Conflitto arabo-israeliano, come il Libro dei Libri è diventato un casus belli

120 anni di storia israeliana : in nome di Dio, in barba ai diritti umani

“La Terra d’Israele fu  luogo di nascita del popolo ebraico. Qui si formò la suo identità spirituale, religiosa e politica. Qui per la prima volta raggiunse un suo proprio stato, creò valori culturali di significato nazionale e universale e diede al mondo l’eterno Libro dei Libri. Dopo essere stato esiliato forzatamente dalla prorpia terra, il popolo le restò fedele nel corso della sua dispersione e mai cessò di pregare e di sperare di farvi ritorno e di potervi restaurare la propria libertà politica.”

Queste sono alcune delle parole che compaiono nella dichiarazione della fondazione dello Stato d’Israele del 1948. Parole che promettono serenità, ma che nella realtà dei fatti ne hanno portata ben poca.

L’organizzazione paramilitare Hamas, lo scorso 7 Ottobre, ha messo in atto un’inaspettata quanto fulminea offesiva via mare, terra e aria contro Israele, il cui primo ministro, Benjamin Netanyahu, in tutta risposta ha attivato un pesante programma di rappresaglia. Il bilancio dell’attacco da inizio Ottobre ad oggi, per Israele, è costituito da circa 1400 morti tra israeliani e stranieri.

Mentre l’Occidente si costerna, si indigna e non si impegna a risolvere la questione, come se atti del genere fossero una novità in quell’area geografica, i morti aumentano, la situazione, già irreversibile, diventa sempre più insanabile e i motivi per cui esista questa infuocata dinamica nel Medio Oriente vengono sempre più dimenticati, causando negli spettatori delle vicende un ripetitivo stupore. Tuttavia quella che sembra una questione apertasi all’inizio del mese di ottobre, nasce in realtà già a fine ‘800.

Nascita del sionismo e ascesa di Israele

Il Primo Congresso Sionista del 1897

Siamo nel 1897 quando, falliti i proposti dell’Illuminismo Ebraico (Haskalah), Teodoro Helz riunisce a  Basilea (Svizzera) il Primo Congresso Sionista, creando appunto il movimento sionista. Esso, da allora, ha al centro della sua dottrina il ritorno degli ebrei alla “terra promessa” biblica, situata in Palestina, desiderio nato già all’inizio della Diaspora.

E’ dunque di religione che si parla, di una sorta di guerra santa che il popolo ebraico ha portato e sta portando avanti.

Per avere risvolti significativi bisogna aspettare la fine della Grande Guerra quando nel 1920,  sfaldatosi l’impero ottomano, la Palestina passa sotto il protettorato della Gran Bretagna, che istituisce a est la Transgiordania (poi Giordania) e a ovest tollera gli insediamenti ebraici, che a seguito dell’antisemitismo nazista, diventano sempre più massicci, creando non pochi attriti con i palestinesi. Diventata questa situazione un evidente problema, nel 1947 il Regno Unito comincia il ritiro delle truppe e l’Onu approva il piano di partizione della Palestina, rifiutato con sdegno dalla  popolazione araba.

Il 14 maggio 1948 la comunità ebraica dichiara l’indipendenza dello Stato di Israele, scoppia la guerra con gli stati dell’ Egitto, della Siria e della Giordania, che tuttavia vengono rapidamente sconfitti e costretti nel 1949 all’armistizio, con tanto di mutilazione di territori.

Dalla guerra dei sei giorni ai tentativi di pace

Persa la fiducia dei palestinesi in tali stati, dal ‘64 prende vita l’OLP (l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina), attivatasi solo nel ’67, allo scoppio della Guerra dei Sei Giorni. Il conflitto si chiude con una decisiva vittoria israeliana, che occupa definitivamente Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme est. Il fil rouge che accomuna gli eventi dall’insediamento ebreo in palestina fino ai giorni nostri è la sistematica espulsione da parte di Israele dei palestinesi dalle aree di suo interesse, fino a ribaltare la situazione.

Il generale israeliano Motta Gur guarda Gerusalemme insieme alle sue truppe

Ad oggi vivono sul nostro pianeta circa 14,3 milioni di palestinesi, di cui 2,2 milioni si trovano stipati a Gaza (che Israele assedia da decine di anni), circa 3,3 milioni in Cisgiordania e tutti gli altri sono o profughi in altri paesi arabi o sparsi per il resto del mondo (questi ultimi non vengono considerati profughi).

La situazione, dopo il ’67, si inasprisce ancora di più, ebrei e palestinesi diventano sempre più inconciliabili, Israele procede con la sua politica di espasione e discriminazione. Tra il 1987 e il 1993 si assiste alla Prima Intifada, una cruenta rivolta palestinese (il più delle volte repressa nel sangue) costellata di atti terroristici ai danni di Israele, anche a seguito dei Patti di Camp David e i seguenti trattati di pace del 1979 (firmati a Washington) tra Egitto e Israele : il primo riconosce definitivamente la legittimità del secondo.

Il 1993 e gli anni seguenti rappresentano anni di speranza : gli accordi di Oslo del ’93 e quelli di Oslo II (entrambi comunque firmati negli USA) vedono il primo ministro Israeliano Yitzhak Rabin e il leaderl dell’OLP Yasser Arafat stringere diversi accordi di pace, con i quali Israele cede parte della Cisgiordania e la Striscia di Gaza (oggi sotto il controllo di Hamas) alla neonata Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Inutile dire che tali accordi rappresentano un totale fallimento a cause dei troppi punti di attrito: a chi spetta Gerusalemme? come fare con gli insediamenti ebrei presenti in Palesina? Israele vuole la Cisgiordania, i palestinesi non riconoscono Israele, come mettere d’accordo i due popoli? C’è da tenere conto anche dell’odio di molti estremisti ebrei verso i palestinesi : nel ’95 Rabin viene assassinato da un giovane israeliano, con l’accusa di aver osato trattare con quello che si è delineato a tutti gli effetti come il nemico. Nel ’99 con il Memorandum di Sharm El Shake (dove peraltro ci fu la presenza degli USA) si cerca, senza risvolti positivi, di ricordare gli accordi di Oslo II. Le tensioni accumulate dalla totale disfatta dei tentativi di pace esplodono nuovamente tra il 2000 e il 2005 nella Seconda Intifada, anche questa duramente repressa dallo stato ebraico.

