Alessia Piperno racconta il dramma e la paura della prigionia in Iran

Nel nuovo programma su Rai3 di Serena Bortone, Chesarà, la travel blogger italiana incarcerata per 45 giorni in Iran ricorda l'inferno vissuto e la tragedia che vivono le donne in Iran

Fonte: profilo Instagram di Alessia Piperno

Era stata imprigionata nel carcere di Evin durante il suo viaggio in Iran e dopo il suo compleanno, il 28 settembre 2022, si erano perse completamente le sue tracce. Dopo quattro giorni dalla sua scomparsa, suo padre, chiamato da un numero sconosciuto, sente sua figlia scossa e impaurita che chiedeva di essere aiutata. Da quel momento la Farnesina, l’ambasciata italiana a Teheran e l’Ue iniziano le lunghe trattative che portano alla liberazione della giovane italiana, avvenuta il 10 novembre 2022.

Questa è la storia di Alessia Piperno, anche conosciuta su Instagram come @travel.adventure.freedom, una travel blogger italiana che ha passato sette anni in viaggio alla scoperta del mondo. La ragazza si trovava nel paese mediorientale ormai da due mesi e aveva conosciuto diversi ragazzi stranieri e del posto. Il giorno del suo compleanno, si stava recando proprio con questi ultimi in una escape room, per passare il suo compleanno in compagnia. Arrivati lì però, erano stati circondati da un gruppo di uomini, inizialmente scambiati da Piperno come membri del gioco, poi identificati come dei rapitori e infine rivelatisi membri della polizia o dei servizi segreti.

Da quel momento inizia il vero e proprio incubo per Alessia, che viene imprigionata nel carcere di Evin, a Nord di Teheran, nella sezione dedicati ai prigionieri politici. Urla, dolore, fame, sete e tranquillanti, queste sono le parole che possono sintetizzare la sua esperienza durata 45 giorni, fino al momento della sua liberazione.

Da quando sono tornata ho temuto per la mia sicurezza, più per il senso di paranoia che ti contagia quando sei in Iran. Avevo paura che se avessi parlato, avrebbero fatto male alla mia famiglia. Mi sono presa questi dodici mesi per riprendermi come persona a livello mentale e fisico” racconta Piperno a la Repubblica.

Adesso Alessia si sente pronta a parlare della sua situazione e ha scritto un libro, intitolato Azadi, ovvero libertà in lingua urdu; uno strumento che le ha permesso di elaborare ciò che le è accaduto e che rappresenta un attestato di stima e rispetto per tutti i suoi compagni rimasti nella prigione, ai quali aveva promesso di raccontare le loro storie una volta libera. Oltre a sfogarsi nelle pagine di questo libro, è stata intervistata in diverse occasioni dalle principali testate giornalistiche, ma un’intervista in particolare ha colpito la nostra attenzione, ovvero quella rilasciata sabato 30 settembre su Rai 3 nel nuovo programma di Serena Bortone, chesarà…

Alessia Piperno

“Penso a quei quarantacinque giorni ogni giorno”

“È passato un anno, ma ad oggi posso dire che sto bene. Penso a quei quarantacinque giorni ogni giorno, fa parte di me ormai, ma ci penso come un incubo che è finito per me e che purtroppo non è finito per tantissime altre persone” esordisce così Alessia Piperno nella sua prima intervista televisiva, dopo un piccolo servizio mandato in onda che sintetizza la sua storia.

Serena Bortone racconta dell’arrivo all’escape room e della presenza dei poliziotti in borghese: “Essendo il tema dell’escape room guardie e ladri pensavi che facessero parte del gioco, quando hai capito che la situazione era seria?” domanda la presentatrice. “All’inizio ci hanno chiuso in macchina e non rispondevano alle nostre domande, poi hanno preso i nostri zaini dall’ostello e lì ho capito che tutto ciò non potesse far parte del gioco. Ad un certo punto un uomo ci ha detto che ci avrebbero portato in commissariato per farci qualche domande, ma che sarebbe durato poco” risponde Piperno.

Tutto ciò è avvenuto durante le proteste in favore di Mahsa Amini, ragazza giustiziata per non aver indossato correttamente l’hijab. Alessia aveva effettivamente pubblicato dei post in cui dichiarava solidarietà alla ragazza, alla sua famiglia e alle donne iraniane.

“La sezione in cui vi trovavate nel carcere di Evin è anche chiamata l’Università, a causa della presenza di diversi intellettuali, giornalisti e prigionieri politici” precisa Bortone, che poi lascia descrivere alla sua intervistata le condizioni in cui le persone lì imprigionate vivevano. “Non avevamo un letto, solo una coperta e la cella era minuscola, essendo una cella per l’isolamento. Dopo qualche giorno sono arrivate altre ragazze, per un massimo di sei, e non avevamo altro se non questa coperta e la luce accesa ventiquattro ore su ventiquattro” racconta Alessia Piperno.

Alla domande della presentatrice: “Come facevi a non impazzire?”, la ragazza risponde con un secco: “Impazzivi!“. “C’erano sempre urla, di dolore o di tristezza e dopo un po’ si imparava a distinguerle. Non ci davano acqua, potevamo bere quella del rubinetto, che ovviamente non era potabile. Ci davano delle pasticche, soprattutto di sera, in base al nostro stato di agitazione, ma non abbiamo mai capito se fossero tranquillanti, psicofarmaci o altro” racconta Alessia.

“Ad un certo punto capisci che una certa canzone era usata e trasmessa per coprire le urla delle torture, come lo hai capito?”, chiede Bortone. Piperno spiega che solitamente dall’altoparlante presente nel corridoio veniva trasmessa la preghiera da recitare tre volte al giorno in carcere, ma quando qualcuno veniva torturato veniva fatta risuonare una radio non sincronizzata. “Le donne solitamente venivano arrestate e menate di notte, magari mentre dormivano con i propri figli, per poi essere portate via con la forza” racconta.

La travel blogger romana però non era sola, con lei aveva una mano, creata con fazzoletti di carta, dentifricio e acqua, che rappresentava la mano di sua madre. Un elemento toccante, raccontato con gli occhi lucidi, che ha commosso il pubblico in studio e a casa.

Hai avuto paura di morire?“, chiede Bortone. Piperno risponde: “Sì, due volte. La prima volta quando mi hanno arrestata, perché avendomi messo un sacco in testa pensavo che mi avrebbero sparato. La seconda volta quando ci sono state le proteste e gli spari nel carcere, la sera che da voi viene chiamata ‘la sera dell’incendio’, che in realtà è solo una copertura”.

L’intervista si conclude tra le lacrime di Alessia Piperno che ascolta le note di Bella Ciao, il canto usato dalle donne iraniane nelle proteste contro il regime. “Per un po’ non sono riuscita a riascoltarla, mi ricordava quando la cantavo con le mie compagne, adesso mette sempre i brividi” conclude.

La storia di Alessia è la storia di tante altre persone che non hanno però avuto la sua stessa fortuna, continuano a soffrire la fame e la sete tutti i giorni, subiscono violenze e vivono in maniera disumana, non avendo la possibilità di riabbracciare i propri cari.

Mettere un faro su questa storia è l’unica cosa che possiamo fare per ricordare il destino crudele di tantissime donne iraniane, uccise o picchiate solo per aver espresso il proprio desiderio di libertà nelle strade o sui social.

di Gabriele Scarcia

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