Cuore e viscere nelle foto di Rosy Sinicropi

Un progetto fotografico di CIAC Onlus a cura di Rosy Sinicropi che è andato in mostra a ottobre. Un lavoro in cui "l'attivismo e l'impatto sociale è forte"

Fra le mensole di legno scuro, l’apparecchiatura chimica e medica, gli oggetti di vetro e i vasi con l’originario materiale, i raccoglitori e i testi scritti dell’Antica Farmacia San Filippo Neri, è stato possibile ripercorrere passo passo lo sviluppo del laboratorio SPEX (Self portrait experience), nato a febbraio di quest’anno e conclusosi con una mostra ad ottobre.

Circa 350 le persone che hanno preso parte al workshop. Non è stato un caso che sia stata scelta proprio l’Antica Farmacia, in vicolo San Tiburzio. Quest’ultima infatti, è stata testimone della grande capacità della nostra città di sentire i fatti sociali e manifestare fratellanza, diventando spazio d’amore per il prossimo, ma anche di altruismo e carità.

Per la fotografa Rosy Sinicropi, la fotografia è uno strumento di relazione che serve a raccontare storie in cui le persone si possono riconoscere. È uno strumento di conoscenza di sé e dell’altro attraverso la condivisione di vissuti. Ciò significa condividere anche solo delle emozioni, come in questa mostra, andando ad abbassare il pregiudizio verso noi e l’altro.

Le foto sono frutto di un percorso di gruppo, portato avanti da migranti, rifugiati e volontari di CIAC (Centro Immigrazione Asilo Cooperazione internazionale Parma). “Ho proposto un percorso di autoritratto. Quest’ultimo è partito dalle emozioni dei partecipanti, per arrivare ad esprimere parti di sé e delle proprie storie, le emozioni che magari non si sapeva di poter esprimere. Il percorso è stato un lavoro di autorappresentazione”, spiega Sinicropi.

“Dopo aver preparato il set e aver dato loro indicazioni sull’emozione da provare, rimanevano soli a rappresentare l’emozione proposta senza dire quale avessero scelto. Veniva eseguita una breve performance con un timer di 10 secondi, perché non dovevano pensarci troppo. “L’obiettivo è stato quello di ascoltarsi per scoprire il fare e lo stare -aggiunge la fotografa – così si innesca il processo creativo, si crea un’opera d’arte dal nulla, come il pittore e il suo disegno. Nelle fotografie si vede la molteplicità umana. L’immagine si amplifica e mostra quanto abbiamo di essere umano“.

“È stato un lavoro percettivo per far scoprire bellezze e meraviglie mai viste, una possibilità in più di potersi guardare, non rimanere chiusi in un’idea che si ha di sé, ma aprirsi a più possibilità. È stato anche un lavoro di rispecchiamento. Si è condiviso quello che ognuno ha raccontato in quel momento” spiega Sinicropi. Le fotografie danno un nuovo sguardo su di noi e fanno vedere altro oltre le etichette. A queste sono state abbinate le radici, che si è chiesto di cercare a casa o nei telefoni, come immagini di luoghi o di persone significative.

Dialogando con le radici

Ciascuno ha portato immagini diverse. Chi la madre, chi la bisnonna, chi il fratello. Vediamo nel dittico un dialogo nuovo che fa rinascere arricchiti.

“Sono salito su un gommone grigio e per miracolo sono arrivato qua. Avevo 16 anni e ancora mi fidavo. Provo rabbia per questo. Per questo rimango sulla difensiva. Mi sono sentito confuso, perduto, senza riferimenti. Solo la mia volontà e il desiderio di non deludere mia madre mi hanno dato forza. La vita va vissuta, non pensata. La felicità non la trovi in assenza di problemi, ma nonostante i problemi”, scrive Magna accanto alla sua foto.

