Ricordando Bernardo Bertolucci, i 30 anni di Piccolo Buddha

È stata un’edizione all’insegna del ricordo di cosa è Parma per il cinema, questa 26esima edizione del Parma Film Festival. Non si poteva chiudere in bellezza se non con la celebrazione dei trent’anni di Piccolo Buddha alla presenza del premio Oscar Jeremy Thomas, amico e produttore di Bernardo Bertolucci.

Sono ormai passati 5 anni dalla morte di Bernardo Bertolucci (che si è spento il 26 novembre del 2018), per il quale Parma è stata una culla da cui partire per poi viaggiare per il mondo con il suo cinema. Per celebrare l’anniversario della scomparsa di questo grande regista, è stato proiettato al Teatro delle Briciole la copia restaurata in 4k di Piccolo Buddha che, il caso vuole, compie 30 anni dalla sua produzione. La proiezione è stata preceduta dall’intervento di Valentina Ricciardelli, presidente della Fondazione Bernardo Bertolucci, seguito dall’intervista al premio Oscar Jeremy Thomas (produttore e grande amico di Bernardo Bertolucci), moderata dal giornalista e critico cinematografico Marcello Garofalo. 

L’incontro è stato possibile grazie al Comune di Parma (al sindaco Michele Guerra e all’assessore alla cultura Lorenzo Lavagetto), Solares delle Arti (Andrea Gambetta), Smeg (Vittorio Bertazzoni) e  al Complesso Monumentale della Pilotta (Simone Verde), sulla cui facciata (fino al 30 novembre e dalle 19.00 in avanti) sarà possibile vedere le foto del backstage di Piccolo Buddha realizzate dal fotografo Basil Pao.

La realizzazione di Piccolo Buddha secondo Jeremy Thomas

crediti: Wikipedia

Dopo aver ringraziato il pubblico della sua presenza nel doppio anniversario dedicato a Bertolucci, si è passati a presentare non solo la vita e la carriera di uno degli amici più stretti di Bernardo Bertolucci, ma anche un’analisi di backstage di ciò che ha portato alla realizzazione di quella “favola per grandi e piccini” (come era solito definirla lo stesso regista e come ricorda Valentina Ricciardelli) e in cui vengono affrontate tematiche molto importati come “l’amore e la curiosità per cultura lontane” in cui si inerisce anche il sentimento della compassione. 

Marcello Garofalo prende la parola e, una volta ringraziato Jeremy Thomas della sua presenza, entra nel vivo dell’intervista. Per prima cosa, infatti, chiede al produttore quale sia stata la sua reazione alla scoperta del nuovo progetto di Bernardo Bertolucci legato alla storia del Buddha. “Bernardo era molto interessato all’idea della reincarnazione (…) e anche a me piaceva la possibilità di creare un film basato su questa idea, il cosiddetto tugu, ovvero il viaggio dello spirito attraverso diverse vite e soprattutto ci intrigava l’idea di poterlo traslare in un bambino del mondo occidentale”, così il produttore ricorda i primi attimi di confronti relativi alla possibilità di realizzare un’opera di questa portata; un’esperienza che è stata anche “un pellegrinaggio tra due atmosfere (…) che è durata mesi se non anni”. La pellicola, inoltre, rappresenta l’ultimo capitolo della cosiddetta trilogia orientale, iniziata con L’ultimo imperatore (1987) e poi proseguita con Il tè nel deserto (1990).

Il produttore inglese, inoltre, ricorda di quanto Piccolo Buddha sia anche “uno dei film più grandi, un kolossal (…) addirittura più grande del casting de L’Ultimo Imperatore” per il quale, la difficoltà più grande è stata trovare i finanziamenti per poter partire con la produzione: i fondi sono stati disposti da François Guy che, all’epoca, era molto interessato alla possibilità di realizzare un film sulla storia del Buddha.

A parte i finanziamenti, la grandezza di questa pellicola non risiede solo nella presenza di grandi nomi (come Vittorio Storaro alla fotografia, Ryūichi Sakamoto per la colonna sonora, Pietro Scalia al montaggio – tutti grandi che sanciscono ancora una volta un forte sodalizio con Bernardo Bertolucci stesso), ma anche e soprattutto perché è stato “l’ultimo grande film epico che è stato girato con tecnologie predigitali, quasi interamente analogiche” così come, d’altronde, “è stata un’esperienza incredibile anche dal punto di vista registico perché per poter porre in essere questo film abbiamo dovuto attraversare (tre) continenti”. Insomma, un’esperienza meravigliosa in cui il viaggio non risiede solo all’interno della pellicola, ma anche in ciò che ha portato alla sua realizzazione.

La carriera di un produttore instancabile e l’amicizia con Bertolucci

crediti: Edoardo Fornaciari

La carriera di Jeremy Thomas ha radici molto lontane: infatti, è figlio d’arte dal momento che sia il padre che lo zio sono stati grandi professionisti della settima arte. Alla domanda relativa al perché abbia scelto di intraprendere una carriera di questo tipo, il premio Oscar risponde che ha iniziato ad approcciarsi alla settima arte intorno agli anni ’70, guardando anche al cinema realista italiano o al cinema giapponese, ma tenendo sempre a mente che cosa gli piaceva fare. Le sue radici relative al legame familiare con il cinema lo hanno aiutato a partire, per poi arrivare ad un suo gusto più personale: “ho potuto produrre film che si basano su quello che posso considerare il mio gusto, l’80/90% dei film che ho prodotto rispondono a queste caratteristiche: faccio ciò che amo e, se guardo indietro nei 50 anni di film che ho prodotto, posso solo dire che la maggior parte dei film che ho fatto sono anche film che ho amato”.

Una carriera gigantesca che ha visto il premio Oscar collaborare con gli autori più disparati: da Skolimowski a Roeg, passando per Bertolucci, Kitano, Wenders fino a Depp. Lavori che sono dettati, forse, anche dallo spirito matto che si deve celare dietro chi si dedica al cinema o chi, in generale, crede nei progetti in cui è la mente che porta avanti la carovana della creazione.

Carovana che, un po’ come ricorda Garofalo citando Truffaut, rappresenta l’essenza del fare film che, nonostante all’inizio appaia come un’avventura fantastica, porta a chiedersi se si arriverà mai a destinazione. Viaggio di cui resta, però, “la malinconia, una malinconia che però è dolce” forse perché, alla fine si è viaggiato insieme per costruire qualcosa.

Difficile che si instauri un rapporto di amicizia tra regista e produttore, ma questo è l’eccezione che conferma la regola: tra Jeremy Thomas e Bernardo Bertolucci, infatti, è nata una forte amicizia, un legame fraterno molto solido. “Mi manca il mio amico Bernardo (…) è stato sicuramente un sodalizio che funzionava sia per me che per lui, un rapporto che aveva un ritorno sia per me che per lui (…) quello che ho fatto con Bernardo ha prodotto cose fantastiche”. 

Di questo grande autore rimane anche il grande coraggio di portare e far vedere agli italiani luoghi esotici, al di fuori dei loro confini. Insomma, un visionario che ha fatto e continua a fare la storia del cinema.

Ciò che resta, comunque, è la bellezza che Bertolucci ha lasciato con i suoi film e la sua poetica; bellezza che diviene memoria, memoria che è impressa su pellicola (anche restaurata) e che, grazie a quest’ultima, vive. Come conclude Jeremy Thomas, “la memoria di Bernardo vive”.

crediti immagine iniziale: Edoardo Fornaciari

di Erika V. Lanthaler

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*