. Antonella Penati era stata accusata di essere isterica, alienante e iperprotettiva, ma tutte le sue paure erano fondate. Il 25 febbraio del 2009, durante uno degli incontri, l’uomo uccise il piccolo Federico con tre colpi di pistola e diverse coltellate, prima di togliersi la vita. Al momento dell’incontro non erano presenti le figure preposte al controllo.

Dario Fo aveva così commentato l’accaduto: “Federico Barakat, figlio di Antonella Penati, è il primo bambino in Italia ucciso in ambito protetto, cioè in un luogo dove persone sicure scelte dallo Stato si impegnano a fare in modo che un minore non riceva offesa fisica o morale”.

In seguito, al figlicidio è iniziato il processo, conclusosi nel gennaio 2015 con l’assoluzione definitiva della Cassazione per le due assistenti sociali e l’educatore che erano stati accusati di non essere state in grado di proteggere il piccolo dalla pericolosità del padre. Secondo i giudici, l’omicidio non era prevedibile. Come riporta il Corriere, anche la Corte Europea dei diritti umani, lo scorso maggio, ha confermato questa linea e ha respinto il ricorso di Antonella Penati.

<Ho chiesto alla Grande Camera della Cedu – aveva affermato la donna – di riaprire il caso di mio figlio Federico per dare modo agli Stati membri di prendere in visione il fascicolo, anche relativamente alla fase di giudizio e invece la sentenza della Cedu stabilisce proprio il contrario: lo Stato non garantisce l’incolumità del minore durante gli incontri protetti. Quella della Corte Europea dei diritti umani è una decisione scandalosa>.

Il parere della professoressa Monacelli

Con la professoressa Nadia Monacelli, docente di psicologia dei conflitti e della violenza familiare all’Università di Parma, si prova a comprendere cosa spinge un genitore a porre fine alla vita del proprio figlio.

“È molto importante parlare di Federico Barakat – afferma – per renderlo il capostipite di una problematica che ancora oggi attanaglia il nostro Paese. Questo caso rientra nella categoria dei figli uccisi nell’ambito di una relazione violenta tra i genitori. Quello che è venuto meno è il riconoscimento del fattore di rischio, perché il padre esercitava già violenza sulla madre. Questo è un tema molto specifico ed è un problema serissimo”.

Il figlicidio è un aspetto completamente trascurato quando si parla di violenza sulle donne. “Basti pensare – prosegue Monacelli – che, tra novembre 2021 e gennaio 2022 abbiamo avuto, in Italia, tre casi di questo tipo, avvenuti a Viterbo, Sassuolo e Varese. In questi tre casi, le denunce delle violenze subite dalla madre dei bambini non hanno comportato una limitazione dei contatti tra padre e figlio, come se il fatto di agire violenza sulla madre non avesse ripercussioni sull’incolumità del bambino”.

Come avvenuto nel caso di Antonella Penati, anche quando le donne riescono a denunciare non vengono ascoltate a sufficienza dalle istituzioni.

“Se il figlio – conclude ‒ non è bersaglio diretto degli atti violenti, allora è salvo. Ma in realtà non è così. Nella maggior parte dei casi, la violenza esercitata dall’uomo sulla donna non è mai finalizzata all’uccisione, perché è un bisogno di controllo. Il femminicidio avviene quando la donna si svincola da questo rapporto, l’uccisione è il gesto estremo di questo controllo. I figli risentono di questa logica. Se l’uomo non ha più il controllo e non è disposto a perdere la donna uccidendola, decide di farle del male”.

Le statistiche e i fatti di cronaca ci suggeriscono che la situazione è allarmante. Ancora una volta, è importante prestare maggiore attenzione alle denunce delle vittime di violenza. Per una donna è estremamente difficile denunciare il suo carnefice e quando questo avviene bisogna tutelare maggiormente i figli. La storia recente dimostra che se un uomo è violento con la propria compagna, nella maggior parte dei casi lo sarà anche con il figlio. Per quanto concerne le donne, invece, la maggior parte degli infanticidi avvengono in seguito alle perturbazioni che seguono il parto. In questi casi, la madre dovrebbe essere accompagnata nel delicato percorso che segue la nascita del proprio figlio.

di Laura Ruggiero

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*