Burqa Queen: il libro urticante di Barbara Schiavulli

Diritti civili negati alle donne in Afghanistan: la voce della reporter di guerra che racconta la grave crisi umanitaria

L’assessorato alla Cultura del Comune di Parma, il 5 ottobre, presso il Palazzo del Governatore, ha organizzato l’incontro “I diritti negati alle donne afgane” con la giornalista e scrittrice Barbara Schiavulli. 

Portavoce delle donne nelle zone di guerra, in particolar modo dell’Afghanistan, Schiavulli è riuscita a salvare la vita a decine di donne afgane. Di queste, tre sono le protagoniste del suo nuovo libro Burqa Queen: Layla, Faruz e Farida, rispettivamente una giovane sposa, un’ex poliziotta e un’ex insegnante. Soprattutto in Afghanistan, le donne vivono in condizioni surreali, o più correttamente sopravvivono in speranza che prima o poi qualcuno le possa salvare.

Il libro nasce perché io vado in posti dove sono giornalisticamente arrabbiata, quindi basta, smetto di scrivere quello che sto scrivendo e parlo di storie talmente forti, potenti e violente, che sono loro a raccontarsi attraverso me. Loro mi hanno usata e adesso io uso voi, perché voglio che vi arrabbiate come ho fatto io. Ogni pagina deve essere così fastidiosa che non deve farvi pensare ad altro”.   

Schiavulli già a 13 anni voleva fare la giornalista di guerra. Voleva rinunciare alla violenza, ai soprusi, era già perfettamente cosciente che sarebbe stato il suo posto nel mondo, la sua guerra.

Raccontare i fatti dal luogo in cui avvengono, per la giornalista, non è mai stato un lavoro, ma un privilegio. Così, da freelance, collabora con la BBC, scrive per la maggior parte dei quotidiani italiani (tra i quali La Stampa, la Repubblica, Il Messaggero, Il Mattino) e ha fondato Radio Bullets. Si è dovuta creare un proprio spazio giornalistico in cui potesse pubblicare tutte quelle storie “proiettile” che non sarebbero mai finite in prima pagina nelle grandi testate. 

“Ai quotidiani italiani non interessa fare un tipo di giornalismo d’informazione sulle cose serie, una volta sono finita in prima pagina su Repubblica per la storia di una tiktoker afgana – racconta con un sorriso amaro ai presenti – Se non sono sui giornali, il mio unico modo di far sentire queste storie è tramite le mie presentazioni come quella di oggi. Burqa Queen non va sui giornali perché dà fastidio, è più facile pubblicare cose stupide”.

Barbara Schiavulli al Palazzo del Governatore di Parma per la presentazione del suo nuovo libro Burqa Queen (foto da profilo Facebook Barbara Schiavulli)

“La guerra la fa soprattutto chi la subisce” 

L’autrice vive l’Afghanistan dal 2001 ed è il posto a cui è più affezionata. Nel tempo questo paese l’ha cambiata e si è resa conto che non le bastava più essere lì mentre accadeva qualcosa. Durante il racconto, in un crescendo di storie, ha dato vita a una nuova narrazione: c’era un mondo che non veniva contemplato, quello delle donne. 

Lo status sociale delle donne non veniva esplorato dai giornalisti, perché agli uomini non era e non è possibile averne accesso. Per questo, dal racconto dei soldati, dei patti politici e delle condizioni economiche, Schiavulli ha capito che tipo di giornalista voleva essere e che l’Afghanistan era la sua “terra gemella”. 

Nelle grandi città, soprattutto dal 2001, le donne iniziano a credere a ciò che la società occidentale diceva loro: di non essere sottomesse e subire violenze solo perché donne, ma di sentirsi libere di esprimersi, studiare e lavorare. Pertanto, si formano giovani imprenditrici, giuriste, giornaliste, artiste, ecc. Ma la guerra continua e i talebani non hanno intenzione di fermarsi. 

In Afghanistan l’età media è di 45 anni, quindi c’è gente che non ha mai vissuto giorni di pace. Chi fa la guerra non la fa per aiutare le persone, ma per scopi nascosti. I talebani sono inevitabilmente sostenuti da quei paesi a cui fa comodo questa situazione di instabilità.  

