Amina Milo Kalelkyzy è libera, dopo mesi di carcere in Kazakistan

La 18enne italo-kazaka ha potuto riabbracciare la sua famiglia lo scorso giovedì. Il suo caso, però, riporta alla mentre tristi vicende della recente della nostra politica internazionale

Il caso di Amina, arrestata in Kazakistan senza prove concrete e detenuta per più di 3 mesi, sottoposta ad abusi e maltrattamenti

È finalmente libera Amina Milo Kalelkyzy, la 18enne italo-kazaka che da più di 3 mesi si trovava in carcere ad Astana, in Kazakistan, per traffico internazionale di stupefacenti. Un’accusa infondata, secondo quanto riporta il suo avvocato all’ANSA. Il suo rilascio mette fine a mesi di trattative da parte dell’ambasciata italiana ad Astana e del ministro degli Esteri Antonio Tajani con il governo kazako e le forze di polizia. Ma soprattutto, mette fine alla sofferenza della famiglia della ragazza, che da luglio ha fatto ricorso a tutti i mezzi possibili per avere giustizia.

La vicenda: abusi e prigionia

Cresciuta a Lequile in provincia di Lecce, Kalelkyzy ha la cittadinanza italiana, ma molti dei suoi parenti vivono in Kazakistan. È per questo che a inizio luglio si trovava lì con sua madre, Assemgul Sapenova, come riportato dal Quotidiano di Puglia, che per primo segue tutte le peripezie del suo caso. Una sera la ragazza viene fermata insieme ad un suo amico dalla polizia per degli accertamenti sul presunto possesso del ragazzo di sostanze stupefacenti; passa una prima notte in custodia, ma, secondo quanto riporta il suo legale la ragazza non sapeva nulla della droga.

Il suo esame tossicologico risulta negativo e viene rilasciata. Il 4 luglio, però, viene nuovamente fermata con l’inganno da alcuni agenti di polizia che la conducono in un appartamento privato, poi rivelatosi un locale di servizio utilizzato spesso dagli agenti.

Lì iniziano i problemi. La ragazza rimane segregata nell’appartamento per 16 giorni, maltrattata dagli stessi agenti che l’avevano condotta lì. Legata ad una sedia, le negavano la possibilità di bere o mangiare. Inoltre, avrebbe anche subito alcuni tentativi di stupro. La madre, rivela al Quotidiano di Puglia, avrebbe ricevuto una richiesta di riscatto di circa 60mila euro per poterla riabbracciare.

Nella disperazione, Sapenova si rivolge all’ambasciata italiana ad Astana e al ministro degli esteri Tajani, su consiglio del suo avvocato, ottenendo così la liberazione della figlia. Riesce così a rivederla, anche se con il collo e le braccia piene di segni e visibilmente denutrita. Nel giro di poche ore scatta la denuncia nei confronti dei poliziotti coinvolti nella questione.

Il rilascio e la nuova detenzione

Stando alla ricostruzione fornita dalla madre e dal suo legale, nonostante Kalelkyzy fosse stata rilasciata solo qualche giorno prima, l’11 luglio la polizia la convoca nuovamente per farle firmare dei documenti – anche stavolta con l’inganno. Alla ragazza non viene fornito un interprete, né un aiuto da parte degli agenti, in quanto non parla né russo né kazako.

Fonte: ANSA.

Dopo la firma, la ragazza viene nuovamente arrestata con l’accusa di traffico internazionale di sostanze stupefacenti e da quel giorno si hanno pochissime notizie di lei e sempre in via non ufficiale. La madre, quando le permettono di vederla, torna a casa con dei bigliettini che fa avere al Quotidiano, per lanciare il suo appello: “Non ce la fa più, è stanca. Non mangia e ha perso 9 chili, ha tentato due volte il suicidio”.

Per fortuna, dopo mesi, viene rilasciata giovedì 2 novembre e torna a casa della sua famiglia ad Astana. Al telefono con l’ANSA racconta tutta la sua gioia nell’essere liberata: “È successo tutto all’improvviso. Ad un certo punto mi hanno detto ‘prendi le tue robe e vai via’. E per me è stata una gioia indescrivibile. Ora mi sento bene. Più che bene”.

Torture e sparizioni: perché il suo caso è importante

Il caso della 18enne si colloca in un contesto molto diffuso in Asia Centrale, secondo il World Report 2023 della Human Rights Watch. Il Kazakistan, insieme a molti altri paesi, si è reso protagonista negli ultimi anni di abusi e torture perpetrati dalle forze di polizia. Centinaia di persone, secondo il Report, hanno dichiarato di essere state picchiate e alcune addirittura bruciate con del ferro caldo mentre si trovavano in carcere o in centri di detenzione.

Non è raro che in paesi con contesti di estrema povertà e agitazioni sociali frequenti, le forze dell’ordine si trovino ad occupare l’altro lato della bilancia. Nel suo rapporto del 2022/23 sull’Europa e l’Asia centrale, Amnesty International ha segnalato il Kazakistan tra quei paesi che si avvalgono di maltrattamenti gravi per estorcere confessioni agli interrogati.

In un’intervista televisiva a Ore14, Kalelkyzy afferma con chiarezza che non riuscirà a dimenticare quell’appartamento e con sé le pressioni psicologiche subite dagli agenti. L’Italia ha ratificato nel 2015 la Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate, che riconosce quest’ultima come violazione dei diritti umani. Eppure capita troppo spesso che gli interessi economici e diplomatici di uno Stato abbiano la meglio sui diritti umani e sulla protezione dei cittadini all’estero.

Ciò che importa, ora, è che Amina Milo sia libera e che possa tornare a vivere la sua vita in Italia. Rimangono però i segni di tutto quello che ha passato. “Ho trovato la forza di andare avanti pensando a mia madre e alla mia famiglia. – afferma la 18enne al telefono con la redazione dell’ANSA Non è stato per nulla facile. Ci sono stati momenti drammatici. Ma ora finalmente sono libera”.

di Sara Collovà

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