Il primo ministro Israeliano Rabin e il leader dell’OLP Arafat. Al centro l’allora presidente USA Bill Clinton

La situazione oggi: ben oltre la terra promessa

Ad oggi Israele ha ormai occupato quasi la totalità della Palestina, spingendosi ben oltre i motivi religiosi, attuando una vera e propria persecuzione. Ai palestinesi rimangono poche aree della Cisgiordania (comunque sotto il controllo militare israeliano) e la Striscia di gaza (sotto Hamas, che Erdogan ha recentemente dichiarato un “fronte di liberazione interno”, una sorta di gruppo partigiano). Dopo i recenti attacchi da parte della Striscia e la conseguente controffensiva israeliana, il primo ministro Netanyahu ha messo nero su bianco la volontà di invadere Gaza per estirpare il problema.

Tuttavia, l’invasione non sembra l’unico obbiettivo : le continue e sistematiche rappresaglie(anche civili) e il bombardamento del 23/10 al campo profughi di Jabalya (nord di Gaza) in risposta all’attacco del 7 ottobre, sembrano presagire una nuova catasfrofe.

L’ONU infatti ha da poco confermato quanto riportato dal Ministero della Sanità: a Gaza i morti sono più di 7000, di cui il 66% circa sono donne e bambini. I dispersi sotto le macerie ammontano a circa 1600, tra cui 900 bambini.  Il 26 Ottobre un totale di 74 camion per gli aiuti umanitari sono riusciti ad entrare nella Striscia, contro i quotidiani 500 che arrivavano prima del rinnovato conflitto. Secondo il Ministero dei Lavori Pubblici e delle Abitazioni di Gaza, circa il 45% delle unità abitative presenti sul territorio sono state o rase al suolo o rese inabitabili o danneggiate. Solo tra il 26 e il 27 ottobre sono stati riportati un totale di 481 morti tra cui 209 bambini. Nonostante Israele sia in procinto di dare inizio ad un vero e proprio “Gaza delenda est”, il gruppo di Hamas continua a rispondere alla controffensiva nemica.

Hamas: lotta partigiana o associazione terroristica?

Il gruppo Hamas (acronimo di Harakat al-Muqawama al-Islamiya “Movimento di resistenza islamica”), compare per la prima volta nel 1987, in corrispondeza dell’inizio della Prima Intifada, fondato dall’attivista Ahmed Yassin come braccio dei Fratelli Islamici (un’organizzazione politica islamica nata in Egitto negli anni ’20). L’anno seguente Hamas si dota di una Costituzione, con al centro la completa distruzione di Israele tramite jihad e l’istituzione di una Repubblica Islamica in Palestina. Dalla sua fondazione Hamas ha perpetrato una lotta senza quartiere contro Israele, tramite numerosi attacchi missilistici e atti di terrorismo (motivo per cui l’organizzazione è considerata di tipo terroristica da molti paesi occidentali e non), fino ad essere protagonista della Seconda Intifada.Vince alle elezioni palestinesi del 2006, ma con dissenso del presidente dell’ANP Mahmud Abbas, che ha dichiarato l’accaduto simile ad un colpo di  Stato. Nel 2007 una guerra civile porta Hamas ad avere il controllo su Gaza, mentre il movimento Fatah e l’ANP “governano” la Cisgiordania. Nel 2017 Hamas pubblica una nuovo documento, più moderato : è disposto ad accettare il riconoscimento di uno stato palestinese definito dai confini del ’67, quelli prima della Guerra dei Sei Giorni.

Uno sguardo all’Italia e alle reazioni alla guerra

Nella giornata dal 28 Ottobre in Italia due notizie cominciano a correre veloci, entrambe manifestazione di una forte presa di posizione, ma su fronti opposti.

Il noto fummettista Zerocalcare (Michele Rech) ha fatto sapere sui social la sua decisione di non prendere parte all’imminente Lucca Comics : per il 39enne romano il patrocinio dell’ambasciata israeliana del festival rappresenta un vero problema e non riesce a capacitarsi di come si possa festeggiare sotto il nome di Israele in un momento simile. Non mancano le risposte da parte del vicepremier Matteo Salvini : “io cercherò di esserci“. Sotto gli ultimi post del fumettista tuttavia compaiono diversi commenti a sostegno della sua scelta.

Le parole di Zerocalcare

Ma qualcos’altro ha tuttavia fatto ben più scalpore: l’Italia, insieme ad altre 14 Nazioni (tra cui USA e Israele, tanto per favorire) si è astenuta dal voto a favore della risoluzione Onu per la tregua umanitaria a Gaza, approvata invece da altri 120 Paesi. La premier Giorgia Meloni, senza fare alcun cenno alle migliaia di morti provocati dalla controffensiva israeliana, giustifica la decisione dicendo che si tratta della “posizione più moderata possibile” e che l’astensione è dovuta principalmente all’assenza di programmi punitivi nei confronti di Hamas nel piano Onu per i morti provocati il 7 ottobre.

di Tommaso Sarti

In copertina Photo by Ahmed Abu Hameeda on Unsplash

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