Hollywood e i double standard: soddisfatti o licenziati?

Nel mondo dello spettacolo americano sostenere lo stato palestinese equivale a perdere contratti di lavoro, nessuna conseguenza invece se si sceglie di sostenere il popolo israeliano

Si sa, Hollywood ha sempre avuto standard di inclusione e/o esclusione per coloro che tentavano di sfondare nel mondo del piccolo e grande schermo.

Che fossero standard di bellezza, etnia e/o orientamento sessuale, ci sono sempre stati criteri di selezione. Per esempio, gli anni d’oro di Hollywood hanno visto la predilezione per un corpo femminile a clessidra, che si è poi evoluto negli anni ’90 e 2000 nel classico fisico da supermodella, snello e slanciato, con gambe lunghissime. Poco a poco, poi, l’utilizzatissima black face (ndr. attori bianchi che si dipingevano il volto per interpretare personaggi neri) ha – per fortuna – ceduto il posto ad attori che effettivamente erano dell’etnia richiesta per il personaggio. E così via. 

Tuttavia, ad oggi, stiamo assistendo all’utilizzo di un altro grande canone che viene posto sotto osservazione se si vuole fare parte dell’élite: l’orientamento politico. Ma, in questo caso, con orientamento politico intendiamo uno schieramento ben preciso all’interno di un conflitto quasi centenario, ovvero quello Israelo-Palestinese. 

A partire dall’attacco del 7 ottobre e dal conseguente e ritrovato interesse dei media in questo storico conflitto – che, pur essendo geograficamente concentrato in Medio Oriente, ha a che fare un po’ con tutto il mondo – anche le star hollywoodiane hanno scelto di esporsi. 

Bella Hadid (e poco dopo sua sorella Gigi), supermodelle di origine palestinese, ha da sempre espresso il suo supporto per la sua terra natia e nemmeno in questa occasione si è tirata indietro. Ha infatti rilasciato questa dichiarazione su Instagram: “È importante comprendere la difficoltà di essere palestinesi, in un mondo che ci vede solo come terroristi che resistono alla pace.” Parlando di come suo padre fu costretto, a 9 giorni di vita (durante la prima Nakba – Catastrofe), a lasciare Nazareth, scrive: “La pratica degli insediamenti in terra palestinese continua ancora oggi. Il dolore che ne deriva è inimmaginabile. […] Dobbiamo continuare a fare pressione sui nostri leader, ovunque ci troviamo, affinché non dimentichino i bisogni urgenti della popolazione di Gaza e affinché i civili palestinesi innocenti non siano le vittime dimenticate di questa guerra. Sono al fianco dell’umanità, sapendo che la pace e la sicurezza appartengono a tutti noi.”

Così come la Hadid, anche Melissa Barrera – attrice messicana conosciuta principalmente per il ruolo di Sam Carpenter in Scream V e Scream VI – e Susan Sarandon – attrice e produttrice statunitense pluripremiata, da sempre attivista e pacifista – hanno espresso il loro supporto in sostegno della Palestina, sia condividendo informazioni sui propri social media che partecipando a marce nelle strade delle grandi città. 

Dall’altra parte, una fortissima voce in sostegno di Israele è rappresentata da Gal Gadot. L’ormai ex-Wonder Woman, nata in Israele e con un passato nell’Israel Defence Forces (ndr. forze di difesa israeliane) – i due anni di mandato obbligatori – si è sempre mostrata come una paladina a difesa delle azioni del proprio popolo. 

Oltre ad esprimere il suo supporto tramite i social, l’attrice ha anche organizzato presso il Museum of Tolerance di Los Angeles (un museo multimediale progettato per esaminare il razzismo e i pregiudizi nel mondo con una forte attenzione alla storia dell’Olocausto) una proiezione di un documentario fornito dalle IDF stesse in cui viene mostrato – a porte chiuse e senza partecipazione della stampa – lo svolgersi dell’attacco terroristico del 7 ottobre. 

Susan Sarandon partecipa al rally newyorchese pro-Palestina (Crediti: The New York Times)

Oltre a lei: Amy Schumer (Un disastro di ragazza, Come ti divento bella), Ronen Rubinstein (911: Lone Star), Brett Gelman (Fleabag, Stranger Things), Jamie Lee Curtis (Halloween, Freaky Friday) e tanti altri si sono esposti in supporto del popolo israeliano con post pubblici. 

Diversi, invece, i casi di Noah Schnapp (Stranger Things) e Timothée Chalamet (Chiamami con il tuo nome, Dune). Il primo è stato ripreso intanto che consegnava stickers che recitavano i mantra “Il Sionismo è sexy” e “Hamas è Isis”, mentre il secondo ha girato uno sketch per il Saturday Night Live in cui giocava sulla pronuncia di Hamas associandolo a frasi come “please don’t destroy” (ndr. per favore non distruggere). 

Timothée Chalamet nello skit “Please Don’t Destroy” del Saturday Night Live (Crediti: Saturday Night Live)

Ma quindi, cosa differenzia i due schieramenti in sostegno allo stato palestinese o al popolo israeliano? La risposta è semplice: le conseguenze. 

Bella Hadid è stata esclusa, negli anni, da diverse campagne promozionali per brand internazionali, in ultimo si vocifera di una ritorsione da parte di Dior proprio causata dalle parole riportate sopra. 

Melissa Barrera è stata invece licenziata di punto in bianco dal nuovo capitolo di Scream, il settimo, che l’avrebbe vista nuovamente protagonista insieme a Jenna Ortega. I motivi del licenziamento forniti dalla casa di produzione sono stati comunicati da una rappresentante: “Spyglass ha una policy a tolleranza zero per tutto ciò che concerne antisemitismo e incitamento all’odio, non accettiamo falsi riferimenti a genocidi, pulizie etniche, olocausto e qualsiasi altro argomento che sfoci nell’odio verso un popolo o una razza”. A seguito del licenziamento della Barrera, anche la Ortega ha annunciato di aver abbandonato il progetto, apparentemente per problemi organizzativi. 

Susan Sarandon, ultima ma non per importanza, ha perso il suo posto all’interno della United Talent Agency. L’attrice è stata infatti lasciata andare dall’agenzia dopo aver partecipato ad un rally pro-Palestina a New York. 

Per tutti gli attori e attrici menzionati che, invece, hanno scelto di esporsi in supporto di Israele, nessuna ripercussione, se non da parte dei fan o degli utenti dei vari social media che si sono espressi contro (per la maggior parte) le loro azioni o dichiarazioni. 

In ogni caso non c’è da stupirsi che in un’industria americana così potente, che apparentemente non ha nulla a che fare con la politica, sia proprio il supporto verso un popolo oppresso ad essere penalizzato.

ABC News riporta che secondo il Dipartimento di Stato americano, Israele riceve ogni anno 3,3 miliardi di dollari dagli Stati Uniti in aiuti militari esteri. La cooperazione militare va a vantaggio sia degli Stati Uniti che di Israele: va a vantaggio di Israele perché aiuta anche a scoraggiare gli attacchi di potenze molto forti come l’Iran, il che aiuta anche gli Stati Uniti a prevenire guerre più ampie.

Crediti immagine di apertura: California Globe.

di Anastasia Agostini

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