“Ski like a girl”: Goggia e Brignone regnano sullo sci alpino

A Sankt Moritz oro Supergigante per la bergamasca; in Canada standing ovation per la carabiniera di La Salle: la stagione è appena iniziata, ma il cuore dello sci è già azzurro

Il re è morto, viva il re! O meglio, non si fa in tempo ad incoronare una regina che sulla poltrona rossa se ne piazza un’altra. Spesso lo sci si rivela crudele quanto un complotto di palazzo: Federica Brignone non ha fatto in tempo a godersi il titolo di italiana più vincente della storia che Sofia Goggia, bergamasca delle fiamme gialle, ha deciso di condividere con lei il trono. Di questo, certamente, non si può lamentare il team azzurro che, sulle nevi di Sankt Moritz, chiude l’opening delle discipline veloci con una medaglia d’oro e tre atlete nelle prime dieci posizioni.

Goggia incontenibile

Non c’è niente da fare: la Corviglia è la sua pista. Qui, lo scorso anno, Goggia era stata protagonista di un’impresa leggendaria e rocambolesca allo stesso tempo: procuratasi una frattura scomposta del secondo e terzo metacarpo contro lo snodo di un palo durante la gara, era arrivata al traguardo per esclamare “ho rotto la mano!”

Nonostante ciò, aveva chiuso in seconda posizione dietro alla compagna di squadra Elena Curtoni. Il giorno dopo all’infortunio però, era previsto un altro appuntamento e Sofia non aveva la minima intenzione di mancare. Fu così che, in meno di ventiquattro ore, la bergamasca passò da Sankt Moritz a Chiavenna, volò fino alla Casa di Cura La Madonnina di Milano, dove la operarono in tempi record, fece un saluto a Giorgio Armani che la vide entrare in casa sua con ancora il completo termico da sci indosso e tornò in Svizzera con una macchina dello stilista.

La mattina dopo Sofia era al cancelletto di partenza con un guanto avvolto nello scotch le permetteva di non perdere il bastone. Temeva di non riuscire a mantenere la posizione a uovo e invece, l’unica cosa di cui si dovette preoccupare fu la mano con la quale alzare gli sci durante la premiazione. Sofia Goggia vinse la gara. Con una mano fasciata e una storia epica da raccontare.

Lo scorso venerdì 8 dicembre, la rockstar della velocità italiana è tornata ad esibirsi sulla stessa pista. Mentre lei si chiude gli scarponi, il podio è occupato dal compatto duo austriaco Huetter-Venier, che precedono la neozelandese Robinson. Gli occhi sono puntati sul fenomeno delle fiamme gialle, che dopo un primo intertempo poco convincente, due curve sullo sci interno e qualche piccola “goggiata”, si decide ad attaccare come solo lei sa fare.

Le sue curve sono linee rette. Lo sci è quasi perennemente piatto. Salta dove le altre non saltano, passa dove le altre non osano e abbassa la testa dove le altre la alzano. Scavalca tutti i dossi con la velocità di chi vuole liberarsi dei problemi futili per raggiungere in fretta l’obbiettivo. Tutto ciò che si frappone tra le sue punte rosse e la linea del traguardo va divorato. E tutto viene inghiottito.

Sofia taglia l’arco finale ed è prima con 95 centesimi di vantaggio, che nello sci sono un’eternità. Le austriache, sotto shock, non hanno neanche il tempo di applaudire e s’affrettano a dare due dritte per radio: a quanto pare, si può andare molto più forte di quanto pensassero. Goggia lo ha appena mostrato e dimostrato, anche se la sua espressività rivela una soddisfazione sorpresa e poco convinta. E in effetti Sofia ha dichiarato ai microfoni di Eurosport che non si aspettava di vincere con un distacco simile ma “buona la prima!”.

Federica Brignone: in due giorni, due ori e due titoli

Anche Federica Brignone fa sognare il circo bianco. Durante il primo giorno di gara a Sankt Moritz (lo scorso weekend) si mangia le mani per un erroraccio che la relegata al quinto posto, ma rimedia grintosamente il giorno dopo conquistando una medaglia d’argento, arrendendosi solamente alla velocità di due big assolute: l’americana Shiffrin e la sua compagna di squadra, Sofia Goggia. Sulle nevi canadesi di Mont-Tremblant invece, nel primo fine settimana di dicembre, anche se per poco, la valdostana è stata l’azzurra più vincente della storia.

