Perché la violenza sulle donne sarà immune al piano Valditara

I femminicidi come quello di Giulia Cecchettin c’entrano con un’educazione da rifare. La proposta debole e malpensata del governo è "Educare alle relazioni"

Sabato 25 novembre si è celebrata la ventiquattresima Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, una ricorrenza che anche quest’anno si accompagna a cifre allarmanti. I dati diffusi dal Ministero dell’Interno dicono che, finora, il 2023 ha visto 87 femminicidi in ambito affettivo, 55 dei quali per mano di partner ed ex partner.

Numeri più bassi rispetto a quelli di Paesi europei come Francia, Germania e Paesi Bassi, ma che raccontano come in Italia una donna venga uccisa – in quanto donna – ogni quattro giorni. Così sabato le piazze italiane si sono riempite per gridare e per fare rumore, perché è questo che ci ha chiesto Elena Cecchettin, sorella di Giulia, assassinata da Filippo Turetta la notte tra l’11 e il 12 novembre. Ci ha chiesto di distruggere tutto e di ricominciare daccapo e ha ragione: non basta più un minuto di silenzio e non bastano più le scarpe rosse. Dobbiamo chiederci da dove si parte per ricostruire una cultura, un’educazione.

Non solo Turetta

Filippo Turetta ha 22 anni, è uno studente universitario e, come dice Elena Cecchettin, “non è un mostro, un mostro è un’eccezione, […] una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità, e invece qui la responsabilità c’è”. Vero, la responsabilità che la società ha nei confronti di questo femminicidio è enorme perché non è un unicum, nemmeno se ad uccidere è un ventiduenne.

Torna in mente la violenza del 7 luglio scorso a Palermo, dove una ragazza è stata stuprata da un gruppo di giovani, uno dei quali minorenne all’epoca dei fatti. Ma non è femminicidio quello, potrebbe obiettare qualcuno. Sbagliato. Perché con ‘femminicidio’ si indicano anche tutte le dinamiche tossiche e costringenti che precedono l’atto finale, come spiega un puntuale articolo de il Post. E allora dobbiamo partire proprio dal dato anagrafico di queste tragedie, perché un femminicidio è ancora più doloroso quando l’assassino o lo stupratore (i ruoli sono spesso sovrapposti) è un ragazzo così giovane. Ci eravamo illusi che le nuove generazioni si fossero allontanate dalle radici del patriarcato violento e torturatore: dobbiamo ricrederci. E dobbiamo lavorare sugli uomini di domani in maniera organica e costante.

Il piano Valditara

Bisogna partire dalle scuole, per esempio. Un’idea a cui l’attuale governo aveva distrattamente pensato dopo i fatti di Palermo, salvo poi rimandare il tutto. Dopo quel tragico 7 luglio, il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara aveva proposto l’introduzione di un’ora settimanale – in orario extracurriculare – di educazione sentimentale solo per le scuole superiori, in forma sperimentale.

Il piano doveva iniziare già da settembre, poi è stato archiviato e ha ritrovato una spinta solo dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin. La presentazione di Educare alle relazioni – questo il titolo del piano – si è tenuta mercoledì 22 novembre e ha annunciato un totale di trenta incontri da un’ora ciascuno; trenta ore in cui gli studenti potranno confrontarsi con psicologi, avvocati e assistenti sociali, ma anche con influencer, attori e altri personaggi noti, esponendosi e migliorando la propria capacità relazionale.

Oltre a essere tardiva, la proposta appare insufficiente. Innanzitutto, perché il piano Valditara è una direttiva ministeriale che le scuole non sono obbligate a seguire. E poi perché i trenta incontri sono pochi (trenta sono le ore che un giovane italiano passa sui social in dieci giorni) e sono riservati alle scuole superiori – perché non partire almeno dalle scuole medie? – e per di più non indagano altri ambiti collegati all’educazione sentimentale, come la cultura sessuale e l’uso corretto e responsabile dei social media.

Ma soprattutto non coinvolgono i genitori. Un percorso di rieducazione con obiettivi così ambiziosi dovrebbe rivolgersi anche ai troppi genitori che delegano la scuola a riempire la loro incapacità di occuparsi dei figli, di assumersi le loro responsabilità di fronte ai tanti sbandamenti delle generazioni che stanno crescendo. Tanto ci pensa la scuola. E invece no, urge una collaborazione tra due istituzioni – la scuola e la famiglia – ancora legate ad approcci educativi vecchi e stantii, mentre il mondo va avanti.

Alessandro Amadori non è l’uomo giusto

Il piano Valditara è in linea con l’atteggiamento conservatore del governo Meloni. A coordinare il progetto è, infatti, Alessandro Amadori, insegnante di psicologia alla Cattolica di Milano e autore di La guerra dei sessi, un libro auto pubblicato da cui trapelano posizioni antifemministe e a tratti misogine. La violenza sulle donne, secondo Amadori, non è il risultato di una cultura radicalmente patriarcale, ma frutto di una ‘cattiveria’ che appartiene a tutti gli esseri umani. “Ma allora, parlando di male e di cattiveria, dovremmo concentrarci solamente sugli uomini? Che dire delle donne? Sono anch’esse cattive? La nostra risposta è sì, cioè che anche le donne sanno essere cattive, più di quanto pensiamo”.

Foto ANSA/Matteo Corner

A sostegno di questa tesi, l’autore si rifà per lunghi tratti a un articolo pubblicato sul blog amatoriale Soverato Web firmato Adriano Pirillo, secondo cui le donne sono più cattive degli uomini. “Se, per occupare la poltrona più importante in un’azienda o di un ente pubblico, c’è bisogno di scalzare un’amica o andare a letto con uno o più uomini, non se ne fanno un cruccio”, si legge nell’articolo. Amadori si dichiara distante dal delirio misogino di Pirillo, eppure vi partecipa, sostenendo che le donne in ambito lavorativo tendono a “sconfinare, forse più degli uomini, nella cattiveria”.

L’intento di La guerra dei sessi sembra quello di giustificare ogni femminicida, prima affermando che la cattiveria è un sentimento che appartiene tanto agli uomini quanto alle donne, poi definendo il femminicidio stesso come un “contraltare di una sostanziale fragilità psichica maschile”.

Il piano Valditara, a partire dal coinvolgimento di Amadori, si mostra quindi lontano dall’approccio olistico che sarebbe necessario adottare. Ma non c’era da aspettarsi niente di diverso da un governo che ha ridotto del 70% i fondi riservati alle attività e alle associazioni che si occupano di prevenzione della violenza di genere.

Certo, dalla prima donna Presidente del Consiglio italiana era lecito esigere un atteggiamento molto più netto, di vicinanza concreta a tutte le donne vittime di femminicidi e violenze – come quelle molestate dal suo ex compagno Andrea Giambruno un mese fa. Invece dobbiamo prendere il piano Valditara per quello che è: un inizio forse, ma debole e malpensato.

di Niccolò Volpini

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