Le radici profonde della mascolinità tossica: intervista al sociologo Fausto Pagnotta

Le origini sociali e culturali di una “modalità deviata e non equilibrata di vivere l’identità maschile” nell’analisi del docente e assegnista di ricerca in discipline storico-politiche e sociologiche all’Università di Parma

Le dinamiche di prevaricazione dell’uomo nei confronti della donna sono secolari ed affondano le loro radici nella nostra cultura, ma non solo: sono state a lungo veicolate dalle istituzioni. Si pensi che fino al 1975, dunque 48 anni fa, in Italia esisteva la ‘patria potestà’: l’uomo era considerato il capofamiglia, e la responsabilità genitoriale non era in capo a entrambi i coniugi.

Sulla base di questa pericolosa legittimazione della figura dell’uomo come decisore e ‘padre-padrone’ si sono sedimentati istituti ancor più spaventosi. Ne è un esempio il reato chiamato ‘delitto d’onore’: gli uomini che uccidevano moglie, figlie o sorelle accusate di aver compromesso la loro relazione potevano ricevere una riduzione di pena. Ancor più deplorevole è il cosiddetto matrimonio riparatore, in base al quale lo stupratore poteva evitare il carcere se avesse poi sposato la vittima. Questi due istituti sembrano appartenere ad un passato inafferrabile, eppure sono stati aboliti solo nel 1981 con la legge del 5 agosto n. 442.

Da allora vi sono stati tentativi istituzionali contro la violenza di genere, come la legge n. 119 del 2013 per la prevenzione e la lotta contro la violenza di genere, ma le pratiche che mettono in atto la cosiddetta ‘mascolinità tossica’ continuano ad inquinare la quotidianità, in maniera tanto invasiva da essere frequentemente definite un problema strutturale.

A chiarire alcuni degli aspetti più spinosi di questo tema delicato è Fausto Pagnotta, docente e assegnista di ricerca in discipline storico-politiche e sociologiche e membro del Centro Interdipartimentale di Ricerca Sociale e dell’Unipr-CityLab dell’Università di Parma dove insegna Storia delle donne nel pensiero politico e Sociologia delle discriminazioni di genere.

Il prof. Pagnotta al Convegno Ausl Gruppi AMA

Cos’è la mascolinità tossica

La ‘mascolinità tossica’ è “una modalità deviata e non equilibrata di vivere l’identità maschile che non si concepisce, né è in grado di rappresentarsi, se non nel dominio e nel controllo sul femminile, con le conseguenze in termini di discriminazioni e di violenza che emergono da diversi fatti di cronaca tra cui il femminicidio di Giulia Cecchettin” afferma Pagnotta, aggiungendo che sia lecito definirla un problema strutturale, in quanto radicato nel profondo del tessuto culturale e sociale della società in cui viviamo.

Individuare l’origine di questi meccanismi può essere considerato un arduo compito, data la molteplicità dei fattori che influiscono. Tuttavia, Pagnotta sottolinea che “una parte di questi fattori ha radici lontane che affondano nella cultura androcentrica e patriarcale, comune a diverse società e culture. Altri fattori di rinforzo, almeno per quanto riguarda l’occidente, si propagano nei modelli culturali in parte ancora diffusi a livello mediatico e pubblicitario”.

Questi valori nocivi si riflettono anche sulla figura femminile, costruendo un’immagine stereotipata e denigratoria della donna: “Permane infatti ampiamente diffusa una subcultura dell’oggettivazione del corpo femminile che certamente non promuove né la dignità né tantomeno la libertà delle donne di autodeterminarsi fuori da questi modelli spesso iperestetizzanti e ipersessualizzati. Infine, all’interno di diversi contesti maschili, la donna è ancora considerata come oggetto di ‘conquista’, ‘preda’ ‘trofeo’ da esibire nel gruppo dei pari, legittimando un modello maschile predatorio e possessivo che definisce i ruoli stessi all’interno del gruppo”.

Il ruolo della musica e della cultura

Periodicamente viene riportato alla luce il ruolo che le rappresentazioni artistiche di maggior successo ricoprono nella perpetrazione di questi modelli nocivi. Nel dibattito sul tema c’è chi pensa che la musica trap alimenti gli stereotipi di genere e fomenti violenza e intolleranza.

