Vivere con una malattia rara: le storie di Sara e Veronica e di come i loro cani abbiano cambiato le loro vite

"Il diverso non è diverso, è semplicemente sconosciuto". Vivere con una malattia rara può essere molto difficile, non solo per la patologia ma per come gli altri ti vedono e non ti comprendono. Grazie all'aiuto degli animali queste due ragazze hanno trovato la loro serenità e si raccontano: "Il bello del viaggio è essere su queste montagne russe e vivere le emozioni con intensità come fanno i miei cani"

Una malattia si può definire “rara” quando il numero di casi presenti, in Europa, non supera lo  0,05 per cento della popolazione, cioè  non più di 1 caso ogni 2mila persone. Fino ad oggi, il numero di malattie rare conosciute e diagnosticate è di circa 10mila, ma è una cifra che continua a crescere con l’avanzare delle conoscenze scientifiche e, in particolare, con i progressi della ricerca genetica.

Secondo la rete Orphanet Italia, i malati rari nel nostro Paese sono circa 2 milioni. La vita di queste persone non è facile: spesso la diagnosi della loro malattia è alquanto difficoltosa e si giunge ad una definizione corretta della patologia dopo anni e i ricoveri ospedalieri sono molto frequenti. Non sempre, inoltre, l’ambiente nel quale vive la persona affetta da malattia rara è in grado di comprenderla, accoglierla e capirla nel modo adeguato e quindi la routine quotidiana si complica invece che alleggerirsi.

Spesso chi è affetto da malattia rara o disabilità, oltre alle difficoltà portate dalla patologia, deve affrontare anche un altro grande ostacolo, l’abilismo: la discriminazione nei confronti dei disabili e, più in generale, il presupporre che tutte le persone abbiano un corpo abile. La disabilità viene vista come un difetto anziché come un aspetto della varietà umana, quindi ciò che si allontana dalla normalità è visto come inferiore, negativo e con meno valore.

In alcuni casi, queste persone decidono con consapevolezza di arricchire la propria vita circondandosi di animali e il rapporto che si instaura diventa veramente speciale.

La storia di Veronica affetta da pseudo ostruzione intestinale cronica

Veronica è una giovane donna di 30 anni, affetta da una malattia rara alquanto invalidante. “Sono affetta da una patologia rara denominata pseudo ostruzione intestinale cronica. – racconta – Questa malattia mi ha portato nel tempo a non poter mangiare più e a bere raramente sorsi di acqua che spesso mi creano disturbi. Per questo motivo, non potendomi nutrire per via orale, ho necessità di una nutrizione artificiale detta  nutrizione parenterale”.

Prima di poter arrivare alla diagnosi corretta della malattia sono passati molti anni. “Purtroppo ho subito molte sofferenze sia a livello fisico che psicologico. – continua Veronica – Per anni non sono stata creduta da nessun medico: venivo accusata di essere io stessa la causa dei miei mali, una sorta di malata immaginaria. Fortunatamente nel 2019 sono approdata al Sant’Orsola di Bologna e qui hanno finalmente dato un nome alla mia patologia. L’accettazione della mia ‘nuova vita’, però, non è avvenuta subito”.

Veronica racconta di aver passato un periodo di depressione ma grazie all’amore ne è uscita. “Molti si sono spaventati per la mia situazione e nel corso degli anni sono rimasta sola, fatta eccezione di poche persone che tuttora mi sono vicine. Inoltre, la maggior parte dei riti sociali si basano sul cibo e sul bere. Spesso venivo esclusa a priori, non invitata a partecipare agli incontri perché tanto io non potevo mangiare e quindi mettevo tutti a disagio. Fortunatamente nel corso della mia vita ho avuto il privilegio di conoscere un ragazzo con  la mia stessa patologia che si è rivelato una delle persone più importanti e più belle in assoluto. Si chiama Dario e mi ha aiutato a cambiare completamente il mio modo di vivere. Andiamo spesso a concerti, al mare, al cinema e alle mostre. Insomma non stiamo mai fermi! Ed è bello perché grazie a lui sono uscita dall’auto isolamento nel quale mi ero rifugiata. E finalmente sono tornata a vivere.  La mia malattia mi procura dei limiti, ma questo non deve fermare il prossimo nel conoscerti o nel frequentarti come persona. Non mi ritengo diversa da nessun’altra persona ‘sana’, anche se ho molteplici difficoltà giornaliere”.

Negli anni Veronica ha adottato due cani. “Ho sempre avuto cani sin da bambina. Mi ricordo la mia prima cagnolina, Sasha: avevo circa 8 anni quando la prendemmo. È stata con me fino all’età di 24 anni. L’ho sempre considerata come una sorellina. Nel 2014 ho passato un periodo molto stressante e pesante e mi fu consigliato, per alleviare un po’ il tutto, di circondarmi di animali. E così ho adottato Rudy da una cucciolata e tuttora è qui con me. È un cane molto vivace, ma siamo molto legati e nei momenti più brutti mi strappa sempre un sorriso. Mi ricordo quando ritornavo a casa dai miei lunghi ricoveri e lui mi saltava addosso! Mi stava così attaccato che non mi mollava più! A gennaio ho deciso di adottare un altro cane e così ho portato a casa Carina. Fa compagnia a Rudy e a me. Ormai sono inseparabili, giocano sempre insieme e non possono fare a meno l’uno dell’altra. Per quanto riguarda me, riempiono le mie giornate e soprattutto quando mi trovo sola a casa mi fanno compagnia Spesso giochiamo e balliamo insieme. Avere degli animali è un impegno enorme, però l’amore che ti sanno dare non te lo da nessuno. Sanno amarti incondizionatamente e per loro non esiste nessuna diversità. Ti amano e basta”.

