Tutte le vite sono uguali, ma alcune sono più uguali di altre

L’interesse eccezionale dello Stato italiano per il caso di Indi Gregory, la bimba inglese affetta da una malattia incurabile, ha diviso l’opinione pubblica e ha messo in luce ipocrisie e incongruenze del nostro governo

Indi Gregory, la bambina inglese affetta da una malattia genetica metabolica, è morta nella notte tra domenica e lunedì 13 novembre, dopo la decisione dei medici dell’ospedale di Nottingham di interrompere il trattamento che la teneva in vita, con l’approvazione dalla Corte di giustizia inglese. Nella sua vicenda, come in altri casi simili (ricordiamo, ad esempio, Alfie Evans), si sono mescolate scienza, morale, religione, legge e (purtroppo) politica. Quella italiana soprattutto.

Le ragioni menzionate dai medici britannici nel fascicolo della Corte sono chiare: il trattamento invasivo apporta più sofferenze che benefici alla piccola, che presenta, tra i tanti problemi, un buco tra le camere del cuore, un eccesso di liquido spinale, enormi danni al cervello, problemi respiratori e cardiovascolari che le causano episodi di dolore quotidiani. Per questo, mangia e respira solo grazie a 2 tubi nasali.

Nelle ore precedenti alla sentenza dell’Alta Corte britannica, in Italia l’ex senatore della Lega Simone Pillon e l’associazione Pro vita smuovono mari e monti per far sì che alla piccola sia concessa la cittadinanza italiana, unico modo per far considerare ai giudici la possibilità di spostarla al Bambino Gesù di Roma e continuare le cure.

Il Consiglio dei Ministri viene convocato d’urgenza e Gregory diventa cittadina italiana. Non solo, il Governo garantisce anche che provvederà a tutte le spese ospedaliere e del trasferimento. Intanto, Pillon si fa avvocato legale della famiglia. Un interesse eccezionale che, oltre a confondere l’opinione pubblica, si pone in netto contrasto con il parere dei medici inglesi, che insistono sulla crudeltà ingiusta del sottoporre una bambina ad un ulteriore accanimento terapeutico. Bambina che, intanto, rimane sospesa tra un ordinamento giuridico e l’altro, tra legge e morale.

Alla fine, nell’ultima decisione della Corte inglese, si stabilisce che a prevalere deve essere l’interesse superiore del minore, anche nel caso in cui i genitori, per i migliori motivi, abbiano una visione alternativa. La bambina, nel parere degli esperti, non mostra segni di miglioramento, è tenuta in vita dalle macchine, è gravemente malata ed instabile. Le sue condizioni sono irreversibili e incurabili, quindi il giudice conclude che un trasferimento in Italia non farebbe altro che prolungare le sue sofferenze.

Questo caso evidenzia tutto il paradosso della destra italiana. Il nostro governo si è opposto assolutisticamente, ancora una volta, al parere medico interferendo in una questione che, nel sistema sanitario inglese, è affidata da sempre al personale medico e ai giudici, prolungando la sofferenza della bambina e dei suoi genitori. Non avete il diritto di decidere come e quando farla morire, dicono; ma allo stesso tempo noi possiamo sostituirci ai genitori, ai medici e ai giudici per difendere la sacralità della vita, anche se piena di sofferenza. E se voi pensate il contrario, non avete più morale, non considerate la vita degna di essere vissuta, anche se in questo caso di vita vissuta ci sarebbe ben poco.

Le stesse persone che ci chiedono di aggrapparci alla nostra vita perché è un dono sacrosanto, poi non si curano di fornirci le condizioni per poterla vivere al meglio. Dai tagli del governo Meloni ai fondi per le persone con disabilità, alle gravi mancanze della sanità italiana, che ci lascia morire, come nel caso di Ettore, il bambino di soli 34 giorni che è morto in Veneto il mese scorso per la negligenza del nostro Stato.

E tutta l’ipocrisia di quest’ultimo fuoriesce nelle dichiarazioni di chi affianca l’ex senatore ultra conservatore appositamente scelto per fare da conduttore. “Ci troviamo in una ‘modernità’ che, con un assurdo e falso concetto di ‘pietà’, sopprime, uccide e scarta deboli e indifesicommenta Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia che ha seguito con i legali inglesi la vicenda di Gregory –  noi a questa cultura di morte non ci stiamo e non ci piegheremo mai!”.

Uccidere gli indifesi. Cultura di morte. Come mai non si è parlato di cultura di morte, ad esempio, quando un bambino malato è morto su un barcone sulle coste di Lampedusa mentre, insieme alla madre, cercava di raggiungere l’Italia per essere curato? O quando 35 minori sono stati lasciati morire nel barcone a largo della costa di Cutro? La cittadinanza, secondo quanto afferma l’articolo 9 della legge del 1992, può essere “concessa allo straniero quando questi abbia reso eminenti servizi all’Italia, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato”. È questo eccezionale interesse che ci lascia un po’ perplessi.

Cos’è che distingue Indi Gregory da tutti i bambini migranti che negli ultimi anni sono sbarcati sulle nostre coste, per scappare da situazioni tragiche e che hanno, allo stesso modo, il diritto di vivere una vita dignitosa? O dagli 11 mila bambini che nell’ultimo mese e mezzo sono morti a Gaza, con arti amputati, condizioni rese incurabili e attrezzatura medica insufficiente?

https://twitter.com/elio_vito/status/1721606180554895822?s=46&t=qmM7dul5EQ5XzX6fLkfFvQ

La verità è che l’interesse eccezionale di questa causa risiede tutto nella sua potenza mediatica, nella sua proprietà intrinseca di essere facilmente strumentalizzato a favore di un’ideologia che non ammette opposizione morale. E questo i nostri politici lo sanno bene.
Ci chiedono di vivere con una disabilità, ma ci tagliano i fondi per farlo.
Ci chiedono di nascere, anche se con malattie gravi, ma non si curano delle condizioni in cui nasciamo.
Tengono fermamente alla vita, ma in particolare a quella di chi ha la pelle più bianca.
Allora, forse, il diritto di morire risulta un po’ più sacrosanto.

di Sara Collovà

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