In Bangladesh gli operai tessili lottano per un aumento del salario

La protesta dei lavoratori del settore tessile imperversa in Bangladesh ormai da settimane. La dura repressione autoritaria del governo ha portato ad 8mila arresti e almeno tre morti

Nelle strade della capitale Dacca, e di altre città industriali del Bangladesh, sabato 28 ottobre si è riversata una folla impetuosa di operai e operaie del settore tessile. La richiesta è un aumento del salario minimo, dagli attuali 8.300 taka (circa 70 euro mensili) ad almeno 23.000 taka (190 euro) per far fronte al costo crescente della vita, in un momento in cui il tasso di inflazione del Paese si trova al 9,5%.

La protesta, organizzata dal Partito Nazionalista del Bangladesh (BNP) – l’opposizione politica del paese – con l’appoggio dei sindacati locali, sarebbe iniziata in modo pacifico, secondo quanto riportato da Reuters. Tuttavia, la risposta del governo e della polizia ha generato una reazione di malcontento che è sfociata in scontri fisici e assalti alle principali fabbriche del Paese. Il leader del BNP, Abdul Moyeen Khan ha riferito all’agenzia di stampa che l’uso di gas lacrimogeni da parte della polizia ha trasformato la manifestazione in una “zona di guerra”.

Scontri violenti e assalti alle fabbriche: la reazione del governo

Nei giorni successivi al 28 ottobre, circa cinquanta fabbriche di abbigliamento sono state saccheggiate e vandalizzate, quattro o cinque di queste sono state date alle fiamme – come ha affermato in un’intervista con l’AFP il capo della polizia di Gazipur, nella zona nord di Dacca, – e più di 250 sono state chiuse. Questo forse per arginare le violenze e limitare i danni riportati al materiale e alle persone.

Nel clima caotico degli scontri non è ben chiaro quante persone siano rimaste effettivamente uccise o ferite. Stando al resoconto della polizia di Gazipur, un operaio, colpito da un proiettile durante una manifestazione in uno dei distretti della divisione di Dacca, sarebbe morto mentre veniva trasportato all’ospedale. Un altro, soffocato dalle fiamme di un incendio scoppiato per le proteste. Mentre qualche giorno dopo un poliziotto sarebbe morto durante una protesta che chiedeva la deposizione dell’attuale Primo Ministro del Bangladesh, Sheikh Hasina.

Ad essere chiara è la volontà del governo di reprimere il più possibile il dissenso generale. Secondo quanto riportato a Reuters dal segretario generale del BNP, Ruhul Kabir Rizvi, Hasina avrebbe autorizzato la polizia ad aprire il fuoco sulla folla e a uccidere in modo indiscriminato i manifestanti per “ripristinare la democrazia”. Negli 8 giorni seguenti, la polizia ha arrestato circa 8mila persone, tra cui moltissimi membri e sostenitori del BNP, nel tentativo di reprimere ulteriormente l’opposizione.

Perché protestano? L’industria tessile in Bangladesh

Il Bangladesh è il cuore pulsante dell’industria tessile mondiale, secondo solo alla Cina. Il paese conta circa 4.000 fabbriche che impiegano più di 4 milioni di persone e forniscono capi ad alcuni dei più grandi marchi di abbigliamento, tra cui H&M, Zara, Gap e Primark. Eppure, nelle fabbriche, un lavoratore medio guadagna all’incirca 70 euro al mese, una misera somma che non tiene conto delle reali necessità degli impiegati.

Già dieci anni fa, il crollo della fabbrica Rana Plaza e la morte di più di mille persone aveva puntato i riflettori sulle pessime condizioni lavorative alla quale sono sottoposti ogni giorno i milioni di lavoratori dell’industria tessile del Bangladesh. Per stare al passo con i ritmi sfrenati dei consumi, infatti, come in molti altri paesi dell’Asia, i lavoratori sono costretti a sottostare a turni giornalieri da 10 o 12 ore in strutture fatiscenti che non garantiscono loro nessuna sicurezza.

La Bangladesh Garment Manufacturers and Exporters Association (BGMEA) si è fatta promotrice di due aumenti del salario rispettivamente nel 2013 e nel 2018, ma secondo i lavoratori ancora non è abbastanza. Il 7 novembre, la PM Hasina ha annunciato, durante un incontro in cui era presente anche la stampa, un aumento del salario minimo del 56.52%, ovvero meno della metà di quello che chiedono i manifestanti. “L’aumento non basta quando tutti i prezzi, anche degli affitti, sono aumentati notevolmente – ha commentato un’operaia, Munna Khan, intervistata da Reuters –lavoriamo per sopravvivere ma non riusciamo nemmeno a soddisfare i nostri bisogni primari”.

Amnesty International e associazioni come la Clean Clothes Campaign (CCC) condannano la violenza utilizzata dal governo e dalle forza di polizia contro i manifestanti e chiedono a tutti i marchi che si riforniscono in Bangladesh di chiedere che le rivendicazioni dei lavoratori siano ascoltate e di confermare il loro impegno per un prezzo equo.

di Sara Collovà

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