Veronica ha anche diversi tatuaggi sul suo corpo che la rappresentano. “Amo i tatuaggi, sono la mia passione e non saprei vedermi senza. Alcuni tatuaggi hanno significati molto importanti per me: per esempio ho alcuni tatuaggi dedicati a mia nonna, una persona molto importante nella mia vita, purtroppo scomparsa 6 anni fa. Altri invece rappresentano le mie passioni, come la musica e il cinema. Altri ancora rappresentano un po’ il mio essere e i miei gusti. La pantera nera sul collo rappresenta la mia ‘aggressività’ e forza di vivere. Il non mollare mai”.

La storia di Sara affetta da XLH

Sara è un’altra giovane donna che non molla mai e la cui vita è migliorata proprio grazie al rapporto con gli animali. E’ affetta da una malattia rara che si chiama XLH i cui principali sintomi comprendono ossa deboli, sottili e incurvate e anomalie articolari. Questo non l’ha certo fermata. Dopo la laurea in ingegneria, ha lavorato in Svizzera in un piccolo studio. L’ingegnere capo, oltre ad essere un uomo molto appassionato del suo lavoro ed essere un bravo mentore, aveva un meraviglioso cane che portava in ufficio. Sara prese coraggio e chiese il permesso di portare in ufficio la sua cagnolina Kelly due volte alla settimana, in modo da poterla portare a fare agility al campo cinofilo vicino al suo studio, dopo l’orario di lavoro. Permesso accordato. Morale della favola: ha smesso di fare l’ingegnere, ma prima di iniziare la sua attività come istruttrice cinofila ed esperta in problemi comportamentali degli animali d’affezione ha dovuto studiare tanto. Nel frattempo, per sostenersi da un punto di vista economico, ha aperto diverse videoteche automatiche. Una volta conclusi gli studi, ha deciso di chiudere le sue videoteche per tuffarsi nella sua passione ed aprire un campo cinofilo tutto suo.

“Da un punto di vista economico, la mia carriera è andata verso una riduzione delle entrate, ma adesso, alla mattina, mi sveglio con la voglia di lavorare nonostante le difficoltà. Mi piace definirmi una traduttrice dal ‘canese’ all’ ‘umano’: aiuto i proprietari ad entrare in una nuova relazione con i propri cani e questo mi dà una soddisfazione incredibile. Tra i miei vari hobby, amo fare i cosmetici. Quando faccio un’emulsione, c’è un momento magico nel quale gli ingredienti si uniscono e prendono una nuova consistenza, perfetta. Un po’ come quando tra cane e proprietario si crea una giusta intesa. Amo le trasformazioni, non ho paura di cambiare: mi piace rimescolare le cose”

“Io sono una combattente per natura. – continua Sara – Nel 2004 ho deciso di interrompere le gare con i cani perché ero troppo competitiva e i cani ne risentivano. Quando mi sono resa conto che il cane percepiva la mia tensione, ho smesso perché Kelly non si divertiva. Questo me lo ha insegnato questa stupenda cagnolina. Ho avuto l’onestà di accettare questo “no” da parte del cane e questo mi ha aiutato ad essere una istruttrice cinofila migliore. E’ stato importante imparare a leggere la comunicazione del cane e questo è molto arricchente. Gli animali comunicano in modo molto chiaro a tutti, ma non tutti lo vogliono ascoltare”.

Oggi Sara condivide la sua vita con un altro meraviglioso cane dal nome Obi Khan Kenobi che “riconosce circa 50 giochi con i nomi perché ho fatto parecchio lavoro sulla discriminazione degli oggetti”.

In tutto questo tuttavia “la mia malattia c’è da sempre, è una costante della mia vita fin dalla nascita. E’ bene parlare di una malattia rara: il diverso non è diverso, è semplicemente sconosciuto. Per me uno dei modi di presentarmi con la mia diversità è anche attraverso il lavoro con i cani. Una cliente mi ha detto “Pensavo fossi più alta” e io le ho detto “Pensavo fossi più giovane”. L’idea costante è che un certo tipo di fisico deve essere contenitore di un certo tipo di personalità, ma la verità è che l’immagine non corrisponde sempre a quello che è dentro una persona. La diversità o la persona che non rientra in un determinato canone provoca una barriera. Dovremmo accettare il fatto che siamo tutti variegati. Siamo tutti diversi”.

“Io ho una malattia rara e nella mia famiglia sono una capostipite, – racconta – cioè la prima dopo tantissimi anni ad avere manifestato la patologia. Un allevatore che seleziona cani brachicefali, come i Bulldog francesi, sa di selezionare un animale che avrà delle difficoltà fisiche congenite e questo mi fa dispiacere perché, come persona affetta da una malattia genetica, so che sarà un animale che soffrirà a vita”.  

“Il mio cane è per me come guardare l’orizzonte e valorizzare il tempo. La malattia mi ha insegnato che oggi posso fare una cosa, ma domani non so se la potrò fare. Fisicamente non so se domani mi potrò alzare. Cerco di vivere nel qui ed ora. La prima volta che non ho potuto mettere i piedi per terra avevo quattro anni e mezzo”.  

“Il bello del viaggio è essere su queste montagne russe, stare sulla cresta dell’onda e prendere tutto quello che arriva, vivendo ogni emozione con intensità. Un po’ come fanno i miei adorati cani”.  

di Gemma Ventre

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