Federica Brignone, atleta di punta nell’Italia dello sci alpino, si è aggiudicata contemporaneamente due titoli di un certo rilievo: con 23 vittorie, è diventata la sciatrice italiana più vincente nella specialità del gigante, scavalcando la leader della Valanga Rosa Debora Compagnoni. Poi, come se non bastasse, con i suoi trentatré anni compiuti lo scorso luglio, ha scalato anche le classifiche dell’età: ad oggi è la donna più “anziana” ad aver vinto una gara di gigante. Ma facciamo qualche curva indietro.

Nel secondo giorno di gara, dopo la prima manche, essere in sesta posizione a 1”22 di distacco dal primo piazzamento significa una cosa sola: il podio è imprendibile. A maggior ragione se nelle prime tre posizioni ci sono una svizzera che poche ne sbaglia (Lara Gut-Behrami), Sua Maestà Mikaela Shiffrin e la sua principale avversaria, Petra Vlhova. Serve un miracolo. O un atto di Fede.

Il vento gonfia i teli delle porte – che infatti saranno sistemati, con un’interruzione della gara – la neve picchietta sui caschi delle atlete e la visibilità è quasi nulla.

Con condizioni del genere verrebbe da “tirare il freno a mano”. Scivolare a sessanta chilometri orari giù da un pendio innevato reggendosi su millimetriche lamine e senza vedere dove si fanno passare gli sci non è proprio rassicurante.

Ma a Federica tutto ciò non sembra importare. D’altronde, quando gli occhi non bastano, ci si fida dei piedi. E lei, di fiducia e di grinta, ne ha da vendere. Esce dal cancelletto, si spinge fino alla seconda porta, si mette in posizione, pennella le curve e affronta i dossi alla cieca, con una sicurezza che lascia a bocca aperta.

Altro che “tirare il freno a mano”, Brignone non si accontenta e porta dopo porta, spinge. Anche se le sue solette di tanto in tanto si scollano dal terreno, lavora le ondulazioni come se non ci fossero e fa sembrare la pista un tavolo da biliardo in una limpida giornata primaverile. Incrementa il suo vantaggio, ad ogni intermedio. Supera il muro in un batter d’occhio e si spiana a uovo per tagliare il traguardo. Chiara Direz, la francese seduta sulla poltrona del leader corner, non può che applaudire con ammirazione e si prepara ad alzarsi (spoiler: finirà quarta, mantenendo uno splendido secondo tempo di manche che le permetterà una rimonta da urlo). Per la Brignone luce verde, un’esultanza, una linguaccia e un gesto della mano a intendere “è da pazzi”. Se il meteo o la sua impresa, è ancora da capire.

Scendono, una dopo l’altra, le cinque atlete che la precedevano, tra cui l’italiana Marta Bassino. Tra errori, timori e imprecisioni, nessuna riesce nell’impresa di scalzare Federica dalla poltrona rossa. La carabiniera di La Salle ha vinto. Lo ha rifatto, a ventiquattr’ore di distanza. Perché anche il giorno prima, sulla stessa pista e nella stessa disciplina – ma con un meteo ben più clemente – Brignone era salita sul gradino più alto del podio.

In un rituale ormai proprio di tutti gli sportivi del ventunesimo secolo – il resoconto post-prestazione sui social – le sue colleghe e compagne di squadra ringraziano Mont Tremblant e soprattutto, ringraziano Federica. Per averle rese parte di un minuto di storia. Si complimentano e quasi tutte usano la stessa emoticon: un cappello a cilindro. Chapeau, Federica.

Ad inizio stagione, sugli spalti di Killington, era comparsa una piccola bambina dai guanti viola che, oltre a fare il tifo alle wonder women in pista, esibiva un cartellone con su scritto: “ski like a girl”, scia come una ragazza. Ebbene, Sofia Goggia e Federica Brignone sono la dimostrazione che per vincere medaglie – anche con qualche osso fuori posto e qualche anno più delle altre -, occupare troni e scendere a cento chilometri orari con il desiderio di andare più veloce, bisogna fare una sola cosa: sciare come una ragazza.

di Camilla Castellano

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