Il governo afgano si affida alle forze militari americane per liberarsi dei talebani. Ma nel 2019, durante la pandemia, in Italia si parla solo di Covid e Schiavulli, tornata in patria, non riesce a ottenere informazioni su quello che sta accadendo. Secondo un accordo secretato, in cui si parla di governo inclusivo anche per le donne, gli americani si impegnano a non attaccare più i talebani, a patto che questi liberino tutti i prigionieri di guerra. Accordo rinnovato anche con il Presidente Biden fino all’11 settembre 2021. 

Nel giugno 2021 Schiavulli ha occasione di parlare con alcune donne che hanno lottato per la loro libertà: la rassicurano che le cose stanno andando bene. Decide di prenotare un volo per il 16 agosto per tornare lì, ma un paio di giorni prima della fatidica data arriva una notizia dolorosa. 

“Ci verranno ad uccidere” 

Il 14 agosto i talebani circondano la capitale, Kabul, e si inizia a percepire che non sarà come avevano detto gli americani: cade il sogno di un governo democratico, non ci sarà un parlamento e non ci saranno più le donne

I talebani sconfiggono così gli americani, gli europei, la NATO. “Ho ricevuto centinaia di messaggi dalle donne conosciute in questi anni, dicevano che sarebbero venuti ad ucciderle. Quelle donne che erano diventate dottoresse, atlete e artiste, che facevano parte delle ONG e di una comunità civile, ora si nascondevano in cantina”, racconta l’autrice.

“Alle prime morti, scatta il pensiero di doverle tirare fuori. Bisognava stilare delle liste, sono stati i 10 giorni più duri dei miei 20 anni in Afghanistan”.

Ma come racconta la scrittrice, il 27 agosto, un kamikaze si fa largo tra la folla e si fa esplodere in aeroporto: 100 morti afgani, 13 marines americani. Nessuno può più uscire, evacuazione bloccata. In dieci giorni erano riuscite a scappare circa 100 mila persone, in 5 mila si sono rifugiate in Italia. 

“I talebani avevano deciso che le donne non potevano fare la spesa da sole, andare dal parrucchiere, andare a scuola dopo i 10 anni. Dopo pochi mesi dalla sua apertura hanno chiuso l’Università. I talebani sono ossessionati dall’istruzione, perché se non c’è risulta più facile la manipolazione”, spiega Schiavulli.  

“Una volta – prosegue la giornalista – chiesi loro il perché e mi risposero: voi occidentali! Guarda dove siamo arrivati noi senza scuola!”.  

Tutti i paesi islamici chiedono ai talebani di aprire le scuole alle ragazze, ma la risposta è: “Noi stiamo cercando di conformare le scuole per separare donne e uomini”, ma è solo una scusa. 

Ad oggi, con il paese completamente chiuso (frontiere e banche) e con metà della popolazione (circa 20 milioni di donne) che non può praticamente vivere, l’Afghanistan attraversa la crisi economica e umanitaria peggiore al mondo.  

“Abbiamo reso i trafficanti dei benefattori” 

Schiavulli riceve ogni giorno messaggi di donne che la supplicano di portarle via da lì: non ce la fanno più e minacciano di ammazzarsi. L’Afghanistan è infatti il paese con il più alto tasso di suicidio di donne al mondo. Le ragioni sono abbastanza semplici: a 10 anni non esistono più, anzi sono costrette a sposarsi, fare figli, vengono picchiate dai mariti e nel peggiore dei casi vengono vendute come schiave o per il traffico di organi.  “Una donna che non ha nessun tipo di diritto è un problema anche degli uomini”.

“Bisogna cambiare il sistema, com’è possibile che se arrivano 100 mila ucraini li riusciamo ad assorbire e se arrivano 100 mila africani no? Qual è la differenza? – continua l’autrice – facciamo arrivare queste persone in sicurezza senza il trauma del mare, perché tanto arrivano. La realtà è che il traffico di migranti serve, la criminalità e la guerra servono. Abbiamo reso i trafficanti dei benefattori – aggiunge – La gente non vede più le persone, sono solo numeri, il mio lavoro è tenere vivo l’interesse. Io te le faccio vedere in faccia le persone e non puoi dirmi che sono solo un numero”.

E dentro Burqa Queen c’è la sofferenza unita all’immenso coraggio delle donne. Il burqa è il simbolo dell’annullamento dell’anima e della psicologia della donna, ma questo è il libro di tutte le donne che, stanche di esser alle prese con uomini che le vogliono controllare, hanno reagito e si sono appropriate della libertà. Vogliono dare una vita migliore ai propri figli e far sì che anche loro, come te, un giorno riescano a capire che senza la tutela dei diritti, non si può vivere.  

di Pier Giorgio Tumminia

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