25 novembre, tutti contro una: fischi in piazza contro l’onorevole Laura Cavandoli

La deputata leghista contestata a Parma durante la giornata nazionale contro la violenza sulle donne viene difesa da sindaco e assessori. Non si può che trovare empatia per l'ennesima donna a cui viene tolta la parola, ma non può esserci solo questo. Sono stati davvero così sbagliati quei fischi?

Foto dalla pagina Facebook di Laura Cavandoli

Non sono state delle più felici le parole scelte dall’onorevole Laura Cavandoli, deputata parmigiana della Lega, nonché consigliera comunale di Parma, intervenuta alla manifestazione del 25 novembre organizzata dal Comune e dalle associazioni cittadine contro la violenza sulle donne. 

Dopo sole quarantotto ore dalla diffusione della notizia del mancato intervento delle forze dell’ordine chiamate da un testimone in seguito all’aggressione di Giulia Cecchettin, e dopo le lucidissime parole della sorella Elena riguardo l’assenza dello stato e nei confronti dei tagli effettuati dal governo ai centri antiviolenza, l’onorevole Cavandoli ha esordito dal palco di piazza Garibaldi dichiarando la vicinanza del governo e l’impegno delle forze dell’ordine nel contrasto alla violenza di genere. 

Le parole di Cavandoli sono state accolte da fischi e boati, al punto che il sindaco Michele Guerra e l’assessora alle pari opportunità Caterina Bonetti sono intervenuti per cercare di placare la folla e invitarla al rispetto democratico di tutti gli interventi. 

 L’imbarazzo dell’onorevole era palpabile, così come era comprensibile la reazione istintiva della platea. La morte di Giulia Cecchettin ha riacceso una rabbia che non è mai stata sopita, e che di fronte all’assurdità di certi proclami non riesce più a contenersi. Lo dimostrano i migliaia di commenti sotto il post Instagram della Polizia di Stato, sotto il quale decine di migliaia di donne hanno testimoniato le negligenze a cui sono andate incontro quando hanno provato a denunciare le violenze e le molestie ricevute.

Tuttavia l’impaccio di Cavandoli mette in difficoltà: in quel momento, su quel palco, lei è l’ennesima donna a cui qualcuno dice di stare zitta. Anche quel tentativo di toglierle la parola, allora, è da considerarsi una violenza o è solo un modo, l’unico, di esprimere dissenso?

 Certo, nessuno le fischia in quanto donna: quando Laura Cavandoli prende la parola, rappresenta un ruolo istituzionale. Ma il femminismo intersezionale ci insegna a riconoscere i privilegi e le oppressioni che le identità recano con sé, e nel momento in cui Cavandoli si trova su un palco, è una donna a cui viene intimato di fare silenzio, ma è anche fisicamente e allegoricamente più in alto rispetto alla marea di persone che riempiono la piazza; è in una posizione di privilegio: il ruolo che ricopre le permette di fare sentire la sua voce, e non consente un contraddittorio. 

Leggere una contestazione di piazza come un catfight sarebbe una banalizzazione. Molte delle donne indignatesi per le parole di Cavandoli provengono da percorsi di femminismo e autocoscienza; sono abituate a considerare ogni donna una sorella, riconoscendo nell’altra dei vissuti simili ai propri, rispettandosi e proteggendosi.

 Ma con le sorelle non sempre si va d’accordo, e non sempre si comunica in modo gentile. 

Ascoltare le parole di Cavandoli mi ha fatto male, così come mi ha fatto male vedere il suo disagio, ma la reazione più istintiva è stata la rabbia: molte delle donne che conosco hanno subito delle molestie, alcune delle violenze, altre ancora sono state stuprate. Molte di noi non sono state credute, molto spesso ci hanno invitate a farci una risata e non pensarci più. Non è vero che lo Stato è vicino alle donne, non è vero che le Forze dell’Ordine sono pronte ad accogliere le denunce, e non bastano dei proclami di solidarietà per blandire quella rabbia e quella delusione.

Se in un discorso privato, tra pari, sarebbe stato possibile ascoltarsi a vicenda e trovare un incontro tra posizioni così distanti, ciò non è possibile quando, ci insegna Michela Murgia, c’è una sproporzione così grande tra il potere e chi lo critica.

Il disagio di Laura Cavandoli fa male a chi la guarda con empatia, e pone una domanda che rimane aperta. Tuttavia combattere contro il patriarcato vuol dire allenarsi a riconoscerlo anche quando questo viene incarnato da una donna, e nel momento in cui Laura Cavandoli si schiera con una cultura che è patriarcale fino al midollo, io e lei ci poniamo su fronti diversi.

di Marta Montana

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