Secondo il professore, “come siamo attenti a stigmatizzare la cultura androcentrica e patriarcale ereditata dal passato più antico, non si comprendono certe prudenze nell’esprimere un giudizio critico nei confronti della pervasività di modelli subculturali che attraverso il cinema, la letteratura, la musica, la pornografia, la pubblicità, il mercato, ma a volte anche attraverso l’informazione, proseguono nel divulgare ad ampio raggio nella società fin dalla preadolescenza stereotipi discriminatori e rappresentazioni oggettivanti e svilenti del genere femminile”. Ed aggiunge, “a queste rappresentazioni si associano spesso quelle iperperformanti del genere maschile”.

L’uomo, infatti, oggi è“sempre più sotto pressione rispetto a modelli identitari stereotipati insostenibili, costruiti dal mercato mediatico, dove spesso non si concede spazio e dignità alla narrazione della vulnerabilità e della sensibilità emotiva declinate al maschile”. Pagnotta sottolinea, tuttavia, che non è possibile individuare uno schema causa-effetto, ma che indubbiamente la ripetizione massiccia di tali stereotipi contribuisce al loro radicarsi nella società, creando “ruoli identitari stereotipati all’interno della relazione sociale”.

L’impegno per il cambiamento

Ma non tutto è perduto: il docente mette in luce la possibilità di sovvertire queste dinamiche nocive, sottolineando che non sono immutabili, ma al contrario rappresentano una delle sfide con cui l’essere umano si è dovuto confrontare nel corso dei secoli. È importante ricordare che ci sono già state importanti conquiste da non sottovalutare, “pensiamo ad esempio a quanta strada si è fatta per l’abolizione della schiavitù, ma anche per la promozione dei diritti a tutela della parità di genere e delle donne. Di certo, come dimostrano oggi i molteplici casi di violenza di genere, c’è ancora tanto da lavorare per andare nella direzione opposta, ma donne e uomini insieme ce la possiamo fare”.

A tal proposito, in questi giorni si è parlato molto di ri-educazione, ma in cosa dovrebbe consistere di preciso? Pagnotta individua delle chiare linee guida per affrontare queste problematiche sul piano culturale: “L’analfabetismo affettivo e relazionale va prevenuto e contrastato attraverso un’azione educativa a tutti i livelli”.

Per Pagnotta “sarebbe auspicabile come avviene in diversi Paesi l’introduzione nel sistema scolastico e universitario di percorsi formativi ed educativi di ‘Educazione emotiva, affettiva e relazionale‘ dove al contempo possano trovare specifico spazio competenze di tipo psicologico, pedagogico, sociologico ma pure giuridico”.

Si tratta di “percorsi formativi e culturali che nella loro specificità disciplinare – afferma il docente – sono ancora tutti da progettare e da costruire”. Tuttavia per Pagnotta bisogna evitare la pretesa che è una illusione che “la scuola da sola possa assumersi l’intera responsabilità dell’educazione emotiva affettiva e relazionale che non può non richiamare a specifiche responsabilità tutte le agenzie educative a partire dalla famiglia, ma anche tutta la società, perché nessuno può tirarsi fuori rispetto a problematiche come la violenza e le discriminazionidi genere”.

Ma non solo,“non dimentichiamoci che sul territorio sarà sempre più necessario investire risorse sia nei Centri Antiviolenza dedicati alle donne vittime di violenza di genere, sia nei centri LDV – ‘Liberiamoci della Violenza’ dell’AUSL che hanno la loro mission nell’aiutare gli uomini autori delle violenze a cambiare, non di minore importanza i Gruppi di Auto Mutuo Aiuto come quello di Parma per la Dipendenza affettiva”.

Queste misure non sono però sufficienti se non integrate da uno sforzo comune e coeso di tutta la società: ”Ci vuole insomma un impegno corale e trasversale per poter cambiare la subcultura che legittima la violenza di genere, e soprattutto ci vuole l’impegno permanente e deciso della politica.La repressione e la sanzione non bastano per arginare il fenomeno, è necessario un piano strategico educativo e formativo a livello nazionale”.

Un messaggio di speranza, quello lanciato da Fausto Pagnotta. Estirpare queste dinamiche nocive è possibile, ma con l’impegno di tutti e tutte. Da queste ceneri si può costruire un mondo sicuro e accogliente, mettendosi in discussione, ripensando i contorni del proprio sé, ascoltando, allenando l’empatia.

di Francesca Ibridi

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