Inizi dall’espressione di una singola emozione per scoprirne di molteplici. Alcune sono nascoste nella piega della bocca; altre le trovi in fondo agli occhi e nelle increspature del volto; altre ancora, nelle mani tese. Osservarti in segmenti, da più punti di vista e con sguardo diverso, quasi distaccato. Come se ti incontrassi per la prima volta. Ritrovi parti di te. Porzioni di vita che avevi dimenticato, messo da parte, o che pensavi di aver lasciato andare. Le senti risuonare nelle parole di chi ti sta accanto e guarda quello scatto insieme a te. Ti viene restituita, così, un’immagine più nitida, arricchita di dettagli e complessità, sfaccettature e contraddizioni. Infine, la sensazione di conoscerti e capirti un po’ meglio“, scrive invece Serena.

Ahmed scrive: “Questo è il mio unico fratello, mi manca molto, ma ci sono circostanze che ci hanno fatto separare. Spero che ci incontreremo di nuovo e sono pronto a fare tutto il possibile per fargli vivere una vita felice. Fratello ti auguro una vita felice ovunque tu sia.”

“Nella relazione vi è una prospettiva nuova, uno sguardo che cerca altro. Una immagine personale può diventare iconica, rappresentativa di qualcosa che ci riguarda. Non siamo distanti da quello che accade intorno a noi”, spiega Sinicropi. Quando si guardano le sue fotografie si diventa parte di esse. Se l’obiettivo era quello di emozionare c’è riuscita, perché le loro storie fanno parte di chiunque, non importa da dove si proviene, l’emozione è uguale per tutti. “L’obiettivo è raccontare uno scorcio di umanità. Il racconto di sé e dell’altro, di una comunità”, afferma Rosy Sinicropi.

Soggetti su sfondo bianco

La fotografa ha scelto poi di fotografare con soggetto su sfondo bianco. L’idea era quella di avere un soggetto ben visibile. “È lavoro estetico che viene fatto sul volto. È importante che questo sia ben visibile. Ho scelto il bianco, sebbene io abbia lavorato sempre col nero, per avere un approccio nuovo, perché il bianco si prestava al luogo ed è un colore neutro che isola il soggetto sul fondale, senza oggetti che disturbano. Il bianco mette in risalto la figura che è a mezzo busto, perché in questo modo il viso è più vicino. Non è visibile tutto il corpo perché l’obiettivo è prendere il cuore e le viscere, quello che caratterizza l’essere umano.”

“Mi chiamo Federica e questa sono io, ma se per un attimo uscissi da me e provassi ad immaginare chi è quella ragazza davanti ai miei occhi? Il suo sguardo esprime stupore, meraviglia, ma allo stesso tempo c’è un velo di paura che la ferma. Un sorriso accennato, quasi d’imbarazzo. Le mani sono giunte, come se una volesse andare mentre l’altra la stesse fermando. Percepisco la sua natura dualista, la parte razionale che combatte con la parte sentimentale”, scrive Federica.

Sguardi resistenti

La resistenza è un tema centrale: resistere di fronte alle difficoltà della vita. Un esempio è il dittico Corridoni tema della resistenza e del resistere quotidianamente la vita e la fatica che questo comporta.

Autoterapia, attivismo e impatto sociale

Il laboratorio si può dire nasca dalla fototerapia, sebbene Rosy Sinicropi non sia una terapeuta. “La mia maestra Cristina Nuñeza – dice la fotografa – lo ha usato come strumento di autoterapia. Ma io do un taglio diverso: la parte sociale, la connessione, la condivisione, l’allestimento, l’azione pubblica. L’esperienza di percezione di sé è diversa. Si potrebbe dire: ma io sono anche questo e mi riconosco in questo”, come nella foto di Federica che scrive:  “Questa sono io. Ho fatto la mia scelta. Nessuno ha il diritto di giudicare. Faccio sentire la mia voce. Voglio che tutto il mondo mi senta. Voglio gridarlo a tutti. QUESTA SONO IO!

Le persone che conoscono i soggetti, scoprono una immagine intima e personale, vedono qualcosa d’altro. Le persone che non conoscono i soggetti fanno un lavoro percettivo. E a te che stai leggendo questo articolo, cosa ti comunicano?

di Fabiola Veca

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